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Racconti dall’ospizio #26 - Shenmue II: l'avventura continua

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

E insomma, siamo arrivati anche al secondo Shenmue. Per la serie "forse non tutti sanno che...", va detto che Yu Suzuki aveva ideato una storia divisa in undici capitoli. Il primo Shenmue viene infatti introdotto come Chapter 1: Yokosuka e - a detta sua - il secondo episodio copre i capitoli 2, 3, 4 e parte del quinto (per saperne di più vi consiglio caldamente di guardare questa conferenza intitolata 'Shenmue Postmortem' tenutasi alla GDC del 2014).

Anche qui il dispiego di mezzi si spreca, con AM2 e Yu Suzuki gasatissimi del fatto di non dover più creare qualcosa da zero, pronti a costruire sopra delle fondamenta assolutamente consolidate per quanto riguarda il codice e gli asset di gioco. Shenmue II è quindi più esteso negli spazi e più variegato rispetto al primo capitolo sotto tutti gli aspetti. È anche però un'esperienza differente, meno intima e sperimentale, seppur più cinematografica.

Se nel primo Shenmue Suzuki-san dirige un manga interattivo in movimento, nel secondo capitolo si diverte ad imbastire un vero e proprio Hong Kong movie, con fatti ed accadimenti molto più rocamboleschi rispetto a quelli del candido e rassicurante Giappone suburbano (ben noto anche all'attuale generazione di trentenni italiani, grazie ai celebri anime degli anni Ottanta: da Maison Ikkoku a Captain Tsubasa, da Doraemon a Stilly e lo specchio magico, e chi più ne ha più ne metta). Del resto, è precisamente a Hong Kong che la seconda parte del nostro viaggio ha inizio.

Mettiamo in chiaro le cose, provincialotto.

Il bildungsvideospiel suzukiano prosegue quindi imperterrito per la sua strada, snocciolando i suoi haiku non a raffica, stavolta, ma intervallandoli appunto a sequenze che oserei quasi definire hard-boiled, se comparate alle vicissitudini di Yokosuka. L'evoluzione di Ryo Hazuki, ragazzo temerario quanto ingenuo, passa attraverso delle esperienze di vita molto spiacevoli e, a furia di sbatterci il muso, crescerà in consapevolezza e si farà più guardingo. È commovente, al solito, la lezione di vita impartita da Yu Suzuki, che vede questo giovanotto impetuoso dal cuore puro venire fatto fesso subito, così, appena sbarcato dal Giappone. Come per dire: questa è Hong Kong bello, mica casetta tua, ed è meglio che ti ci abitui in fretta.

Ma Ryo non si fermerà, non si fermerà mai: ha un padre da vendicare. Solo che ora è tutto più difficile. Ci sono meno punti di riferimento. Niente è davvero ciò che sembra, in questa brulicante città-mercato. Ci sarà perciò qualcuno che ci darà una mano, anche se non sappiamo fino a che punto sarà giusto fidarci. La fiducia va conquistata, qui, così come il denaro. Niente più Ine-san con la paghetta giornaliera, ma tante attività più o meno legali per pagarci la stanza dell'hotel (fortunatamente tutte meno tediose del muletto e sufficientemente remunerative). La metropoli disorienta. Così come a Hong Kong, così a Kowloon, la mitica città-alveare che oggi non esiste più.

L'entrata di Ryo a Kowloon ha dei movimenti di camera spettacolari.

Ma almeno a Kowloon la gente sembra meno ingannevole. I valori secolari e la saggezza millenaria fanno capolino man mano che ci si addentra nello spirito della vera civiltà cinese, che poi esploderà nell'ultimo atto, a Guilin, in cui Yu Suzuki sfodera tutto il suo amore per la poesia, l'arte, la natura, la delicatezza, l'umanità: con una parola, un gesto, uno sguardo. A questo punto, però, tutto si fa molto simile a un film interattivo, sempre più su binari. Inoltre tu sai che sta per finire tutto, ma non lo vorresti. Quindi Shenmue II si interrompe improvvisamente, e sul più bello, per giunta, con un pacco di interrogativi ancora irrisolti che neanche LOST.

Essendo dunque disgraziatamente incompiuto, trovai Shenmue II difficile da metabolizzare rispetto al primo capitolo. Senza parlare di buchi nel level design qua e là: a Kowloon ci sono alcuni palazzi di una dozzina di piani completamente vuoti e con porte chiuse, tutti uguali una volta dentro, utilizzati per davvero solo in una lunga ed avvincente sequenza QTE. Non sarà particolarmente tedioso imbattersi in tali inutili luoghi, ma non è certo una bella cosa da vedere. Lo stesso vale per la folla di persone anonime, tutte pronte ad offrirci quelle due-tre interazioni comuni e scriptatissime.

Va benissimo: è un videogioco. Ma nel primo capitolo ogni cittadino ha un nome e un cognome, svolge delle attività precise in base al giorno e all'ora, tanto che quasi inquieta tutta questa vita "vera" sullo sfondo. E ciò che si avverte è che, rispetto a tanti altri videogiochi, tu non sei Dio e il mondo non è il tuo giocattolo.

Anche questa seconda parte punta nella stessa direzione: sei perennemente convinto di non aver fatto o visto tutto. Ti viene il dubbio che, forse, se tu facessi una certa cosa o esplorassi un certo angolo in un dato momento, scopriresti qualcosa di importante. Ma in questa volta la nostra sospensione dell'incredulità è meno forte per i succitati motivi. Del resto, nel primo Shenmue tale fattore raggiunge vette inarrivabili.

Finalmente, a Guilin si concretizza la fascinazione di Yu Suzuki per quella parte di Cina che egli scoprì durante la realizzazione di Virtua Fighter.

Shenmue II venne considerato ai tempi migliore rispetto al primo: vuoi per lo sforzo tecnico (davvero da non credere ciò che AM2 è riuscita a fare con un Dreamcast), vuoi per la maggiore durata, più attività, più aree, più... feature. Ma non si giudicano i videogiochi al chilo. Shenmue II è inscindibile dal primo atto; va detto però che rispetto al precedente capitolo qualcosa si stempera, si diluisce e alla fine si interrompe. Ed è comunque andata di lusso: proviamo a metterci nei panni di un grosso team che durante la lavorazione di un kolossal vede il fantasma del suicidio commerciale farsi sempre più reale e tangibile. Si è fatto di tutto per chiudere il gioco e farlo uscire, e lo si è fatto pure con enorme dedizione. Al giorno d'oggi lo sviluppo sarebbe stato interrotto.

L'unica nota dolce nell'amaro naufragio del Dreamcast, e con esso Shenmue e Sega tutta, fu l'accordo salvifico della casa di Sonic con Microsoft, interessata ad affacciarsi proprio allora nel mondo delle console con la prima Xbox. Sega si reinventa come third party, iniziando a sfornare interessanti esclusive per la neonata console di Gates (come l'ispiratissimo Panzer Dragoon Orta, ma anche Gun ValkyrieJet Set Radio FutureOtogi... ), nonché una conversione di Shenmue II completa di doppiaggio in lingua inglese (compatibile, salvo alcuni difettucci minori, con Xbox 360). Già, perché per Dreamcast uscì esclusivamente con dialoghi in giapponese e, sorpresa delle sorprese, uscì solo in Giappone e in Europa (con sottotitoli in inglese). Esatto, nessuna versione americana.

Qualunque sia la vostra scelta, il consiglio è di non giocare Shenmue II per primo. Dai, siamo nel 2016: se proprio dovete recuperare Shenmue, almeno fatelo bene.

Giocai a Shenmue su Xbox, godendomi il doppiaggio in inglese che mantiene gli stessi doppiatori del primo capitolo. Per lunghi anni fui convinto che, nonostante le saltuarie dichiarazioni di Yu Suzuki riguardo la volontà di continuare il suo drammone interattivo (persino ipotizzando la prosecuzione in altre forme: film, romanzo, manga... ), dovesse restare un capolavoro del videogioco da ricordare come grande incompiuto. Un po' come per gli incompiuti di Michelangelo... se tra di essi ci fosse stata La pietà. Così invece non sarà. E sono sinceramente curioso di vedere come il tradizionalismo suzukiano e dei fan incontrerà un mondo dei videogiochi completamente diverso da come era stato lasciato alla morte commerciale del Dreamcast. Nel frattempo io sono backer su Kickstarter, seguo gli aggiornamenti e non posso che augurare buona fortuna a uno fra i più grandi maestri del game design e dell'espressione videoludica.