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Spoiler Zone #4 - Del porg non si butta via niente, analisi con spoiler di Star Wars: Gli ultimi jedi

Una rubrica in cui parliamo di giochi, film, libri, la qualunque, a posteriori, senza farci alcun problema di spoiler. Insomma, se non avete ancora "consumato" ciò di cui si parla, statene alla larga, perché qui potremmo svelarvi ciò che non volete sapere!

Scrivere queste righe, per me, non è cosa facile. Star Wars è una questione di cuore e di pancia prima che di cervello. È stata una costante della mia vita cinefila, mi ha accompagnato dai primi passi (quando a cinque anni scartai il regalo dell’epifania e mi ritrovai per le mani il cofanetto VHS della trilogia classica) fino all’età adulta. Non si tratta semplicemente di film: la passione per Star Wars travalica lo schermo, permea la vita di tutti giorni, ti porta a indossare magliette che altrimenti dovrebbero solo metterti in imbarazzo, a fare citazioni che qualche volta sei l’unico a cogliere, a imitare il verso di Chewie con la tua ragazza, in pubblico, senza un briciolo di vergogna. È il fenomeno pop più importante degli ultimi quarant'anni, talmente totalizzante e ramificato che i film in sé, paradossalmente, non sono poi così rilevanti. Mi spiego meglio: l’esperienza di Star Wars va oltre la fredda valutazione delle singole pellicole, che altrimenti condurrebbe alla triste realtà che su otto episodi se ne salvano si e no quattro, dei quali un film epocale, uno dei migliori sequel mai prodotti e due gustosi revival. Star Wars è di più: è aggregazione, è condivisione, è senso di appartenenza, è feticismo, è una fucina di ricordi perlopiù lieti, o edulcorati dal tempo, che ti fa chiudere un occhio sulla qualità delle singole iterazioni. Un fenomeno culturale che si autoalimenta, a prescindere dal fatto che ci sia o meno un nuovo episodio in sala, o che questo sia bello o brutto.

Capite bene, dunque, lo shock di uscire dal cinema dopo la visione de Gli ultimi jedi ed essere l’unico di una comitiva di una decina di persone, tutte entusiaste e sorridenti, rimasto freddo come un ghiacciolo. Bianco in volto, con lo sguardo perso nel vuoto, l’unica cosa che riuscivo a blaterare durante le chiacchiere nell’androne del multisala era un “Non lo so” pieno di smarrimento, tipico di chi ha visto sbriciolarsi un paio di certezze e ancora non si piega a raccoglierne i cocci per terra.

Lasciamo da parte tutte quelle stronzate sul fatto che non sia un vero Star Wars che si leggono in giro sul web: è un modo puerile per fare stupide distinzioni tra fan di serie A e di serie B e rivendicare il diritto esclusivo di poter pontificare su questioni di aderenza a un canone che, di fatto, non esiste. In quarant’anni la creatura di Lucas ha assunto così tante forme ed è passata per le mani di altrettante personalità che non ha davvero alcun senso parlare di canone o negare a priori il cambiamento. Star Wars non è l’oggetto del desiderio di una nicchia che predica l’ortodossia, è qualcosa che è sempre appartenuto a tutti. Quindi, piaccia o non piaccia, chi si occupa oggi di portare uno Star Wars sul grande schermo ha tutto il diritto di svecchiare e adattare la saga ai gusti delle nuove generazioni.

Quel che mi chiedo è: Gli ultimi jedi è un reale cambiamento?

Come già scritto da giopep su queste pagine, la cifra stilistica di questo nuovo corso consiste nel ricalcare le orme della trilogia originale, rimescolando di tanto in tanto gli elementi per dare la sensazione di dire qualcosa di nuovo in un contesto familiare. Per quanto la cosa sia meglio mascherata rispetto a Il risveglio della forza, che non si preoccupava di non sbatterti in faccia il fatto di essere una sorta di remake di Una nuova speranza, Gli ultimi jedi resta una mistura di situazioni già viste ne L’impero colpisce ancora e ne Il ritorno dello jedi, alla quale è stata aggiunta un noioso inseguimento stile Battlestar: Galactica delle case popolari (ovvero, che non ha la stessa gravitas e quel senso di disperazione della serie televisiva in questione) e un’avventurina al casinò di Canto Bight, che è forse il punto più debole del film. Non è un problema: Star Wars è un eterno ritorno di situazioni già viste, di battute già ascoltate e di gesti ripetuti in epoche diverse. È una caratteristica della saga che lo stesso Lucas ha sfruttato nella trilogia prequel, quindi lamentarsene ora e tirare in ballo la presunta influenza negativa della longa manus di Disney non ha alcun senso.

Così come non è un problema la linea comica dell’ottavo episodio. Certo, il linguaggio è cambiato rispetto a quarant’anni fa (e grazie al cazzo), la modernità è segnata dai blockbuster Marvel, che tendono a smorzare i toni e le atmosfere pesanti, ed è decisamente anacronistico che le battute escano esclusivamente dalla bocca di un numero limitato di personaggi che hanno scritto in fronte “spalla comica”. Può fare un certo effetto che Luke, il personaggio del lotto dei buoni della trilogia classica che più si prende sul serio, sia diventato un anziano scorbutico incline all’ironia e al sarcasmo. Ma davvero vi suona così strano? Yoda, il più saggio tra i saggi, quello che non si scompone mai, nemmeno davanti al male incarnato, nella sua prima apparizione esordisce da piccolo imbecille con la voce squittente, poi, tolta la maschera, diventa un vecchietto irascibile che sputa sulle convinzioni del giovane apprendista e fa lo sborone con gli Ala-X sommersi. Né più né meno di questo “nuovo” Luke Skywalker.
Questo a prescindere dal fatto che in Star Wars s’è sempre riso e scherzato di gusto, raggiungendo a volte bassezze che nessuna gag de Gli ultimi jedi può neanche lontanamente sfiorare.

C'è del buono in questo ottavo episodio: il combattimento all'arma bianca tra Rey, Kylo Ren e le guardie pretoriane di Snoke lascia a bocca aperta per complessità, intensità e gusto della messa in scena. Il conflitto interiore e l'approfondimento di Kylo sono notevoli; a scapito di quanto dica Snoke, sul piano extradiegetico Ben Solo si conferma un personaggio memorabile, con margini di miglioramento superiori a quelli di Darth Vader, a mio parere. È il villain perfetto per i nostri tempi, dove i giovani vengono privati di un futuro da una società che è il frutto dei fallimenti delle generazioni precedenti e nella quale per emergere bisogna diventare spietati.

Mi sono piaciuti lo spirito avventuroso e il carisma di Poe Dameron, l'inventiva dietro le nuove creature e i nuovi luoghi mostrati, i combattimenti nello spazio (sempre bellissimi), così come alcuni momenti di nostalgia, più genuina e spontanea di quanto visto nel precedente episodio. Anche l’esplicito passaggio di consegne sul finale, che per certi versi sembra uno di quei commercial che giocano sulla magia di Star Wars appiccicato al film senza soluzione di continuità, suscita simpatia, e lo farà in special modo in coloro che porteranno al cinema nuovi piccoli proseliti.

Inoltre, e bisogna rendergliene merito anche alla luce dei recenti eventi occorsi in quel di Hollywood, è il blockbuster che mette in scena più diversità. Non solo ci sono un gran numero di etnie diverse - compresi ispanici e asiatici, di solito messi da parte dal discorso black vs white - ma anche tanti personaggi femminili, che offrono una diversa prospettiva sul ruolo salvifico della donna, non più passivo e puramente psicologico, ma attivo: elaborano piani migliori di quelli avventati degli uomini, si privano di qualcosa a loro caro pur di ottenere un bene superiore per la collettività, si sacrificano per portare a termine una missione, per salvare quel che resta del loro esercito, per impedire a un amico di compiere inutili gesti estremi.

Purtroppo, nonostante abbia le carte in regola per farti commuovere in un sacco di occasioni, l’ho trovato volontariamente anticlimatico. La prima ora e mezza di film m'è parsa priva di ritmo, verbosa, didascalica, piena di concetti spiegati e ripetuti almeno un paio di volte, a prova di "spettatore rincoglionito". Ho trovato la scala del conflitto tra Primo Ordine e Resistenza ingiustificatamente modesta, roba che gli scontri tra i due eserciti sembrano scaramucce tra sparute bande di poracci. Non mi hanno convinto la gestione di alcuni personaggi secondari "usa e getta", vedi Phasma (mi chiedo con che coraggio il marketing Disney provi ancora a vendere la sua action figure), e nemmeno il modo in cui spoglia di pathos il finale di Il risveglio della forza. E oltre a tutte queste cose qui messe insieme, mi ha sorpreso in negativo il fatto che ci siano almeno tre o quattro cose per me orribili da vedere, dall’ormai già famigerato volo di Leia nello spazio al duello tra Kylo Ren e l’ologramma, o quello che è, di Luke.

Ma volendo analizzare la questione a bocce ferme, forse non è nemmeno questo il problema. In fondo sono tutte cose che ho sempre perdonato a uno Star Wars, visto e considerato che, probabilmente, l’unico che può fregiarsi di una realizzazione impeccabile e del fatto di essere invecchiato benissimo è L’Impero colpisce ancora. Il fatto, però, è questo: non mi sono emozionato come avrei voluto. A tratti, Gli ultimi jedi mi ha addirittura infastidito e il problema, dal mio punto di vista, è la natura stessa de Gli ultimi jedi.

Ora, a me dei dogmi non frega nulla. Fanculo i dogmi, prendili e fanne quello che vuoi; bruciali, se necessario. Vuoi inventarti di sana pianta tutta la manfrina dei Midichlorian? Benissimo, non mi dispiace, immaginavo che i jedi avessero un modo per identificare i nuovi possibili adepti, se mi stai dicendo che facevano le analisi del sangue ai marmocchi a me sta bene.

Gli ultimi jedi è un film profondamente iconoclasta. Non solo fa cose con la forza che non erano mai state fatte prima - e può permettersi di farlo, visto che la forza è un concetto vago, la cui conoscenza, nei sette film precedenti, è sempre stata un processo in divenire - ma prende anche alcune costanti della saga e le demolisce. In tutti gli altri Star Wars c'era un megacattivo che muoveva i fili dietro le quinte? TAC, qui te lo ammazzo come un cretino e lascio il suo cadavere lì, con la lingua penzoloni e lo sguardo da fesso.

C'è sempre un bel combattimento all'arma bianca finale che rappresenta il culmine del climax? TAC, qui Kylo Ren combatte contro un'ologramma, facendo una figura di merda davanti a ciò che resta del Primo Ordine.

I dogfight sono i momenti in cui, di solito, crepa più gente e tutti i piloti si prendono tremendamente sul serio?

TAC, scherzone telefonico al generale Hux.

Il maestro jedi è duro, ma bonario e contento di trasmettere il proprio sapere?

TAC, Luke s’è rincoglionito e ha voglia solo di andare a pesca.

E il comportamento nei confronti di Il risveglio della forza è altrettanto, squisitamente, irrispettoso: fanculo i cavalieri di Ren, fanculo il passato di Rey e quello di Snoke, fanculo tutta la mitologia che JJ Abrams aveva provato a mettere in piedi.

Benissimo, applausi a scena aperta. Ma poi? Cosa aggiunge di suo Gli ultimi jedi? Cosa costruisce, di veramente nuovo, sulle macerie delle vestigia del passato? Nulla. O meglio, nulla rispetto a quanto non avesse già fatto il tanto vituperato Abrams. La sensazione è che tutto quello che di buono c’è nell’ottavo episodio sia solo una naturale evoluzione di quanto fu introdotto dal settimo e che fare il contrario delle cose che facevano i film precedenti non sia sufficiente per parlare di vero cambiamento.

Al di là del fatto che lascia dietro di sé un terreno arido per nuovi interrogativi, teorie ed elucubrazioni, Gli ultimi jedi è un episodio di transizione che consegna alla storia della saga solamente due cose: un atteggiamento spregiudicato nei confronti della tradizione, che difficilmente farà scuola nell’immediato futuro, visto che il prossimo episodio sarà scritto e diretto di nuovo da Abrams, e una tabula rasa sulla quale costruire qualcosa di veramente nuovo. Una situazione finale aperta che, al netto di qualche cambiamento marginale e del lavoro di aggiunta su alcuni nuovi personaggi, non differisce poi così tanto da quella con cui ci eravamo lasciati nel 2015. Non è una rivoluzione, è un incidente di percorso.

Lo rivedrò solo altre tre volte, oggi. Spero almeno di emozionarmi di nuovo.

P.S.
La trilogia prequel resta una merda.