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Sì a Smetto quando voglio: Masterclass, sì al nuovo corso del cinema italiano

Qualche tempo fa, mi sono ritrovato a frequentare questo workshop di giornalismo musicale, un argomento un po’ lontano da Outcast (ma nemmeno troppo, vedi Sound Shower), e dal quale, tra l’altro, ho preso pure le distanze. Comunque, fra le tante cose dette, quella che più mi ha impressionato è stata quando uno degli insegnanti si è messo a dire, vado a memoria, una roba del tipo: «Evitate di attingere a quel campionario di frasi fatte che trovate di solito su tanti siti e riviste. Ad esempio “il disco della maturità” e altre amenità del genere». Un concetto su cui mi ritrovo, anche ad anni di distanza, e che è applicabile a qualsiasi altro tipo di elaborato scritto. Alla luce di ciò, descrivere Smetto quando voglio: Masterclass come “una buona commedia per essere italiana” – commento letto in diversi angoli dell’internet – sarebbe una di quelle facilonerie ancora più fastidiose perché errate in principio. Questo perché Sydney Sibilia è riuscito a confezionare, dopo un primo episodio buono ma nemmeno troppo, un vero gioiellino, che intrattiene dall’inizio alla fine, facendo divertire davvero chiunque.

Gli eventi di questo Smetto quando voglio: Masterclass prendono il via da quello che era stato il finale del primo capitolo, con Pietro (interpretato da Edoardo Leo), il ricercatore di biologia a capo della banda dei ricercatori protagonista nel primo film, in galera a scontare la pena per i reati commessi e per cui ha patteggiato. Pena che però, si scopre, rischia di allungarsi per via di un’altra serie di reati, non da poco, che vengono a galla da un testimone chiave e che coinvolgono l’intero gruppo, facendo rischiare a tutti di essere condannati ad oltre dieci anni di reclusione ciascuno. Come ne potranno uscire fuori? Riunendosi di nuovo, ovviamente, ma questa volta col tacito consenso della Polizia di Stato, che tramite un giovane ispettore assegna loro una specie di missione sotto copertura: l’obiettivo è quello di sfruttare le conoscenze della banda per scovare almeno trenta diverse tipologie di smart drug, quel tipo di stupefacenti dalle sostanze psicotrope legali e non punibili penalmente, e della cui produzione e spaccio i protagonisti si sono resi partecipi nel primo film. Gli unici mezzi a loro disposizione saranno così le proprie abilità, frutto di anni di studi universitari, l’esperienza maturata sul campo e tanta, tantissima improvvisazione – ottima sponda per una miriade di gag, per altro tutte riuscitissime.

Uno dei veicoli rientrante nel diesel-gate.

Una delle cose che saltano prima all’occhio è l’accantonamento della componente di denuncia sociale, di cui il primo Smetto quando voglio era pregno. Se nel precedente capitolo ci veniva infatti ricordato ogni due per tre che questa banda era sostanzialmente obbligata a delinquere, visto che lo status quo li aveva messi all’angolo, ignorando tutti i loro meriti accademici, di questa cosa in Masterclass quasi non ce n’è traccia. Tutto è praticamente subordinato allo spettacolo messo a schermo, che è, va ricordato, di pregevole fattura. Nonostante venga etichettato da qualcuno come uno dei più classici more of the same, Smetto quando voglio: Masterclass ha una personalità propria e distinta, che riprende l’archetipo precedentemente creato per reinventarsi, proponendo un film fresco e dalla comicità intelligente. La sensazione, che si aveva col film del 2014, di guardare una sorta di Breaking Bad comico in salsa italiana, in questo sequel è completamente svanita. A venire a galla è invece la personalità dei protagonisti; alcuni sì ancora relegati al ruolo di macchietta, altri realmente riusciti, che anche più di prima riescono a far venire a galla i propri tratti distintivi, accompagnando e interagendo alla perfezione con tutte le situazioni tragicomiche che si porranno davanti al loro percorso.

I laureati in materie umanistiche non vanno bene neanche per fare i pali.

Insomma, in Smetto quando voglio: Masterclass funziona davvero tutto. Dagli attori alla sceneggiatura, dalla fotografia coloratissima a una regia sempre puntuale e dalla personalità propria. Sì, certo, qualche sbavatura qua e là c’è, ma con questa pellicola, anche più rispetto a quella del 2014, Sydney Sibilia ha dimostrato a tutti, insieme a Matteo Rovere (Veloce come il vento) e Gabriele Mainetti (Lo chiamavano Jeeg Robot), che anche in Italia è possibile fare del cinema intelligente.

Ho visto Smetto quando voglio: Masterclass sfruttando l’iniziativa del Cinema2Days; quella del cinema a 2 euro ogni secondo mercoledì del mese. Prima e ultima volta che prendo parte ad una roba del genere. Tralasciando tutte le componenti economiche, c’era una calca che ha messo a dura prova la mia agorafobia; robe che non vedevo dai tempi del concerto dei Radiohead, giuro, e aggravata dalle ridotte dimensioni del cinema dove mi sono recato. Comunque, questo è l’ultimo mese in cui l’iniziativa del Cinema2Days è valida. Almeno in teoria, visto il ministro alla cultura Dario Franceschini ha scritto su L'unità che riproporrà l’iniziativa, a dispetto delle lamentele di tanti cinema che pure hanno partecipato.