Post Mortem #29: A Mortician's Tale e come i giochi trattano, per l'appunto, la morte
Una rubrica in cui vi raccontiamo i post mortem dei principali videogiochi, vale a dire le considerazioni a posteriori, da parte dei membri del team di sviluppo, su cosa abbia funzionato e cosa no durante il lungo processo che porta alla nascita di un videogioco.
Quest'anno, le mie prime due giornate di Game Developers Conference sono un coacervo di appuntamenti, con poco spazio per le conferenze. Ma d'altra parte, i talk per me davvero interessanti, sono più concentrati che mai nel resto della settimana. Il primo giorno, però, ho trovato il tempo di infilarmi a seguire l'intervento di Gabby DaRienzo, cofondatrice di Laundry Bear Games, che ha sfruttato il loro gioco A Mortician's Tale come nucleo centrale di una chiacchierata su come la morte viene trattata nei videogame.
La morte è, da sempre, elemento fondamentale del videogioco, utilizzato per punire gli errori, intrecciato a doppio filo con le meccaniche, rielaborato con sperimentazioni e innovazioni sul modo in cui viene gestito, fra l'utilizzo dell'energia vitale, le tipologie di respawn, idee come il permadeath, la scelta o meno di far perdere al giocatore quanto accumulato fino al momento della dipartita e via dicendo. Storicamente, poi, nei generi che mostrano attenzione per l'elemento narrativo, la morte ha un ruolo fondamentale, tipicamente legato alla scelta di uccidere personaggi che nel corso del gioco sono diventati emotivamente importanti per il giocatore.
La trilogia di Mass Effect è un ottimo esempio, in questo senso, per il modo in cui si gioca la morte di alcuni personaggi solo dopo averteli fatti approfondire a dovere tramite lo sviluppo delle relazioni e, oltretutto, spesso raccontando di morti causate dalle scelte del giocatore. Un altro esempio eccellente è quello di Aeris in Final Fantasy VII, citato da tantissima gente come la morte più toccante nella storia dei videogiochi. E se funziona, non è solo per le scelte narrative, ma anche per il modo in cui si intreccia con le meccaniche: Aeris era una curatrice, un personaggio che si finiva per usare molto e dal quale si tendeva a dipendere. La sua scomparsa non era solo un problema a livello emotivo, ci vedeva anche strappato un personaggio molto utile. Ebbene, questo giocare sull'unire meccaniche e narrazione è fondamentale, secondo DaRienzo, per far funzionare la morte nei videogiochi.
L'utilizzo della morte più significativo per la sua carriera da videogiocatrice, però, arriva da Nintendo e si lega in maniera indissolubile alla vita vissuta. Quando DaRienzo aveva dieci anni, una sua compagna di classe morì in maniera orribile assieme alla madre e Gabby patì moltissimo la cosa, faticando ad accettarla per lungo tempo. Ebbe la fortuna di essere aiutata da sua madre, che la incoraggiò a parlarne e a fare domande, rispondendole sempre in maniera sincera (come, dice DaRienzo, bisogna fare con i bambini, quando si parla di morte), e la spinse ad esplorare l'argomento in maniera creativa.
DaRienzo lo fece giocando a The Legend of Zelda: Majora's Mask, noleggiato da Blockbuster. Nel gioco, si ha la capacità di vivere e rivivere sempre lo stesso periodo di tempo, mentre si prova a salvare da morte certa gli abitanti di un luogo dall'imminente e devastante caduta della luna. Queste persone, però, non sanno che tu, Link, sei in grado di affrontare il problema grazie ai tuoi poteri: sanno solo di essere destinate a morire. E ognuno ha le sue reazioni: c'è chi fa finta di niente, chi vuole scappare, chi continua a portare avanti la propria vita perché tanto non può farci nulla… osservare questo genere di reazioni colpì moltissimo la giovane Gabby, che si mise a parlare con ogni singolo cittadino del gioco per approfondirne i comportamenti. Fu un'esperienza catartica, che la aiutò ad elaborare il lutto.
Nel 2015, DaRienzo ricevette in regalo il libro Smoke Gets in Your Eyes, scritto da una donna che lavora alle pompe funebri e che parla della sua esperienza, dell'industria della morte e dell'idea di accettare la morte e approcciarla con positività. In questo senso, dice DaRienzo, chi appartiene alla cultura occidentale parte svantaggiato, perché siamo popoli poco avvezzi ad affrontare la morte in maniera serena. Men che meno i nordamericani. Bisognerebbe invece essere più positivi, che non significa far finta di nulla di fronte alla morte, ma imparare ad accettare la tristezza che ne nasce e tutto ciò che le ruota attorno. Ed è anche per lavorare sulla comunicazione di queste idee, per aiutare le persone ad approcciare la morte in maniera diversa, che è nato A Mortician's Tale, un gioco dalla forte impronta narrativa, che ci pone ai comandi di una donna impiegata presso le pompe funebri e che ricerca fra i suoi punti forti un grandissimo realismo.
DaRienzo e i suoi colleghi di Laundry Bear Games si sono documentati moltissimo, parlando con tante persone della loro reazione al lutto ma anche studiando a fondo le pratiche lavorative, i processi di imbalsamazione e cremazione, per fare in modo di restituire un'esperienza aderente alla realtà e che permettesse di “assorbire” il tema trattato. In questo senso, è stata fondamentale l'idea di mantenere un “contatto” con i cadaveri. Del resto, molte culture prevedono che l'elaborazione del lutto passi anche dal trascorrere del tempo coi cadaveri, cosa che, di nuovo, è quanto di più lontano possa esserci dalla cultura nordamericana.
Chiaramente, nel realizzare qualcosa del genere, diventa importante anche trovare il giusto equilibrio fra precisione, realismo e voglia di evitare ciò che potrebbe risultare troppo macabro, opprimente o disgustoso. Da lì nasce per esempio la palette di colori: il primo prototipo di A Mortician's Tale è stato sviluppato su Pico 8, un sistema molto limitato, utilizzando una palette virata al viola, che però funzionava per dare il giusto aspetto al gioco e venne mantenuta nel passaggio a Unity. I personaggi sono stati disegnati con uno stile caricaturale, per evitare l'effetto “uncanny valley”. Il realismo è stato qua e là sacrificato per non esagerare con l'attenzione al dettaglio più trucido. Le meccaniche di interazione coi cadaveri si ispirano in buona parte a quelle della serie Trauma Center, distaccandosene però per la totale assenza degli elementi di stress, della possibilità di fallire (anche per evitare di mancare di rispetto ai corpi massacrandoli di coltellate). E, ancora, il personaggio principale non parla, perché fa da avatar “trasparente”, permettendo a tutti di vivere le cose alla propria maniera e lasciando spazio ai racconti altrui.
Il lavoro di ricerca è stato fondamentale non solo per ricreare al meglio l'interazione coi cadaveri nelle varie procedure, ma anche per riprodurre il lato emotivo. Parlando con varie persone che lavorano nel settore delle pompe funebri, è stato chiesto più volte se e come fosse capitato loro di non riuscire a fare il proprio lavoro. Qualcuno potrebbe aspettarsi che la risposta riguardi il lato più “pratico” delle procedure, ma in realtà il problema è sempre nel livello di conoscenza della persona morta. Se chi deve occuparsi del cadavere lo conosce, conosce la sua storia, conosce i suoi famigliari, la situazione emotiva può diventare ingestibile. Pur quindi mantenendo la decisione di non inserire nel racconto cadaveri di persone conosciute dal personaggio principale, si è lavorato sulle loro vicende, stando attenti a proporre le storie più tristi nella parte finale del gioco. E, pensa un po', osservando i video degli streamer, gli sviluppatori hanno notato che, quando si occupavano di quei cadaveri, i giocatori stavano molto più attenti, erano più lenti nelle procedure.
In conclusione, Gabby DaRienzo ha voluto sottolineare come negli ultimi anni gli sviluppatori indie abbiano lavorato tanto e bene per sperimentare tanti approcci diversi alla morte nel videogioco e ha invitato gli sviluppatori in sala a ragionare sull'intreccio fra meccaniche e narrazione. Ha sottolineato come non ci sia nulla di male nell'appoggiarsi su pratiche note, che funzionano, ma anche che è importante cercare di inventare nuovi approcci, che bisogna essere comprensivi coi giocatori, perché non ci si può aspettare la stessa risposta alla morte da tutti, e che è importante imparare a comprendere e affrontare il proprio, di approccio, a questo tema così delicato.