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La quantità di cose che cambiano in un anno è inquietante. Dalle piccole alle più grandi, dalle tangibili alle immateriali. Il cambiamento è probabilmente l’unica costante che per definizione ci accompagna tutta la vita e a cui proprio non facciamo l’abitudine. Un anno sei disoccupato, a febbraio, a Genova, che cerchi di fare entrare i cocci di un cuore spezzato dentro la valigia per San Francisco. L’anno dopo sei a Milano perché ci lavori e ci abiti, sei felice, non vedi l’ora di partire per San Francisco a marzo. Un giorno sì e l’altro no pensi che sembra una vita fa che hai comprato i biglietti dell’aereo, o messo la tua parte della casa su AirBnB (la stessa settimana che pagavi la caparra per la casa di Milano, perché che schifo i soldi!), poi ti ritrovi a raccattare la valigiona intercontinentale a casa dei tuoi e pensi che, oh, il momento di partire è già arrivato? Ma marzo non era tra quattro mesi?

Passi le giornate ad aspettare la mail di mamma giopep, per metterti in quello stato mentale, per cercare un po’ di escapismo, un po’ come faceva Celentano con l’estate, e in effetti all’improvviso eccola qua. Sembrava non dovesse arrivare mai, e invece è arrivata e ti prende di sorpresa: pianifica, gestisce, propone, ti ricorda cose, un po’ ti bacchetta (l’NBA, dai!), ma in fondo ti stringe a sé con un calore di cui, ormai, non puoi più fare a meno. È tutto bellissimo.

Le cose cambiano, si diceva, ma la GDC rimane sul fondo della testa di tutti noi, qui su Outcast. C’è chi manda mail già a luglio (presente!) per dire che, ehi, parliamone, di questo viaggio. Come Amici miei, ma senza quella iattura dei toscani: siamo tutti presi da mille cose, ognuno ha vite ben più grandi di loro da gestire e con cui coordinarsi… c’è un padre che si deve organizzare e un paio non sanno dove staranno di casa o tantomeno se avranno i soldi per imbarcarsi in una settimana dall’altro lato dell’oceano, c’è chi non si ferma mai, c’è chi deve far pascolare le pecore. Ma forse, proprio per tutti questi motivi, c’è bisogno di GDC, di riunirsi in una zingarata intercontinentale, di ritrovarci ancora una volta.

Personalmente, nonostante il mio listone dei giochi giocati si riduca di anno in anno a un Post-It (d’altronde, i cambiamenti), e mi sia ormai chiaro che questa faccenda di scrivere sia un simpatico, inconcludente passatempo, mi è davvero impossibile rimanere indifferente davanti al Session Scheduler della GDC prima, e alla mega scrematura che giopep ci propone direttamente su Google Calendar poi. Leggere i titoli di alcune presentazioni, pensando di scoprire come hanno sviluppato NBA Jam o Ultima Online (o addirittura Sonic, che mi ha sempre fatto cacare, ma vuoi mettere?), cos’hanno in comune Splatoon e Mario Kart, o cosa ci sia stato dietro a questo o quel gioco che è lì nel backlog, in qualche modo, mi butta nei polmoni l’aria dei corridoi del Moscone Center. Per certi versi, non è neanche un posto dove vado per i videogiochi, in senso stretto. La Game Developers Conference, per me, è soprattutto un luogo dell’anima, dove soddisfo curiosità che non pensavo neanche di avere, per giochi a cui non pensavo neanche di voler giocare. E a cui probabilmente neanche giocherò mai.

In effetti, assieme al pensiero costante per la GDC, quello che mi fa mandare le mail parliamone in piena estate, in fondo alla mia testa c’è anche un piccolo, grande timore. È uno di quei timori ancestrali tipo “Cosa succede dopo che sei morto?”, quelli che zittisci il 99.9 per cento del tempo, un po’ perché la risposta è comunque più grande di te e, soprattutto, perché sai che in cuor tuo non vuoi davvero sentirla. “Cosa succederà il giorno in cui non potrò più andare alla GDC?”. Voglio dire: anche in un mondo ideale in cui impegni, la vita e il costo (e qui non sarei io se non vi ricordassi che potete coprirci di soldi!) non sono fattori, anche solo il fatto di non riuscire a giocare più come una volta mi fa pensare che arriverà il giorno in cui capirò di che si parla solo durante i Classic Game Postmortem.

Ma se c’è una cosa che mi ha insegnato quel vecchio party boi di Lovecraft, è proprio che le paure ancestrali vanno ignorate bellamente. In effetti, fino a quando potrò e fino a quando ci sarà qualcuno con cui dividere la pazzia, andrò a riprendermi un pezzo del cuore che ho lasciato a San Francisco. Indipendentemente che sia una GDC ricca di appuntamenti immancabili o una versione USA della sagra della salsiccia, la traversata è prima di tutto un modo per ricordarci perché amiamo così tanto fare quello che facciamo, anche se non ci dà una lira.

Penso, banalmente, al fatto che quest’anno siamo solo in tre, ma abbiamo cominciato da un po’ a lavorare sottotraccia ai contenuti che vogliamo realizzare, sperando di aumentare la qualità dei contenuti video (che poi sono quelli più facili da realizzare) senza rinunciare alla necessaria locura. Per dire, avrete già notato le nuove videosigle di Outcast - cortesia di Davide Mancini - in linea col logo arrivato a ottobre, a cui si accompagneranno dei video finalmente liberi da effetto vomitino grazie al GIMBALONE™, per la gioia di grandi e piccini.

Soddisfazioni.

Poi, oltre a popolare il nostro canale YouTube di fatti nostri e video trafugati che vengono trafugati a nostra volta, pur essendo in tre, puntiamo comunque a coprire i cinque giorni di fiera con un articolo al giorno qui sul sito, oltre a tutta la copertura che seguirà con calma nei giorni seguenti. Il che, inevitabilmente, farà sentire ulteriormente la mancanza dei due manigoldi che sono rimasti a casa, causa vita. Come dicevo l’anno scorso, “le cose belle sono ancora più belle se le fai con le persone a cui vuoi bene”, e se da un lato è vero che la GDC è splendida anche perché ti fa recuperare un pezzo di cuore, dall’altro sai anche che tra una conferenza e l’altra, tra una birra e una chiacchiera, penserai a chi hai lasciato a casa e che vorresti lì con te, per rendere tutto ancora migliore.

E, insomma, per il terzo anno di fila è di nuovo San Francisco, ancora GDC. E, per il terzo anno di fila, è tutto uguale e tutto diverso: i voli lunghi e l’avvento di Nintendo Switch, la città che ami e una casa da scoprire (quest’anno vicinissima al Moscone!), una serie di conferenze pazzesche e di robe tutte nuove, persone che non vedi l’ora di ritrovare e altre che lasci a casa, e vorresti fossero lì a godersi una delle settimane più belle dell’anno.

Ragazzi, lo so che non siamo ancora partiti, che un anno è lungo, che succedono un sacco di cose, ma... l’anno prossimo ci torniamo? Parliamone, dai.