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In Assassin's Creed Odyssey si sente il profumo del mare

Sono stato in Grecia due volte, per due estati di seguito. Non sono state vacanze dedite alla follia sfrenata e ai bagordi, nonostante un doppio passaggio a Mykonos causa aereo e un viaggio della speranza vagabondando tra le Cicladi per colpa di traghetti strapieni. 

La mia meta è stata ambo le volte Tinos, placida dirimpettaia della più famosa isola dei mulini e delle discoteche. In 365 giorni, la Grecia è stata testimone di un rituale di passaggio verso un nuovo, splendido, capitolo della mia vita. Il primo anno sono fuggito da quelle parti dopo un momento complicato: post laurea, post amore, post esperienza lavorativa intensa ma finita malissimo. Sono tornato dalla Grecia che avevo 15 euro sul conto in banca, un naso bruciacchiato, ma almeno ero in pace con me stesso. Un anno dopo, la vacanza mi è quasi saltata a causa della mia prima, improvvisa, gamescom, questa storia di scrivere di giochini stava diventando un lavoro vero e, nel rimandare di una settimana la partenza, ha finita per venire con me una ragazza che mi avrebbe accompagnato in giro per il mondo per cinque anni incredibili. 

Il mio primo giorno in Grecia. Foto scattata camminando per Mykonos.

La prima volta, ero talmente concentrato su di me che non sapevo cosa aspettarmi dalla Grecia, cosa volessi e, anzi, in parte forse ero anche prevenuto. E invece mi ha dato tanto, molto più di quanto io sia riuscito a ricambiare, ma anche solo immagazzinare, catturare, braccare. Mi ha insegnato il valore del tempo, placido, lento, immobile, ma anche dell’attesa e della persistenza. Ho scoperto davvero il rumore del vento, vero, sferzante, che toglie il respiro perché è talmente forte da far male. Ho imparato che esistono tonalità di blu nel mare che non avrei neanche immaginato prima. Mi ha fatto apprezzare una dimensione che in letteratura avevo imparato a definire arcadica ma se non la vivi, non la tocchi, poi diventa difficile capire perché una definizione geografica così locale sia diventata un’immagine così potente. Le due parentesi greche mi hanno consegnato rinnovato a me stesso, sono state iniziazione e consapevolezza, ed è singolare quanta mitopoiesi ci possa essere in un luogo. Magari è solo suggestione letteraria, finanche scolastica, ma quando fermi la macchina nel parcheggio di un locale per andarti a bere una cosa e vedi in controluce un concerto di una band folk che sembra raccontarti qualcosa di familiare, nonostante tu non capisca una sega di quello che dicono, alla fine penso che mi vada bene anche la suggestione. Uno può chiamarla pure felicità.

Ma cosa c’entra il diario delle vacanze con la Grecia? Avete ragione, siete qui per i punti di osservazione e per la sincronizzazione. Considerate la prima parte una sorta di memoria genetica, che serve a entrare in osmosi con me. Lo so, Kassandra e Alexios sono meglio, ma su Outcast ci sono io, abbiate pazienza. Assassin’s Creed, dunque. Per chi (ancora) non lo sapesse, nonostante mi piaccia fare il sommelier dei titoli ricercati a cui giochiamo in tre, la saga di Ubisoft è una tra le mie preferite e non la considero neanche un guilty pleasure ma, anzi, proprio una figata. Il motivo? La trovo, insieme ad Uncharted, la serie che più incarna lo spirito popolare del mezzo. Riuscire a parlare a tutti è estremamente complicato ma, nonostante i suoi passaggi a vuoto, il franchise di Ubisoft l’ha sempre fatto, come un blockbuster a volte anche pachidermico, ma potente. 

Come qualsiasi icona popolare, anche il Credo inventato da Ubisoft è sempre stato, anche giustamente,  un polo di attrazione di critiche, perché è contemporaneamente ciò che funziona e non funziona del sistema e, in quanto simbolo, va tanto odiato quanto amato. Parlare a tutti vuol dire polarizzare le opinioni, siamo in quel periodo storico in cui non se ne può fare a meno, pare, ma il fatto stesso di essere in grado di farlo significa avere una forza eloquente nel rappresentare un modo di fare intrattenimento: condivisibile o meno, Assassin’s Creed si erge sempre come un gigante. Una creatura enorme, che con lentezza e costanza ha macinato consensi, è caduta facendo e facendosi male ma si è anche saputa rialzare. 

Anche la saga ha trovato la sua Grecia e riscoperto un’Identità parzialmente perduta rinnovandosi, cambiando, andando avanti, pur se indietro nel tempo del racconto. Alla fine, la forza vera e prorompente della serie non è mai stata né nel gameplay, né, strettamente, nel raccontare storie, ma quella di farci immergere in universi fantastici da visitare, esplorare, scalare. Città, regioni o nazioni, sono le ambientazioni le vere protagonisti della saga e la loro capacità di essere luoghi dell’immaginario, prima che ricostruzioni (per quanto, spesso, anche quelle siano ottime): la Grande Storia, in Assassin’s Creed, non è quella dei libri, ma quella filtrata dai romanzi, dalle narrazioni che ci siamo raccontati su quegli sfondi, dai miti. È la storia percepita attraverso posti, simboli e icone: immediata, accessibile, di tutti.  E per ritrovare questo spirito e riproporlo in chiave rinnovata, Assassin’s Creed si è dovuto perdere nel deserto dell’Egitto prima, con Origins, e ha definitivamente completato la transizione in Odyssey, tra le isole della Grecia antica.


Assassin’s Creed Odyssey è un gioco immoralmente enorme: un’operazione impressionante per quantità di contenuti, DLC, materiali aggiunti. C’è di tutto, dalla modalità Discovery che è il solito gioiellino di edutainment per esplorare al meglio uno dei diorami più folli e curati che abbiamo a disposizione, a quella Creator che dà la possibilità di crearsi le proprie quest, che ha generato sia dei mostri come L’omicidio di Pippo Baudo, sia contenuti di qualità come The Fate of the First Woman. In mezzo, c’è un gioco di azione e avventura che mescola il gameplay classico della serie con un impianto RPG leggero, colorato, casinaro: è genuinamente divertente, con più di una ingenuità, momenti brillanti e altri dimenticabili, con una scrittura che funziona quando non viene ingolfata di roba superflua. La quantità potenziale di tempo che si può trascorrere in Grecia in compagnia è folle, quasi offensiva.  Per fortuna non c’è bisogno di vedere tutto, di divorare ogni cosa, perché la qualità principale di Odyssey è quella di poter ignorare l’opulenza e dedicarsi al proprio viaggio. Ognuno compie la sua odissea personale, nei panni di Kassandra o di Alexios, sceglie il suo percorso, decide come affrontarlo, cosa perdersi, quando perdersi, dove perdersi.

Tutto questo è possibile perché la Grecia bucolica, colorata e perduta messa in scena da Ubisoft non è un luogo credibile in sé e per sé come, per esempio, la realistica frontiera di Red Dead Redemption 2, ma è lo scenario perfetto per trovare piccoli frammenti di meraviglia. Al di là della monumentalità e della bellezza architettonica, in parte ricostruita, ipotizzata o semplicemente immaginata da zero, Odyssey, della Grecia, ha rapito i colori, le atmosfere e l’estrema varietà di paesaggi. Soprattutto, c’è la capacità di produrre il mito e l’immensità quasi inafferrabile di quelle terre, quel carico di storia assolutamente filtrata dalla letteratura, dalla memoria e dai racconti. E la cosa migliore è che tu puoi stare fermo, su una colonna, ad ammirare quella distesa di epica così, a tua disposizione, senza farci nulla, guardandola scorrere dall’alto e respirandola per il gusto di farlo.

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Assassin’s Creed Odyssey: Discovery Tour raccontato da Maxime Durand | Outcast Reportage Outcast Staff

Non penso finirò mai al 100% Assassin’s Creed Odyssey, anzi, credo che coltiverò l’illusione di immaginare che ci sia sempre un angolo di quel mondo immenso che non conosco, che potrebbe meravigliarmi. La verità è che continuo a giocarci regolarmente, dall’ottobre del 2018, anche per sessioni brevi, e mi basta andare sulla costa, guardare il mare e correre sulle spiagge. Sembra una stupidaggine ma la resa delle onde che arrivano a riva, della risacca, della spuma sull’acqua, l’ho sempre trovata incantevole. Un dettaglio davvero minimo, una manciata di pixel che si affannano a sembrare schizzi credibili e, incredibilmente, ci riescono. Un open world non è necessariamente cose da fare, ma anche un rifugio dove ritrovare sensazioni che conosciamo, che ci fanno esplorare ambienti che per noi significano qualcosa. In Assassin’s Creed Odyssey quelle onde per me sono tutto, quell’azzurro è lo stesso che ho scoperto in quelle estati e sembra quasi di sentire il profumo del mare portato dal vento.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata all’escapismo, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.