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ATONE: Heart of the Elder Tree è come un piatto di spaghetti alla puttanesca cucinato in Finlandia

Tre uomini riuniti intorno a un falò a bere sidro e chiacchierare allegramente, ignari di quello che di lì a poco succederà al loro villaggio. Uno di questi è Thyon, figlio di Mytrigg e padre di Estra. Nel breve prologo che introduce alla storia vera e propria impersoniamo per qualche minuto Thyon, giusto il tempo di acclimatarci, acquisire le meccaniche di gioco per essere poi uccisi ai piedi dell’albero sacro. Poco prima di esalare l’ultimo respiro dinanzi alla sua figlioletta, Estra, Thyon le porge il ciondolo magico appartenuto da sempre alla sua famiglia e al suo popolo. Dieci anni dopo intraprenderemo un viaggio nelle desolate e fredde terre fortemente ispirate dalla mitologia norrena nei panni di Estra, ora cresciuta e pronta a scoprire il passato della propria famiglia.

Quattro chiacchiere intorno al fuoco (mancano i marshmallow, ma qui non siamo negli USA)

Il filone di videogiochi che si ispirano alle divinità nordiche si rimpolpa costantemente da qualche anno a questa parte. Tra titoli tripla A, doppia A e più o meno indie, ormai fare una lista completa sarebbe un lavoro complesso. Questo ATONE: Heart of the Elder Tree si inserisce in maniera quatta quatta tra nomi ben più altisonanti e, anche se dubito che riuscirà a farsi strada, ha comunque qualcosa da dire. Certo l’idea di mescolare un rhythm game con una storia a bivi e finali multipli, inserire dentro una miriade di puzzle logici e condire il tutto con un pizzico di esplorazione spaventerà molti, ma così è. Se state pensando “ ma come si fa a rendere coeso tutto questo po po di roba così eterogeneo senza andare a sbatterci il muso?”. Beh, la risposta ve la do subito: non ci si riesce.

Premere i tasti a tempo di musica synth pop è l’unico modo per far fuori questo scheletro nordico

La sensazione che emerge una volta portato a termine il gioco è che tutti gli elementi siano in qualche modo slegati tra loro, come quando vuoi preparare un bel piatto di - che ne so - spaghetti alla puttanesca, e invece di cucinare lentamente il sughetto e poi mantecarci la pasta per qualche minuto, butti un po’ di pomodoro sopra a degli insipidi spaghetti bianchi assieme a delle olive, dei capperi e delle acciughe. Ecco, non so se mi sono spiegato. Presi singolarmente i singoli ingredienti potrebbero anche essere buoni, ma la differenza fondamentale la fa quell’ultimo passaggio che uniforma, avvolge, amalgama.

La domanda che mi frullava ripetutamente in testa durante le sessioni di combattimento in stile Guitar Hero a suon di musica synth pop (molto bella per carità) era: “che ca*#o c’entra Odino con un sintetizzatore anni 80?”. Oppure ogni volta che risolvevo un dei tanti puzzle che passano senza un minimo senso di progressione da “questo pure mio figlio di sei anni lo risolve” a “questo neanche se hai una laurea in ingegneria nucleare” (in realtà propendono tutti verso la prima esclamazione, solo un paio credo rientrino nella seconda). Per non parlare delle informazioni didascaliche sulla mitologia norrena spiattellate nel mondo di gioco alla ca*#o di cane e che sembrano prese pari pari da Wikipedia. Ma a inizio articolo avevo detto che ATONE: Heart of the Elder Tree, pur se sepolto sotto a scelte di game design non proprio felici, qualcosa da dire ce l’ha. Quello che prova ad amalgamare e dare un senso a questi ingredienti slegati è la narrazione. 

Vi ritroverete a risolvere una marea di puzzle tipo questo perché tutti sanno che i popoli del nord hanno una lunga tradizione enigmistica, vero?

Ho avuto il coraggio di fare due run per vedere se qualcosa si poteva salvare da questa esperienza. Ebbene, sì, pur senza linee di dialogo memorabili o personaggi esplorati a fondo, il racconto vale il tempo investito. Nella seconda run, conscio di alcuni snodi importanti, ho avuto un finale molto più soddisfacente che svela una parte fondamentale di storia che invece avevo perso nella prima. I flashback, fatti di veloci frammenti visivi durante il sonno disturbato di Estra, hanno finalmente preso senso. Quello che chiede ATONE: Heart of the Elder Tree al giocatore non è tanto di padroneggiare le sessioni musicali o risolvere tutti i puzzle, bensì esplorare e dipanare la matassa del racconto, e per farlo c’è bisogno di tempo e pazienza, di molteplici run, di svelare ogni singolo segreto nascosto. Un po’ come è successo a quei giocatori distratti che hanno approcciato Immortality nel modo sbagliato (non me ne voglia Delu, ma è capitato anche a me, poi ho capito!).

Se amate la grafica pucciosa e tonda, state alla larga da ATONE: qui gli spigoli regnano sovrani.

A volte alcuni giochi chiedono all’utente un piccolo sforzo in più, di guardare oltre la componente puramente ludica. Se non lo si fà il risultato potrebbe essere una puttanesca come la farebbero in Finlandia. In ATONE: Heart of the Elder Tree solo la narrazione (anche attraverso riuscite cutscene in stile libro illustrato) tenta di mantecare e tenere uniti tutti gli altri elementi, senza peraltro riuscirci fino in fondo. Tuttavia se amate la mitologia norrena, i rapporti complessi tra padre-figlia e dei-umani, una pompatissima colonna sonora synth e una grafica tutta spigolosa, alla fine l’esperienza potrebbe piacervi.