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Il tempo della giustizia per Clockwork Aquario

“For every time there is a season”, dicevano i Byrds, e forse anche l’Ecclesiaste 3:1-8. Il più è azzeccare i come, i dove e i quando (e i quanto!) traversando le più insondabili sliding door dell’esistenza. E allora immaginiamo di andare a ritroso nel tempo e di appropinquarci a una sala giochi di Tokyo di metà 1993, la SportsLand di Shinjuku. Le porte scorrevoli si aprono. Notiamo subito un nuovo gioco, ed è firmato Westone, quindi, da fan di vecchia data, siamo subito accalappiati. Clockwork Aquario! Strano nome, ma visto che il villain è un mezzo pesce ci sta. E anche il gameplay è strano, un ibrido tra Wonder Boy III - Monster’s Lair e… Super Mario, con quella meccanica in due tempi di stordisci-e-tira (Verrebbe da dire Klonoa, se non fosse che nel 1993 è lungi dall’essere poco più che un sogno nella mente di Namco). Grafica impeccabile, totalmente à la Westone, è un piacere questa specie di ritorno alle origini dopo lo stupendo, ma meno accessibile e caciarone, Aurail. Un picchiaduro a scorrimento 2D, kawaii ma non troppo, caciarone il giusto, che dà il meglio di sé nella furiosa modalità a due giocatori. Domani ci torniamo e vediamo di capire meglio come giocarci senza dilapidare un patrimonio.

E allora immaginiamo di tornarci l’indomani, alla SportsLand di Shinjuku, e di scoprire che Aquario non c’è più. Come se non fosse mai esistito. In termini di pubblicazione, è vero: Aquario, quello che sarebbe dovuto essere l’ultimo arcade game di Westone, fu infine cancellato.

Awwwww. Anticlimax. Da fan Westone, la tipica feel bad story. Un altro gioco potenzialmente molto piacevole cancellato dalla subdola lotteria delle test location: coin-op che vengono messi in prova in una sala e, siccome non catturano una quantità sufficiente di interesse e pecunia degli avventori, vengono poi cassati. Decine e decine di esempi illustri, alcuni salvati - di solito per caso - grazie al MAME. Pensiamo a Planet Probe, a Twin Qix, OOParts e tanti altri. Di alcuni si sa che esistono e sono stati preservati privatamente, come nel caso di Crazy Otto, AU, Kung Fu Master II: Beyond Kung-Fu, Marble Man.

Ma che succede se il vortice del divenire ha fatto sì che il materiale da preservare si sia rende irreperibile? Ed è la cosa più facile del mondo, soprattutto con la grande farsa contemporanea che vorrebbe la digitalizzazione e Rete come garanzia di eternità e preservazione. 

Tipo: io vent’anni fa ho scaricato questa gif dal sito Westone, perché sono uno stalker della Westone, ma quanti al mondo l’hanno fatto? Magari se ha detto culo è su Wayback Machine, magari no. Non un protocollo di preservazione digitale infallibile, ecco. 

Molto dipende dalla dovizia degli autori nel preservare il proprio passato. Poi le cose vanno come vanno: alcuni autori hanno il desiderio di rivalsa, la voglia di rendere edito l’inedito. Altri no, magari col tempo hanno realizzato che sì, quella loro creatura è stata giustamente ammazzata sul nascere. C’è poi tutto il discorso della pubblicazione postuma, che una volta con Pessoa trovavi un baule pieno di scritti ed era easy, ma adesso coi computers siamo sicuri che sia ancora così “facile”?

Ryuichi Nishizawa è uno degli autori che ha, per fortuna, la voglia di mostrare la rilevanza, nel passato come nel presente, della sua opera. Ed è questo che ha salvato Clockwork Aquario dalle nebbie del tempo, visto che il nostro aveva conservato gran parte del codice sorgente originale (e se ne rallegrava in un tweet di quasi dieci anni fa:

Questo, ma non solo, perché della partita sono stati anche gli altri membri del team di sviluppo originale, tra cui l’immenso musicista Shinichi Sakamoto, che da par suo aveva conservato le musiche (assenti invece nelle build di Nishizawa), Takanori Kurihara, programmatore dell’originale su Sega System 18, e le concept e graphic artist Mina Morioka e Maki Ohzora, cruciali nel ripristinare diversi asset fuori posto o mancanti, o creandone di inediti. 

Ma c’è un’altra figura chiave (oltre a Inin Games e Strictly Limited, che hanno messo i dané per l’operazione): Steve Snake. Programmatore fin dai tempi degli 8 bit (Rodland su C64!), autore dei migliori emulatori Mega Drive di sempre, Snake si è sbattuto veramente tanto per mettere insieme i pezzi del puzzle, e non ne fa mistero - anzi, ecco una sua “lettera ai giocatori” inclusa in Aquario!

(Inter nos, da un’intervista alla rivista Retro Gamer del 2016 sappiamo che un tentativo di recupero dei dati era già stato fatto da M2 di Yohsuke Okunari - se Steve Snake è riuscito dove M2 ha fallito, be’, super respect!)

Non è un aspetto secondario, che questo messaggio sia stato addirittura embeddato nel gioco. Dice molto sui potenziali acquirenti e sulla feel good story attorno ad Aquario, inesorabilmente inscritto nella sua narrazione di “long lost classic”. Potremmo domandarci se, oltre a essere “long lost”, Aquario possa essere definito “classic”. Insomma, si suppone che un classico, ovvero un gioco in grado di tenere testa alle sfide del tempo, non venga stoppato al 70% dello sviluppo nel giro di tre sessioni di test location.

A nostro avviso, è la categoria di “classico” ad essere sopravvalutata. Tolto il valore marketing del termine, ben magra sarebbe la dieta del giocatore che volesse cibarsi solo di classici (“Oh, anche oggi Super Mario World, bene!”). Molto più onesta, e arricchente, la categoria di “interessante”. Spingiamoci a “hidden gem” se proprio. E Aquario lo è un po’ sotto tutti i punti di vista. 

Soprattutto tornando all’Ecclesiaste: c’è un tempo per ogni cosa. 

Perché ora ci giochi a casa tua, con tutta la calma del caso, senza l’assillo dei gettoni che spendi, e di colpo puoi assaporare alcuni aspetti che nel 1993 in sala giochi non avrebbero avuto chissà quale senso, mentre ora sono in perfetta armonia coi corsi e ricorsi dello spirito del tempo. Lo scoring system, per esempio. Fare punti era sostanzialmente demodé negli anni Novanta, laddove il design di Aquario invece dà un’importanza estrema al flusso di gioco e alla possibilità di compiere combo. I livelli sono letteralmente impestati di pesci verdi gonfiabili che, oltre a fungere da piattaforma di fortuna, hanno lo scopo precipuo di permettere di inanellare sequenze di salti distruttivi che esaltano il punteggio.

Aquario è un gioco ideale, una volta padroneggiato, per diventare terreno di spettacolari speed run. Il gioco è corto - come ci si aspetta da un coin-op - e golosissimo da rigiocare, da imparare per bene. Dopo qualche run si mitigano anche alcuni aspetti all’inizio snervanti, come lo schermo un po’ troppo stretto per contenere la baraonda che si scatena di continuo. Si smussano certi sbalzi di difficoltà, si anticipano alcune sequenze che sembrano trappole da game over e Aquario diventa una scorribanda deliziosa.

Pensando un po’ meno in termini “vecchi scurreggioni del game design”, lasciato in pasto a prole minorenne e amichetti il gioco rivela la sua anima multiplayer caciarona, con la possibilità di prendersi e lanciarsi di continuo. Risate a crepapelle - e, di nuovo, senza l’angoscia di un irragionevole esborso di gettoni. Gameoverano, continuano al volo, si lanciano, si ostacolano invece di cooperare, Mario Bros. a scorrimento. Buono che sia stata cassata la possibilità - prevista ai tempi - di far giocare in tre. Two is the magic number. 

Visivamente, poi, il gioco è delizioso. Ha una notevole consistenza di stile e gusto grafico nelle ambientazioni, in un trionfo di mecha-pescitudine (visto che ci troviamo in una base sottomarina). C’è del Parodius, c’è del Darius, c’è molto semplicemente un sacco di Westone, con quel gusto cartoon, quegli outline neri, quel fanciullesco che non è mai bambinesco. I filtri finto-CRT opzionali non mi fanno impazzire, ma c’è da dire che questo tipo di grafica pixel così pulita funziona splendidamente anche su un buono schermo LED. Non è che è tutta la grafica vecchia sia fatta cercando di sfruttare i tubi catodici come espediente di sfumatura e anti-alias, e questo gioco ne è la riprova. 

E poi la musica. siamo al giro di boa dei trent’anni dagli anni Novanta, e la legge dei corsi e ricorsi fa sì che la musica composta da Shinichi Sakamoto per Aquario risulti fresca, freschissima. Una techno leggera che sussurra memorie di Yuzo Koshiro, ma anche di tutta la musica da club del periodo. Sakamoto non dimentica però le caratteristiche del suo stile, e armonizza con maestria questi stimoli tanto anomali nel contesto della sua tradizione precedente. O forse no, forse la chiave della genialità di Sakamoto è proprio quella di essere sempre stato pop, sempre connesso con lo spirito del tempo senza forzature, come sapevano fare i Beatles. Certo, chi scrive è leggermente ossessionato da Cheabow/Sintan, tanto che la scoperta dell’esistenza di Aquario deriva dall’acquisto della colonna sonora, che fu pubblicata online nel lontano 2006 su un sito giapponese (che è ancora attivo, incredibilmente)

Ma anche per i giocatori nostrani che ascoltano da 15 anni la OST (sì, entrambi) c’è una bella sorpresa, l’intera colonna sonora remixata da diversi musicisti, incluso lo stesso Sakamoto che ci propone una versione al piano di uno dei brani che, hey, sembra quasi Ryuichi, più che Shinichi. Quelli di Strictly Limited vi offrono, tra vari feticci fisici, anche i CD lisci e remixati. Io ormai sono immateriale e la roba fisica non mi interessa, ma se è your thing, sbizzarritevi. 

Una lancia andrebbe spezzata anche a favore della programmazione svolta all’epoca - l’hardware System 18 di SEGA era già vecchio di quattro anni (ci gira sopra roba tipo Shadow Dancer o Michael Jackson’s Moonwalker) e Aquario lo spreme efficacemente come un limone. Non è qualcosa di apprezzabile senza un’adeguata ossessione per l’hardware vintage, ma va benissimo così, anzi, il fatto che Aquario semplicemente lo si giochi e sembri in linea con tanta produzione indie contemporanea in termini audiovisuali è la semplice riprova che sì, è invecchiato bene. Anche perché sì, è in linea, ma nessun indie sarebbe in grado di creare un gioco così. Più bello, meno bello, meno colorato, più animato, ma non… così. Westone era ed è unica, e non possiamo che augurarci che, dopo le tante celebrazioni di dei fasti d’antan di questi ultimi anni, da Dragon’s Trap al remake di Monster World IV, la band sia pronta per incidere un nuovo grande gioco.  

Insomma, Aquario non riscrive la Storia dei videogame ma, oltre a svelarci una storia dimenticata di game development, si lascia giocare e apprezzare per quello che è: l’ennesima riprova della grande autorialità di Nishizawa & Co. - e i tempi sono più che mai maturi per goderne.