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Crash Team Racing ha un sacco di ricordi nel bagagliaio

Ci sono dei generi videoludici che, per una ragione o per l’altra, non mi hanno mai preso. JRPG, strategici a turni, soulslike e, in questo caso, giochi di guida. Sarà anche dovuto al fatto che nella vita di tutti i giorni non amo particolarmente guidare e ogni tragitto che duri più di venti minuti mi provoca più noia e fastidio che altro, ma con i racing games non è mai scattata la scintilla. A parte qualche fugace esperienza con classici come Lotus Esprit Turbo Challenge, Out Run e, in tempi meno remoti, Ridge Racer e Sega Rally, mi sono sempre tenuto lontano da questo genere, tant’è che ho ancora da qualche parte uno o due episodi della serie Gran Turismo ancora incellophanati, arrivati come regalo di compleanno chissà quanti anni fa.

Però c’è un titolo che, ancora dopo tanti anni, ha un posto speciale nei miei ricordi: Crash Team Racing.

Crash Team Racing era, né più né meno, uno dei tanti cloni di Super Mario Kart che affollavano gli scaffali dei negozi, tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila. Sonic R, South Park Rally e lo stesso Diddy Kong Racing di Nintendo si proposero come alternative più che valide a Super Mario Kart. Ovviamente nella mischia si gettò anche Naughty Dog con quella che, ancora oggi, viene ricordata come la vera e unica mascotte della prima console Sony: Crash Bandicoot.

Crash Team Racing era una sorta di riassunto di tutto ciò che aveva reso la trilogia originale così bella: personaggi folli, piste varie e coloratissime, valanghe di bonus e power-up di varia natura e una colonna sonora deliziosamente irresistibile. La trama, poi, era quanto di più assurdo si potesse sentire: il perfido Nitrus Oxide vuole conquistare la Terra per trasformarla in un’enorme parcheggio, e toccherà a Crash e soci intervenire. Nonostante tutte queste indubbie qualità, alla sua uscita, verso la fine del 1999, stetti alla larga dal gioco proprio per i motivi di cui sopra, ma la mia strada e quella del titolo Naughty Dog si incrociarono per due volte, lasciando dei ricordi che, in una maniera o nell’altra, sono diventati significativi.

La prima volta che giocai a Crash Team Racing fu nell’estate del 2002. L’estate degli esami di maturità. La fine di qualcosa e l’inizio di qualcos’altro. Ma prima di passare a ciò che sarebbe venuto dopo, beh, bisognava passarli, quegli esami. E allora, insieme ad altri tre scappati di casa che avrebbero dovuto affrontare quella che forse è la prima vera e propria prova che la vita ti mette di fronte, ci ritrovavamo quasi quotidianamente in una sorta di seminterrato adibito a taverna, casa di uno dei tre, per prepararci in maniera decente alla maturità, salvo poi, qualche ora dopo, mettere da parte Dante Alighieri, Manzoni, equazioni, logaritmi e chissà cos’altro per ritrovarci ammassati davanti a una vecchia televisione a tubo catodico, accendendo quella console grigia che, per tutti gli anni delle superiori, aveva costituito la forma di intrattenimento principale per il novantanove percento degli adolescenti dell’epoca.

Infatti, nonostante fossimo già entrati nella generazione PlayStation2/Dreamcast/XBox/GameCube, la prima PlayStation stava ancora lì, nel mobile TV, collegata e pronta a donare ore di divertimento. E così, dopo le scorribande sui campi da calcio di International Superstar Soccer Pro e le mazzate di Tekken 3, ci sfidavamo senza sosta e senza ritegno proprio a Crash Team Racing. I problemi si manifestavano ancora prima di iniziare a giocare, in quanto tutti volevamo prendere Crash come personaggio, e alla fine bisognava per forza di cose mettersi d’accordo e qualcuno doveva pur prendersi Coco.

Tra l’altro, Crash Team Racing era uno di quei pochi giochi – che io ricordi, almeno – a sfruttare il famoso multitap, accessorio dell’epoca che consentiva a quattro giocatori di giocare contemporaneamente con quattro joypad collegati alla console.

E proprio lì, fra un’accelerazione e una derapata, si parlava fra noi quattro di cosa ci avrebbe riservato il futuro. C’era chi sarebbe andato all’università, chi sarebbe andato a lavorare e chi non aveva la benché minima idea di cosa avrebbe fatto della propria vita. Ma il bello di quel periodo era proprio quello, in fondo, quell’ingenuità mista alla consapevolezza che comunque si era sempre in tempo a cambiare la propria vita.

Per l’altro ricordo legato a Crash Team Racing dobbiamo fare un salto temporale di circa sei anni, nel 2008.

In quel periodo facevo volontariato presso un’associazione che aiutava le famiglie in difficoltà. Fungevo da aiuto compiti per i bambini appartenenti a quelle famiglie. Mi ricordo ancora, dopo tanti anni, di uno di quei bambini e del suo caso. Il bambino in questione si chiamava Eric, nome che, a detta sua, la madre gli aveva dato in omaggio a uno dei protagonisti di Beautiful. Eric era un bambino problematico. Aveva grossi problemi d’apprendimento e la sua situazione famigliare, con il padre perennemente davanti alla televisione con una lattina di birra in mano e la madre che faceva tre lavori contemporaneamente per portare il pane a casa, non lo aiutava di certo. Dopo averlo aiutato, non con poca fatica, a fare i compiti, si finiva sempre a giocare ai videogame fino al rientro della madre a casa. E anche lì, nonostante fossimo nella generazione PS3/XBox 360, eravamo rimasti fuori dal tempo. Eric aveva una vecchissima e malconcia PlayStation, una di quelle che all’epoca venivano modificate per permettere la lettura di CD masterizzati. Beh, con Eric si giocava quasi sempre a Crash Team Racing. Giocando insieme a quel bambino, in quella situazione così disagiata – succedeva spesso di sentire il padre litigare con i vicini di casa e a volte anche con la moglie, quando si trovava a casa – ho capito quanto sono stato fortunato a nascere e crescere in una famiglia normale, avendo delle possibilità che altri non hanno o non avrebbero mai avuto. Quell’esperienza mi ha fatto vedere le cose in maniera differente, ed è stata forse la prima esperienza che mi ha fatto percepire esternamente quanto la vita possa essere anche molto più dura di quello che una persona possa aspettarsi.

Dopo quell’esperienza, non ho praticamente più preso in mano un racing game, fino allo scorso Natale, quando ho regalato Super Mario Kart 8 Deluxe a mia nipote. Poi, l’estate scorsa, ho visto Crash Team Racing Nitro-Fueled in offerta e anche lì, come accaduto in passato, la nostalgia canaglia ha fatto effetto. Ma, nonostante il lavoro fatto da Beenox sia assolutamente eccellente, il remake non mi ha fatto l’effetto del titolo originale. Più che altro, mi sono finalmente reso conto della motivazione per cui i racing game in generale non mi hanno mai preso. Semplicemente, sono titoli che vanno goduti in compagnia di altre persone per trasmettermi qualcosa. Ed è per questo che Crash Team Racing ha un posto speciale fra i miei ricordi: ci ho giocato in due momenti particolari della mia vita, due momenti differenti, legati a due episodi completamente diversi, ma che per un motivo o per l’altro sono rimasti nella mia mente.

E così, nonostante la bontà del gioco, ho messo via il remake di Crash Team Racing dopo aver completato la modalità storia. Forse un giorno lo riprenderò in mano e ci giocherò insieme a mia nipote, se mai si stancherà di Super Mario Kart 8 Deluxe. Ma lì ci sono Yoshi e la principessa Peach, per cui la vedo dura.

Questo articolo fa parte della Cover Story “Motori in pista”, che potete trovare riassunta qua.