Outcast

View Original

Dead Cells: il DNA di un indie con gli attributi

La questione dei generi videoludici è da tempo immemore croce e delizia degli addetti ai lavori (forzati, in questo caso) e dei videogiocatori di tutte le età. La complessità sempre più sfaccettata del nostro amato medium ha dato vita a generi di ampio respiro, come quello degli action-RPG o il ben più moderno e specifico metroidvania, ad oggi l'unico esempio di nomenclatura nata dalla fusione di due giochi ben distinti. In tempi attuali, solo l'esperienza dirompente e peculiare di Dark/Demon's Souls ha infilato nelle orecchie dei videogiocatori la parolina "soulslike", ad indicare un titolo estremamente ostico, intransigente e dalle regole ferree.

Tutta questa manfrina per sottolineare quanto l'appartenenza a un genere specifico abbia influito - e influisca tutt'ora - sulla valutazione di un videogioco (ma è possibile allargare tranquillamente il discorso pure ad altri media), inscenando teatrini al limite del surreale. Prendiamo ad esempio un videogame a caso, intimista, inquietante, ma senza scene sanguinose o jump scare. Metteteci voi il titolo, poco importa; Il punto è che potreste leggere, tra commenti o recensioni, chicche del tipo: - "Beh, visto come un horror è pessimo, ma valutandolo in chiave drammatica, risulta un buon gioco".

Ecco, io detesto questo tipo di approccio, lo trovo limitato, sterile, anche se posso intuirne le radici istintive da cui trae origine: l'aspettativa. Che sia un trailer, una demo o la semplice appartenenza a un genere - per l'appunto - restare spiazzati, disillusi e straniati influisce molto sulla capacità di giudizio di ogni individuo. Eppure la colpa, se così si può dire, è solo dell'aspettativa, non certo del prodotto analizzato.

Velocità d'esecuzione, tempismo, morte del nemico.

Questo pistolotto epocale e logorroico solo per dirvi che Dead Cells ha un'identità tanto forte e spiccata da poter assurgere come primo di un nuovo genere. Non che ne senta il bisogno, chiaramente, altrimenti potrei apparire schizofrenico, ma intendo arrivare per gradi alla sua impalpabile natura. Il gioco dei Motion Twins potrebbe sembrare il classico roguelike: difficoltà molto alta, livelli procedurali e una sola vita a disposizione. Tuttavia, parte dei progressi che si ottengono ad ogni giro viene salvata in maniera permanente, riposizionando il titolo nell'ala dei roguelite: ovvero quei titoli "rogue", ma contraddistinti da un leggero e costante senso di progressione. Eppure, la presenza di oggetti chiave incastrati ad arte nel level design procedurale ha spinto qualcuno a parlare di roguevania. Personalmente, mi piace di più soulslite (un genere che, a quanto ricordi, nemmeno esiste), ma è solo la mia modestissima opinione.

Il design ombroso non disdegna qualche lieve invettiva ironica.

Il punto, amici cari, è un altro: sapete perché mi sono permesso di perdere tempo con queste premesse pseudo-filologiche da (falso) intenditore? Perché Dead Cells è un capolavoro puro e semplice, fatto e finito, cotto e mangiato; e qualunque cosa aggiunga per definirlo, finirebbe solo per risultare uno sgradito spoiler. C'è questo eroe dal volto indistinto, costretto a fuggire da una landa intrisa di dolore. A disposizione abbiamo due armi principali e due secondarie. Le prime sono, solitamente, una spada e un'arco (o uno scudo), le seconde appartengono alla famiglia delle granate, senza disdegnare trappole e torrette da piazzare a terra. Le sole configurazioni spada/arco e spada/scudo cambiano in maniera radicale il gameplay, sempre velocissimo, guizzante e pronto a rispondere in maniera impeccabile ai nostri comandi. Chiaramente ci sono anche martelli, fruste, asce, spadoni e nessuno ci vieta di trasformarci in un impetuoso schiacciasassi o un pavido hit & runner.

Non c'è un vero e proprio level up e la crescita del protagonista è legata a tre macro-classi: Brutalità, Tattica ed Energia. I potenziamenti delle statistiche avvengono tramite bonus da raccogliere, insieme alle famigerate cell. Quest'ultime sono la "moneta permanente", in grado di sbloccare pian piano nuovi oggetti, armi e abilità. Non manca il vil denaro per l'acquisto di chincaglieria assortita, con negozianti sempre nuovi che vanno aggiungendosi ad ogni piccolo progresso. Anche la mitologia, dal retrogusto ironico, è spalmata tramite piccoli indizi, disseminati randomicamente lungo i vari stage. Tutto in modo veloce, brutale, preciso e divertentissimo. E la parte tecnica non è da meno.

Nulla è peggiore delle urla di chi è condannato a precipitare dai bastioni.

Quando si parla di pixel art a sproposito, il titolo dei Motion Twins sogghigna e non si scompone, conscio della sua piena appartenenza alla categoria. Dead Cells è una piccola meraviglia visiva: il motion blur sfuma le cime maestose degli alberi, i bastioni diroccati e le fognature anguste, mentre gli effetti particellari, con sbuffi di fumo, pulviscolo e bruma punteggiano i vari scenari. Le foglie mosse dal vento, gli stormi di uccelli che volano via al nostro passaggio, i rivoli d'acqua gorgoglianti lungo le muraglie. Una bellezza decadente ma mai ruffiana: nessuno scorcio da cartolina, o frame d'animazione di troppo. Tecnica e direzione artistica sono fuse con rara grazia, incorniciando la già discussa e pregevole giocabilità.

Dead Cells è un gioco straordinario, dalla giocabilità prorompente e catartica, capace di coniugare una velocità d'azione quasi caotica a un tasso di strategia e tecnica degno del migliore tra i Dark Souls. Un videogioco ricco di segreti, accessibile e immediato, nella sua cronometrica complessità. Un fiero, maestoso cavallo di razza, in un mare di brocchi dalla sella griffata.

Ho giocato a Dead Cells su PlayStation 4 PRO grazie a un codice fornitomi gentilmente dallo sviluppatore. Mi sono addentrato nelle meravigliose lande del gioco per oltre venti ore, consapevole che possano servirne altrettante per raggiungere risultati ragguardevoli. Dead Cells è disponibile su PC, su PlayStation 4, su Switch e su Xbox One.