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Demon Slayer è uno Shonen rinfrescante

Quando venni a sapere che Ufotable si sarebbe occupata della serializzazione di Demon Slayer, non ero esattamente entusiasta della cosa.

Non tanto per Demon Slayer, che conoscevo poco, avendolo abbandonato praticamente al primo numero del manga e nemmeno per il fatto che, pur continuando a divorare shonen in formato cartaceo, l’animazione “per gggiovani” l’ho un po’ trascurata (ultime visioni con un po’ di costanza: Soul Eater [2008-2009], Kill la Kill [2013] ), ma proprio per Ufotable.

Che, intendiamoci, per me Ufotable fu una rivelazione! La responsabilità del mio ritorno agli anime seriali, abbandonati con il sangue agli occhi dopo la terza replica di Il mistero della pietra azzurra, mandato in onda a “mezze puntate” per cercare di fregare il divieto di inframmezzare i programmi per ragazzi con pubblicità (grazie, A.V.M., a buon rendere, eh?), fu merito di Steins;Gate e del loro Kara no Kyoukai, a cui arrivai dopo la mia scoperta del Nasuverse (nota a me stesso: trovare una buona scusa per rifilare al giopep un pippone sul Nasuverse).

Ufotable fu per me la (ri)scoperta dell’animazione “seriale” fatta buttandoci dentro regia, trama, dialoghi non banali, colonna sonora spaziale (scoprii le Kalafina e, sopratutto, cosa fosse la serie A delle Idol e delle doppiatrici) e, in particolare, amorali donzelle psicopatiche che ammazzano tutto ciò che si può ammazzare (e, nel caso di Ryouji Shiki, sopratutto ciò che NON si può ammazzare), in coreografie provate e riprovate grazie alla potenza della CG

Ah, no?

Il problema è che a un certo punto scoprii che lo “Stile Ufotable”, perfetto, rifinito, diciamo proprio “algido”, si adattava pure TROPPO bene ai personaggi del Nasuverse e alla loro morale “inumana”, con il risultato che, mancando il coinvolgimento diretto (e magari anche l’imperfezione “low budget”) dei giochi della Type Moon, sulla lunga distanza, realizzavo che dei personaggi, protagonisti compresi, arrivava ad importarmene nulla.

Non esattamente quello che dovrebbe succedere con uno shonen.

È bastata la prima mezza dozzina di puntate di Demon Slayer a rassicurarmi che questo rischio, perlomeno, non lo corriamo.

Opening

Ora, per quelli che non conoscono la trama e non hanno voglia di abbandonare il comfort di Outcast cliccando sul link sopra, prendiamoci qualche riga per raccontare che Demon Slayer è ambientato in un periodo del Giappone che di recente era abbastanza scomparso dai radar: l’era “Taisho” (1912-1926), in cui l’abbraccio della riformata nazione alla modernità giunse probabilmente al suo culmine, vestimenti tradizionali cominciavano a mescolarsi con mantelli, camice, cappelli di foggia europea e giovani boscaioli come il protagonista Tanjiro abbandonavano per una giornata intera la casa di famiglia, per andare a vendere carbone in cittadine rurali, in cui i pali dell’elettricità erano appena arrivati.

E in cui le storie di demoni continuavano a viaggiare di casa in casa, di uscio in uscio, e la gente preferiva non uscire la notte.

Peccato che, nel momento in cui si rivelano non dicerie ma solide realtà, diventa abbastanza chiaro che non basta una porta a fermare un demone affamato, come scopre Tanjiro rientrando dopo appena ventiquattro ore di assenza e trovandosi la famiglia sterminata, con la sola eccezione della sua prima sorella minore, Nezuko, trasformata in un demone.

Da qui in poi inizia la storia di Tanjiro, il cacciatore di demoni che si accompagna a un demone, addestrato da un burbero eremita mascherato e accompagnato dalla nuova generazione di cacciatori, ciascuno con le sue ragioni e le sue bizzarrie.

Di questo incipit, la prima cosa che salta all’occhio è il peculiare protagonista: dopo un ventennio abbondante di shonen in cui i “cattivi ragazzi”, teppisti, fuoricasta, discoli, la facevano da padrone nel ruolo di protagonista outsider a cui nessuno inizialmente dà la minima fiducia, glorificando invece il “primo della classe” destinato invariabilmente a diventare antagonista/secondo; abbiamo finalmente un protagonista che è un bravo ragazzo, gran lavoratore, figlio maggiore di madre vedova, diretto e sincero nell’esprimere i suoi sentimenti (forse un pelino sorellofilo).

Insomma, per la prima volta da un po’ di tempo, il protagonista, se non il primo della classe, è perlomeno uno di quelli che siedono nei banchi in prima fila. Addirittura, in una scena lo vediamo, senza tanti complimenti, redarguire la “testa calda” che si prende libertà eccessive con quella che è una indubbia rappresentante dell’autorità.

Un secchione, ma un secchione simpatico.

Quanto alla co-protagonista, uno dovrebbe con molta arguzia soffermarsi sul fatto che sia una delle più improbabili compilation fetish mai viste negli anime, ma…

sleepy+loli+sister+savage+amazon+vampire+princess+horsegag = WIN!!

… ehr, cosa stavo dicendo?

Insomma, nel suo rifiutare la comoda canonizzazione moderna del protagonista e nel creare una inedita spalla, che si alterna senza alcuna incongruenza tra “principessa da salvare” e “inarrestabile schiacciasassi”, Demon Slayer crea una immediata empatia con lo spettatore.

Superato quindi il principale timore, tutto il resto è “Ufotable Brand”: il character design ricalca e potenzia quello del manga originale, “rivoluzionandolo fedelmente”, come da ormai più di un decennio riescono a fare, il doppiaggio si affida a solidi ed espressivi professionisti, senza troppe primedonne (la maggior parte del cast ha esordito in animazione dal 2012 in poi), la colonna sonora è epica, con Opening ed Ending affidate a una Top-Idol che si fa dirigere da Yuki Kaijura (storica leader delle Kalafina) facendo peraltro incetta di premi, a quanto sembra.

Profumo di disco di platino.

E poi, chiaramente, l’azione: Ufotable, profeta della CG che “c’è e non si vede”, crea combattimenti che sono dinamici e contemporaneamente congelati nel tempo, consentendo allo spettatore di apprezzarne ogni dettaglio e permettendosi di inserire effetti pittorici, in alcuni momenti quasi “cartooneschi”, laddove, di nuovo, gli ultimi decenni si erano concentrati sul rendere “realistico l’irreale,” con ampia esposizione di reazioni plastiche ed elastiche di ambienti, manufatti e corpi umani nell’impatto con tecniche sovrumane.

In tutto questo, non vorrei si pensasse che ci troviamo di fronte allo “shonen perfetto”: per quanto le puntate viste finora mi abbiano messo di fronte a un buon prodotto, ci sono almeno due grossi difetti che la serie sembra non riuscire a correggere fin dal suo inizio. Il primo è un’anomala difficoltà di gestione del passaggio dal registro drammatico a quello comico, marchio di fabbrica dello shonen, che qui è ben poco curato e spesso sembra appiccicato di peso, come se smarcando le situazioni da inserire in una puntata, ci si fosse accorti solo dopo metà di non avergli dato spazio.

Il secondo, e più difficile da perdonare, è quella che sembra una “fretta eccessiva” nello sviluppare situazioni e personaggi. E se si può sorvolare sul fatto che fin dall’inizio alcune situazioni “topiche” vengano semplicemente riassunte e la narrazione se ne disinteressi rapidamente, è meno facile farlo quando questo arriva a succedere anche ai personaggi. Nelle prime puntate, ad esempio, compare una coppia di antagonisti con sufficiente carisma da far desiderare allo spettatore di veder sviluppare, se non un arco narrativo, almeno un confronto che permetta di saperne di più su di loro. Questo non accade: dopo l’iniziale, inevitabile, vantaggio concesso loro per ragioni di coinvolgimento, la sconfitta arriva rapida, persino frettolosa.

C’è insomma qualche difetto di “messa a punto”, in un’opera che, comunque, sta riscuotendo un lusinghiero successo ed è, grazie ad alcune intuizioni centrate, una rinfrescante ventata di novità, in un panorama che si stava un po’ intorpidendo.

Sto tutt’ora guardando Demon Slayer, puntata dopo puntata, espressione “aaaawwww” di Nezuko dopo espressione “aaaawwww” di Nezuko, su VVVVID trovando il doppiaggio italiano neanche male ma non riuscendo a fare a meno di preferire quello originale.