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Disney+ - Insieme a te non ci sto +

In sede di compilazione delle listone di fine anno con gli OTY, ho fatto particolarmente fatica a completare la mia cinquina di film.

Non per qualcosa, in sei mesi abbiamo avuto irrazionalmente la pioggia di film che non abbiamo avuto nello scorso anno e mezzo, spesso contro la razionalità, con film in chiara concorrenza che escono nella stessa finestra, e con inevitabilmente la Marvel a fare la parte del leone, quando è insensatamente osannata (No Way Home), quando è criticata (Eternals) e anche quando è irrimediabilmente brutta (Venom).

E quindi sono stato a guardare la mia lista, a fissare quel vuoto al quarto posto, con un occhio su Letterboxd a scrollare la lista della roba vista. Oscillando tra i titoli che ritenessi papabili, alla fine ho preso, spostato qualcosa, cancellato altro e tenuto fuori un nome molto papabile in favore di un altro che scoprirete poi, ma nel frattempo, nessun titolo della Marvel, o di supereroi in generale, nella lista. Una decisione che mi sono accorto essere politica.

No Way FOTY

Dall’altra parte, la lista delle serie TV è uscita liscia, senza problemi, con qualche posizione che si muove in su e in giù a seconda di come mi sveglio la mattina. Anche qui, nessuna serie Marvel o Star Wars nella cinquina finale. E va bene così: anche se ad un me più giovane sarebbe sorto spontaneo un dubbio, specie con la varietà dell’offerta, quest’anno di dubbi non ne ho minimamente avuti.

Al di là della voluta provocazione del titolo, mi sento ormai fuori target per quella che è definibile come l’esperienza crossmediale Disney, che tira in mezzo Star Wars e Marvel in un tornado di intrecci tra serie, film e fumetti.

Non è stato tanto un passaggio repentino, quanto una presa di coscienza che si è sviluppata come la trama di una delle loro serie TV, settimana dopo settimana, ed è la consapevolezza che di quello che hanno da raccontare non frega praticamente più un cazzo.

Anche meno.

E appunto, settimana dopo settimana, serie dopo serie.

Se ancora c’era la novità di roba come The Mandalorian, di cui la seconda stagione sacrifica tutte le cose buone in favore di una marchetta stratosferica per presentare tutti i personaggi che avranno una serie spin-off (ciao, Gina Carano! Insegna ai jedi ad assaltare Capitol Hill), e di Wandavision che articolava e metteva in scena una riflessione interessante sulle serie TV e colmava forse uno dei vuoi emotivi più forti dell’MCU, solo per poi buttare tutto in vacca perché devono esserci le esplosioni brutte, tutto è finito con l’andare molto banalizzandosi a livelli che ormai conosciamo bene, come “la brillante idea centrale” a cui girare intorno per troppe puntate e che alla fine è talmente diluita da perdere di efficacia, come il mezzo bicchiere di vino che la nonna mi allungava con l’acqua durante il pranzo della domenica.

C’abbiamo creduto per quattro puntate.

Possiamo dire che è una questione meramente formale, possiamo dire anche che più che la dimensione in cui queste serie si muovono ad annoiarmi sono le loro necessità narrative, piegate appunto alle regole della dimensione in cui si muovono. Regole per le quali non è un racconto “dritto” ma che divaga per potersi allacciare altrove. E lo capisco anche che alle persone questa sensazione di vivere un mondo coeso affascini, ma a me è una cosa che tira fuori, specie nel momento in cui non è solo una simpatica divagazione ma un sacrificio compiuto consapevolmente sull’altare del crossover.

Briciole di pane che conducono a casa Pollicino, contentini che vengono dati in pasto ad un pubblico che ha fame di colpi di scena che, una volta in atto, mancano giusto delle standing ovation che si scatenavano all’entrata in scena di una guest star nelle vecchie sit com.

In tutto ciò, però, non mi sento di affermare serenamente che sono serie brutte, perché non sarebbe corretto.

Nel senso, non sono serie confezionate male, interpretate o scritte male, sono compitini estremamente funzionali che danno allo spettatore esattamente quello che vuole: la versione light di qualcosa che si lascia intravedere all’inizio e che poi finirà nel più telefonato dei lieto fine, come una puntata di Walker Texas Ranger, il male sconfitto e grandi sorrisi e qualche porta lasciata socchiusa che una scena post credit da qualche parte riaprirà per convincere ancora lo spettatore che è un'unica grande storia, che è tutto connesso, che non è lasciato solo da una storia che finisce perché le storie non finiranno mai.

E se danno al pubblico quello che vuole, chi sono io per dire che sbagliano? È così che funziona, vox populi, vox dei.

È più facile dire che, evidentemente, non sono più il suo pubblico di riferimento, ne sono uscito come se mi fossi svegliato una mattina d’inverno in un letto che non è il mio, con accanto una sconosciuta, senza ricordare come avessi fatto la sera prima ad arrivare lì.

E la prima conseguenza di questa nuova consapevolezza è riscontrare uno scarso quando non scarsissimo interesse per le prossime fondamentali uscite sulla piattaforma Disney.

Mentre The Book of Boba Fett registra il mio punto di gradimento più basso nell’offerta di serie originali, arriva il trailer di Moon Knight. E pure qui, passi che non ho praticamente nessun legame emotivo col personaggio ma questo non è mai stato un impedimento.

E riparte la trafila: escono le immagini, le guardo, trovo il costume ridicolo, mentre sbadiglio e ripenso al trattamento che deve aver subito il personaggio per diventare un potabile eroe MCU nonostante abbia come alter ego un mercenario psicopatico. Guardo il trailer, trattengo uno sbadiglio sul remix di un pezzo che piazzavano nei locali dove il mio liceo teneva quel rituale barbaro che era il mac-pi. L’idea che si scorge tra le pieghe del costume bianco animato in CGI pare quella alla base di Fight Club.

La domanda che sorge spontanea, alla fine, si rivela sempre la stessa: perché guardare qualcosa che vuole sembrare qualcos’altro travestito da serie di supereroi? Spesso finisce proprio così, che per un pretesto scemo come aver visto Andy Lau in Shang-Chi mi sono sparato di nuovo The Grandmaster di Wong Kar-wai, leggibilissimo come vero prequel sul Mandarino.

In fondo a questa stanchezza diventa sempre più chiaro che l’MCU è stato un compagno di sogni e di avventure per una parte della vita ormai alle spalle, come un vecchio amico dei tempi del liceo che adesso vedi imborghesito, stempiato e con qualche ruga di troppo.

Le finalità prevalentemente narrative che le serie Marvel si pongono (non che quelle ad ambientazione Star Wars siano troppo dissimili) indicano una direzione ormai molto precisa e i miei gusti hanno iniziato a camminare per una strada che si allontana sempre più da questa.