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Grand Theft Auto: San Andreas è esagerato ed eccessivo, ma ha anche dei difetti

Quando lessi l’anteprima di Grand Theft Auto; San Andreas sulla defunta rivista Videogiochi, la mia prima reazione fu un colossale sbadiglio. Avevo passato così tante ore su e giù per la Miami digitale di Grand Theft Auto Vice City ed erano usciti così tanti open world ispirati alla serie Rockstar che l’idea di girare nuovamente per ore e ore e fare sostanzialmente le stesse attività non mi attirava per niente. Il contesto delle gang afroamericane, che avrebbe fatto da cornice alle vicende del gioco, aveva portato il mio interesse per il titolo quasi allo zero, facendolo finire nel mucchio dei titoli che avrei recuperato a prezzo budget molto tempo dopo l’uscita nei negozi.

Quattro anni dopo, in occasione del natale del 2008, ricevetti il gioco in regalo, e devo ammettere che purtroppo il primo impatto non fu dei migliori. In quel periodo stavo attraversando un periodo di stanca dai videogiochi e accendevo PS2 soltanto per giocare a The Sims: Fuori Tutti e al PES di turno targato Konami. Forse anche a causa del mio mood in quel periodo, trovai Grand Theft Auto: San Andreas troppo dispersivo e poco coinvolgente, tant’è che dopo qualche ora lo misi in pausa e non lo ripresi più.

Nell’inverno del 2015, complice l’uscita di una versione remastered per PS3, decisi di dare una nuova possibilità al gioco, anche perché, dopo quella prima negativa esperienza, il mio amore per la serie si era riacceso grazie a Grand Theft Auto IV e relative espansioni e soprattutto Grand Theft Auto V.

In questo caso, l’impatto fu decisamente migliore, ribaltando completamente la mia idea sul gioco.

Grand Theft Auto: San Andreas sembrava voler ribadire, sin dai primi minuti di gioco, la propria posizione di leadership come titolo open world a stampo criminale, messaggio rivolto alla nutrita ma non troppo convincente concorrenza sviluppatasi durante il ciclo vitale di PlayStation 2. Gli avvenimenti di Grand Theft Auto: San Andreas si svolgono nel 1992 e, così come per gli altri titoli della serie, raccontano uno spaccato di vita degli Stati Uniti, più precisamente lo scandalo Rampart, il processo a Rodney King e le rivolte di Los Angeles. Carl Johnson, noto come CJ, criminale afroamericano facente parte della gang Grove Street Families, dopo cinque anni passati a Liberty City, torna nella sua città natale, Los Santos, in occasione del funerale della madre, uccisa dalla gang rivale dei Ballas. Appena arrivato in città, CJ viene fermato da un’unità anticrimine guidata dal corrotto agente Frank Tenpenny, che lo incastra come responsabile di un omicidio che non ha commesso e lo costringe a lavorare per lui. CJ si troverà così invischiato fra lavori sporchi per Tenpenny e una lunga e sanguinosa guerra fra bande, che lo vedrà coinvolto anche con le triadi cinesi e la criminalità organizzata russa. L’ambientazione del gioco è vastissima, una mappa enorme che vede CJ muoversi lungo lo stato fittizio di San Andreas, un mix fra lo stato della California e quello del Nevada, al cui interno troviamo le città principali, Los Santos (Los Angeles), San Fierro (San Francisco) e Las Venturas (Las Vegas). Non mancano poi zone rurali in aperta campagna e zone in pieno deserto, dove il protagonista potrà visitare anche una riproposizione della celebre Area 51. Oltre ad una mappa di gioco più grande e più estesa, circa tre volte superiore a quella di Vice City, Grand Theft Auto: San Andreas introduceva numerose ed interessanti novità, come la capacità di nuotare da parte del personaggio e l’esplorazione sott’acqua, un approccio stealth in alcune missioni e la possibilità di personalizzare veicoli e personaggi. CJ poteva allenarsi in palestra fino ad avere il fisico di un culturista oppure mangiare hamburger fino a scoppiare, ingrassando a dismisura, anche se la peculiarità per cui ancora oggi San Andreas viene ricordato è per l’introduzione delle relazioni, soprattutto per una patch chiamata Hot Coffee, che permetteva di sbloccare contenuti a luci rosse presenti nel codice del gioco, che Rockstar aveva occultato senza eliminarli definitivamente. Grazie a questa patch, CJ, dopo essere uscito con una ragazza, poteva avere un rapporto sessuale con lei, che veniva mostrato in maniera esplicita. Il “caso” Hot Coffee diede vita alla solita scia di polemiche sul gioco, che venne dapprima riclassificato come “Adults Only” o addirittura ritirato in alcuni paesi, e Rockstar coinvolta in più di una class action con conseguente risarcimento per non aver dichiarato la presenza di contenuti espliciti nel gioco. Una versione priva di qualsiasi riferimento a Hot Coffee sarebbe stata poi ripubblicata successivamente. Tutta pubblicità gratuita per San Andreas, che sarebbe diventato, nel corso degli anni successivi il gioco per PlayStation 2 più diffuso di sempre, con oltre venti milioni di copie vendute in tutto il mondo. Tra una libertà d’azione sempre più ampia, armi e veicoli sempre più bizzarri (CJ poteva utilizzare addirittura un Jet Pack) e una landa digitale apparentemente senza confini da visitare, Grand Theft Auto: San Andreas strizzava l’occhio alla cultura popolare dell’epoca, soprattutto quella cinematografica e televisiva. Il corrotto agente Frank Tenpenny era basato sul protagonista del film Training Day, Alonzo (interpretato da Denzel Washington), Woozie, leader delle triadi, sembrava uscito direttamente da Matrix Reloaded, e l’atmosfera generale del gioco, dove la guerra fra le gang era il piatto forte, sembrava essere ispirata in maniera più o meno marcata a pellicole come Nella Giungla di Cemento e Boyz n the Hood, senza dimenticare che furante gli anni dell’uscita originale andava in onda The Shield. Con Grand Theft Auto: San Andreas, Rockstar chiudeva un percorso evolutivo iniziato quattro anni prima con Grand Theft Auto III e proseguito poi con Grand Theft Auto: Vice City, testimoniato dalla presenza di personaggi quali Claude e Catalina di Grand Theft Auto III e Ken Rosenberg di Grand Theft Auto: Vice City, come se questi tre titoli fossero interconnessi fra di loro. Se il terzo episodio aveva sdoganato il concetto di gioco open world, San Andreas lo aveva affinato e ritoccato fino a renderlo l’open world per eccellenza, metro di paragone per la concorrenza e modello da imitare, più che da seguire. Nel corso del tempo circolarono diverse leggende metropolitane sul titolo, fra le quali la presenza di Bigfoot, Leatherface, UFO, fantasmi e amenità varie, che in alcuni casi diventarono realtà grazie alle Mod per la versione PC.

Insomma, Grand Theft Auto: San Andreas era un gioco assolutamente ambizioso ed esagerato per l’epoca, ma la cui, passatemi il termine, prepotenza nel voler dimostrare di essere il miglior esponente del suo genere ha spazzato via la concorrenza. Alzi la mano chi si ricorda oggi di titoli come Total Overdose o True Crime, giochi senz’altro piacevoli ma sostanzialmente fotocopie della serie ideata dai fratelli Houser.

Nonostante sia stato superato nel corso degli anni da Grand Theft Auto V, che continua ad essere costantemente e insistentemente giocato da una larga fetta di utenza dopo più di dieci anni, Grand Theft Auto: San Andreas meriterebbe, in occasione dei suoi vent’anni, almeno un giro di giostra da parte di chi l’ha amato all’epoca, nonostante oggi possa risultare tremendamente legnoso e dispersivo, se non altro per ringraziare il padre degli open world moderni, così come li conosciamo.