Hatoful Boyfriend mi ha tappato un buco
Nel mio cuore c’è un enorme buco a forma di visual novel giapponese. È un cuore strano, me ne rendo conto, ma è così.
Vivo il retrogaming come esplorazione di quella fetta di passato che non ho potuto vivere. Il Super Famicom collegato al mio tubo catodico mi regala l’emozione impossibile di essere un bambino giapponese in un’era di fermento e pionerismo videoludico, nell’epicentro del terremoto culturale di Nintendo, Capcom, Taito, SNK. Giochi che mai sarebbero arrivati in occidente, vere e proprie capsule temporali, mi ridanno qualcosa che in fondo non ho mai avuto. È un piacere a metà tra l’archeologia e il completismo, che mi consola con la consapevolezza che non finirò mai i giochi da scoprire e riscoprire.
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Purtroppo, l’intero filone delle visual novel mi è precluso per via dell’insormontabile barriera linguistica. Ci sono centinaia di giochi affascinanti, con un’estetica quasi aliena, che non potrò mai capire e che nessuno mai si prenderà la briga di tradurre. Nella frontiera di computer affascinanti come il PC-88 e l’X68000, non c’è fan translation che tenga. Puoi limitarti a guardare, ammirare, come se fossi condannato a guardare solo gli screenshot dietro la scatola. Nel mare meraviglioso di internet ci sono blog, come FMTownsMarty, che raccolgono immagini da questi giochi. Le guardo, fantastico e mi immagino la dimensione parallela in cui sono nato Tokuro Borutorotu a Fukuoka.
Proprio per questo voglio bene a Hatoful Boyfriend. È un rappresentante strano del genere, nato come prodotto amatoriale in Giappone, che vidi per la prima volta nei meandri bizzarri dell’internet, intorno al 2011. Un dating sim con i piccioni? Ebbene sì. “Che matti, questi giappi”, pensai all’epoca. “Chissà cosa c’è scritto? Non ci potrò mai giocare, sob.” Guardavo gli screenshot e immaginavo una scena indipendente che non avrei mai potuto capire o frequentare.
Invece, il gioco venne tradotto, ma soprattutto venne rifatto e ripubblicato in grande stile da quel patrimonio Unesco che risponde al nome di Devolver Digital. Non dimenticherò mai la prima volta che ho visto il remake, in una roulotte parcheggiata fuori da Hooters, nel “fuori E3” di Devolver. In un mondo in cui tutti avevano il durello per Destiny, questi pazzi mi hanno presentato un simulatore di appuntamenti ambientato in una scuola in cui ci sono solamente piccioni. Come fai a non amarli?
Quando è stato il momento, il gioco l’ho anche recensito, proprio per Outcast. Avevo iniziato a giocarci per ridere, ma nel giro di un paio d’ore, mi sono innamorato della storia. Quella premessa così assurda aveva una spiegazione squisitamente dark, raccontata con un ritmo e uno stile completamente diversi da quelli degli altri giochi narrativi. Stavo finalmente vivendo una visual novel ed ero in scimmia totale, tanto che non mi sono staccato dal gioco nemmeno durante il volo da Oahu a Maui (ero in viaggio di nozze), con sommo sbigottimento della signora seduta accanto a me in aereo. Avrà pensato che sono un pazzo feticista dei piccioni.
Cara signora, chissà se hai mai sognato di avere un PC-88? E soprattutto, chissà cosa ne pensi dell’amore tra giovani liceali e tortore?
Se ti incontrassi oggi, forse mi spruzzeresti con lo spray al pepe, non capendo la sottile bellezza dell’amore ai tempi dell’aviaria.
Questo articolo fa parte della Cover Story “Febbraio bizarro”, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.