Outcast

View Original

Cazzotti nello stomaco: Hellblade Senua's Sacrifice

Hellblade: Senua’s Sacrifice è un videogioco strano. Formalmente, è un’action in terza persona, con qualche puzzle basilare e un combat system che crea più problemi e frustrazione che divertimento.
Un gioco che se guardato dal lato oggettivo di meccaniche e gameplay non potrebbe superare la sufficienza.

Se già osserviamo il lato tecnico, così come l’art direction e la resa grafica del mondo di gioco, allora l’asticella si sposta un po’ più in su. Tutto, nel mondo di Hellblade, è ricco di dettagli, anche se a volte è palese la sua natura di progetto minore di uno studio che fino a quel momento creava prodotti di più ampio respiro. La sola protagonista, la Senua del titolo, è un’esplosione di poligoni, texture, animazioni che pochi giochi, al giorno d’oggi, possono dire di avere. Sicuramente il mio ricordo non è perfetto e sono conscio di averlo un po’ distorto da quello che è ad oggi Hellblade, perché questo è stato un gioco che mi ha colpito tantissimo e per i motivi giusti.

Senua è una giovane donna guerriera pitta (o almeno così dice Wikipedia) che si avventura nel Helheim, il mondo dei morti della cultura scandinava, per cercare di riportare in vita il suo amato, Dillion, la cui testa accompagna la nostra protagonista. Ma Senua è ben di più che il mero avatar del giocatore intento a sprofondare nelle viscere del regno dei morti. Senua soffre di crisi psicotiche, cosa che l’ha portata ad essere esclusa sempre più dalla vita della sua tribù e che le causa continue visioni terribili sul suo passato e sul futuro.

Questo è il punto chiave di tutto il gioco, quello che più di tutti mi ha colpito allo stomaco come un pugno.

Momenti come questo mi hanno devastato.

La rappresentazione degli episodi di Senua e dell’esplosione della sua malattia mentale mi ha a volte shockato, facendomi posare il joypad per qualche giorno. Sarà l’incredibile interpretazione dell’attrice che dà vita a Senua, la bravissima Melina Juergens, sarnno il motion capture e la “magia” del momento, ma l’attacco più grave che prova la nostra è risultato, per me, un turbinio di emozioni e scombussolamento che mi ha portato a riflettere.

La rappresentazione della salute mentale così vivida e realistica è un unicum nel mondo dei videogiochi, molto lontano dalla meccanica di follia di Eternal Darkness. Laddove in Eternal Darkness era più un cumulo di effetti bislacchi e (poco) spaventosi, le urla, le voci nella mente e le espressioni presenti in Hellblade sono estremamente realistiche. Purtroppo ho assistito più di una volta a momenti simili nella mia vita, episodi che una persona molto vicina a me ha avuto e che abbiamo dovuto affrontare.

Ecco, Hellblade, nel suo essere un gioco dalle meccaniche un po’ troppo abbozzate, ha il merito di centrare in pieno la tematica della salute mentale, di mostrare come una persona funzionale e determinata possa combattere con tutte le sue forze i problemi che le colpiscono la mente. Ogni certezza possono crollare in un  istante, spinte giù dal dubbio che sia tutto finto, che nulla sia reale. Il lavoro di ricerca  svolto dai Ninja Theory, in tandem con la consulenza di psicologi ed esperti del settore, ha dato vita ad una fra le opere più potenti sul tema.

L’intuizione di andare oltre al “solito” action in terza persona, in cui si affrontano mille avventure per liberare la persona amata, è la singola idea che salva un gioco altrimenti poco più che sufficiente. Stare accanto a Senua, interpretare le sue visioni, i suoi “momenti”, diventa parte integrante del gioco, quasi a inserirsi in una strana meccanica a metà tra il ludico e il narrativo, uscendo dallo schermo per ricordarci che sì, le malattie non sono solo quelle fisiche.

È facile capire quando il personaggio che stiamo controllando a schermo è ferito: qualche spruzzo di sangue, magari un’andatura claudicante e qualche grugnito in più ed è fatta. La salute è bassa, usa la pozione e tutto si risolve. Nel caso della nostra guerriera, invece? Come si può ingollare un mistico intruglio e far sparire quello che accade nella sua psiche? Come possono essere rappresentate la sofferenza e la confusione che una condizione tale pone su chi la vive?

Ecco, questo è lo spunto di riflessione e la forza di questo gioco.

Non importa che verso la fine abbassai la difficoltà per l’eccessiva frustrazione derivata dal combat system o che gli enigmi fossero tutti una variazione del primo, che si incontra ad inizio avventura. Volevo vivere il finale di quella storia, volevo affrontare l’ultimo pezzo della redenzione di Senua, volevo sperare con lei in un lieto fine e vederla accettare e convivere con i suoi problemi, seppur complicati e causa della sua situazione di emarginata sociale.

Hellblade ci insegna che non è necessario essere un gigantesco e muscolosissimo ammazza dei per avere una storia adulta. Non è sempre la violenza fisica sugli altri che può risultare in una esperienza 18+. Anzi, forse, non ho mai giocato ad un videogioco più maturo, scioccante e “pesante” di questo. Ed è anche il motivo per cui attendo il seguito a chiappe strette.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ai vichinghi, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.