Outcast

View Original

Il mio Mega Drive | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Quando ti sei innamorato del Mega Drive, mi chiedete?

Eh, sono trent'anni circa, esattamente nel giugno del 1989. Altri tempi, altre fonti d'informazione, ché internet non esisteva nella mia vita e tutto lo scibile lo si attingeva dal passaparola e dalle riviste. Ogni numero era una sorpresa, una porta sul futuro, uno sguardo sul Giappone, e il numero dieci di The Games Machine mostrava tanto amore per la terra dei samurai, grazie a un avveniristico dossier sulla nuova console SEGA e sull’avvento di una nuova generazione di macchine da gioco a sedici bit.

Che poi, console a parte, quelle foto lì in basso mi hanno fatto sognare per anni. Futuro e rispetto per il passato in un’unica terra promessa: mi manca, il Giappone, devo tornarci l’anno prossimo.

Queste qua sopra erano le parole con cui tormentavo i miei amici e c’era già tutto, senza bisogno di aggiungere altro. Masami Ishikawa lo sapeva bene, che ci sarebbe stato un balzo generazionale tanto vigoroso da far tremare le colonne stesse del creato, quando SEGA diede il via al progetto denominato “Mark V”, uno per cui bisognava impegnarsi e cacciare subito i soldi, ché la futura casa del porcospino blu per antonomasia aveva deciso di partire in quarta, proponendo tra le mura domestiche l'esperienza delle sale giochi senza compromessi. E questo si traduceva nel trovare una dimensione domestica alla CPU Motorola 68000, che tanto lustro stava donando alla gloriosa scheda System 16.

Data bus possente e abilità aritmetiche all'avanguardia erano i punti di forza di un processore che SEGA amava alla follia, arrivando a usarne più di uno nel caso dei giochi più muscolosi, come Hang-On; da qui il passo che porta a farlo diventare il punto di forza del futuro Mega Drive fu invero piuttosto breve, giusto il tempo di fare un accordo con Signetics per intascare 300.000 unità e iniziare a lavorare sul serio sulla nuova macchina. Non si trattava solo di forza bruta, ragazzi, ma di strategia: era un componente che sapeva di futuro, e attirava talenti e imprenditori come api al miele. Mark Cerny ha praticamente buttato le basi per la tecnologia dietro gli occhiali 3D di Master System e aveva assaggiato la potenza del 68000 durante la creazione di Marble Madness, rimanendone estasiato, mentre Trip Hawkins (un uomo che neppure il Cavaliere Nero tanto caro a Proietti vorrebbe avere per nemico) aveva fiutato nella forza della nuova ammiraglia SEGA quel potenziale che non era riuscito a vedere nell'ormai attempato Famicom.

Ecco, Nintendo: peccò di superbia, diciamolo, ritardando il suo ingresso nella generazione a sedici bit e lasciando a SEGA l'onore del calcio d'inizio, e la versatilità del Motorola 68000 riuscì comunque a tenere degnamente testa alla CPU Ricoh 5A22 del Super Famicom, nonostante i due anni di progresso tecnologico che la console di Super Mario poteva vantare. Per quanto riguarda l'audio, beh, lì si andò un filo al risparmio, con lo YM2612 FM, che però vantava anche lui un significativo asso nella manica: era governato da una CPU Z80 a 8bit, che veniva usata come cavallo di Troia per garantire la compatibilità con il Master System, una cosa bellissima, che rendeva indolore il passaggio dalla vecchia alla nuova generazione per gli aficionado della SEGA.

Aspetta che me lo segno e poi, in fase di correzione, riformulo la frase.

Oh, ma quanto vincevano le custodie in plastica dura del Mega Drive contro le robine in cartone del Super Famicom? Tutto, vincevano in goleada!

Il futuro, dicevamo, una macchina aperta a mille possibilità. Giusto un anno fa, comprai fresco di stampa da Super Potato un nuovo libro sul Mega Drive, e la quantità di modelli e periferiche continua a togliermi il fiato, tra stampanti, tastiere e tavolozze grafiche! Pazzesco e bellissimo, allo stesso tempo. La cosa che però mi affascina da sempre del Mega Drive è la gestione di tre differenti livelli grafici attraverso il Video Display Processor, chiamati Scroll A, Scroll B e Sprites: i primi due possono essere fatti scorrere singolarmente con tanto di animazioni, mentre il terzo si occupa dell’azione vera e propria. Facile fare un Altered Beast casalingo con tanto di scorrimento parallattico alla faccia dell’originale, se si hanno simili risorse, vero?

Non solo, con un controller di priorità, il loro ordine può essere definito a seconda degli usi, mentre un ulteriore livello (alè!) è gentilmente offerto da quell'adorabilissimo disastro chiamato 32X. Per la cronaca, è questo il motivo per cui magari giocate a Cosmic Carnage o Primal Rage sul nuovo add-on e non vedete gli sprite: probabilmente il 32X non è collegato a dovere alla macchina base e il nuovo livello non viene mostrato.

E poi sì, ci sono i giochi. Ammettiamo una realtà agrodolce: senza il successo pazzesco riscontrato in Occidente, probabilmente il Mega Drive non ce lo ricorderemmo con un simile affetto, oggigiorno, oscurato dall'eclettica ludoteca del Super Famicom. Quindi lode a Trip Hawkins e alla sua Electronic Arts che, con una faccia di bronzo epocale e uno stuolo di avvocati tale da non temere ripercussioni di sorta, si diede all'arte del reverse engineering per rivoltare la versione giapponese del Mega Drive come un guanto e sconfiggere il TMSS (Trademark Security System), presentandosi all’appuntamento con il debutto occidentale della macchina senza dover pagare un becco di diritti a SEGA, un comportamento smargiasso che trasformò Electronic Arts in un'alleato eccezionale nella lotta al di fuori della madrepatria.

I labirinti erano un gatto in bungee jumping appeso ai maroni, ma quanto desiderio ha scatenato questo gioco nella mia generazione?

Ma basta con la storia, pensiamo un po' col cuore: vidi il Mega Drive per la prima volta durante il SIM Hi-Fi del 1989: il mio primo viaggio in aereo, postazioni dotate di decine di videogiochi in free play dove poter provare di persona tutto quello che avevo sognato leggendo le mie amate riviste… e Golden Axe. La meraviglia: lo completai con una partita sotto gli occhi di una folla estasiata, ché in sala giochi lo finivo sempre con un credito ed ero positivo al doping, e lì scattò la scintilla. Makoto Uchida sei un figo, ma anche Rieko Kodama, Takashi Iizuka e gli altri uomini chiave dietro un successo tanto duraturo non scherzano.

Ho perso il conto dei Mega Drive che ho per casa (dovrebbero essere quattro, di cui due collegati in pianta stabile rispettivamente ai due modelli del Mega CD, semplicemente perché mi pesa il culo e li voglio operativi), ma se ve ne avanzasse uno, mandate pure: qui ci sarà sempre un posto, per la mia console a sedici bit preferita.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata al Sega Mega Drive (Mini e non), che potete trovare riassunta a questo indirizzo.