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Il modo giusto

C’è stato un momento, durante la mia run di Final Fantasy XVI, in cui era chiaro che tra me e lui non corresse buon sangue. Non c’era intesa, non c’era soddisfazione, non c’era nemmeno l’interesse dei primi tempi ma io, invece di mollarlo, c’ho fatto un figlio. Ho deciso, cioè, di finirlo ad ogni costo, un po’ per buoni motivi, un po’ per abitudine, un po’ perché si, sono stronzo.

Uno dei primi risultati offerti da Google se cerchi “natalità”.

Il Game Pass favorisce, e favorirà nel tempo, un modo di giocare che tendiamo a considerare sbagliato. Milioni di ore, milioni di mondi, milioni di strutture e sottostrutture e ci resta difficile considerare accettabile che qualcuno si diverta con un semplice tutorial, con le prime quattro ore di gioco, spizzicando in quell’offerta “all you can eat” che offre grande varietà di scelta a pochi spicci. Ma è davvero sbagliato?

Conosco tanti hardcore gamers, forse parlo solo con loro, e si dividono tra quelli che, come me, si sforzano di finire quello che iniziano, quelli che completano i peggiori crimini contro l’umanità per il gamerscore e quelli che giocano due capolavori al secondo perché devono vedere tutto, sapere tutto, diventare i più bravi in tutto. Che diritto abbiamo noi di giudicare chi, fregandosene di dove vuole arrivare, trova piacere in piccole porzioni di divertimento che lo fanno comunque felice?

Il vero finale, il “bello alla terza run”, il “diventa bello dopo tredici ore” sono un vezzo di noi poveri scemi disposti a sacrificare una porzione di vita nella speranza di qualcosa di meraviglioso che forse non arriverà mai. Non voglio cambiare, adoro quando succede davvero, ma sono sceso dal mio piedistallo per giustificare anche chi si regala cinque fugaci minuti di effimero divertimento senza compromessi.

Ma poi, le sale giochi che tanto rimpiangete non sono state esattamente quello? Cosa compravate con quel gettone se non proprio quei cinque fugaci minuti?