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Librodrome #4 - È finalmente uscito in tutte le librerie Homo ludens, ma da mo'!

Attenzione. Ogni due settimane, in questa rubrica si parla di cultura. Niente di strepitoso, o che ci farà mai vincere il Pulitzer, ma è meglio avvertire, perché sappiamo che siete persone impressionabili. E tratteremo anche dei libri. Sì, quelle cose che all’Ikea utilizzano per rendere più accattivanti le Billy. E anche le Expedit.

Che cosa è, in fondo, il gusto del gioco? Perché durante il gioco il bambino strilla di gioia? Perché il giocatore si perde nella sua passione? Perché una gara eccita sino al delirio una folla di spettatori? L'intensità del gioco non è spiegata da nessuna analisi biologica, ma proprio in quella facoltà di far delirare sta la sua essenza, ovvero la sua qualità: Homo ludens, apparso per la prima volta ad Amsterdam nel 1939 (solo nel 1946 fu pubblicato in Italia) e originariamente scritto in lingua tedesca, contiene tutte le risposte.

Al di là della sobria ed elegante copertina (Piccola Biblioteca Einaudi), del prezzo ivi impresso (€ 20,00: non proprio da tascabile economico, diciamolo) e dell'aggettivo un po' sconcio, Homo ludenssi configura come è un testo "seminale", in cui risiedono le antiche fondamenta dei più moderni game study. Senza il lavoro di Johan Huizinga, in pratica, oggi sarebbe alquanto improponibile, per non dire perverso, farsi una bella sega mentale riguardo ai videogiochi. La miglior citazione dal libro, a questo punto, arriva ineluttabile: "Il gioco è più antico della cultura, perché il concetto di cultura, per quanto possa essere definito insufficientemente, presuppone in ogni modo convivenza umana, e gli animali non hanno aspettato che gli uomini insegnassero loro a giocare." Dove per animali, manco a dirlo, si sta parlando di tutti noi videogiocatori borderline.

Dappertutto c'è del gioco, nell'arte come nella guerra.

Anche solo leggiucchiandolo qui e là, il testo di Huizinga investe con stupore il suo lettore, per tutto lo stile diffuso, chiaro, intelligente e arguto: l'autore non è interessato a dirci quale sia il gioco e come funzioni, ma al fatto che questo gioco è sempre stato diffusamente giocato. "Il gioco come tale oltrepassa i limiti dell'attività puramente biologica: è una funzione che contiene un senso. Al gioco partecipa qualcosa che oltrepassa l'immediato istinto a mantenere la vita, e che mette un senso nell'azione del giocare. Ogni gioco significa qualche cosa." Il concetto di gioco in Homo ludens, insomma, si fa coestensivo a quello di cultura in tutte le sue possibili forme: lingua, diritto, poesia, filosofia e arte.  Ne deriva, dunque, un'appassionante teoria del comportamento ludico, ovvero una lunga, colta e mai pedante nozione di gioco come costante dei comportamenti culturali d'ogni epoca: i caratteri del gioco sono quelli della cultura e la cultura, sin dall'antichità, s'è sempre manifestata come gioco.

Strano ma vero, il cervello umano funziona esattamente così: con Pac-Man al suo interno!

A dire la verità, Huizinga, nella cultura italiana, ha pagato abbastanza duramente il fatto di non essere stato esattamente né un filosofo né uno storico, né un sociologo né un teorico dell'arte, e di aver messo interdisciplinarmente il naso un poco dappertutto, come accade peraltro agli storici delle idee. Se si consultano le storie delle filosofie non lo si vede citato, neppure come epigono appartenente a una cultura periferica. Eppure, rimarrà per sempre sua la più calzante definizione di gioco, la migliore recensione di tutti i tempi e una sacrosanta verità verso cui tendere sempre: "Gioco è convenzione: quella di compiere entro un limite di tempo e di spazio, secondo date regole, in una data forma, qualche cosa che sciolga una tensione e che esorbiti dal corso normale della vita".

Per oltre 250 pagine di validissimi motivi, Homo ludens va posseduto, custodito gelosamente e consumato il più possibile: maltrattatelo anche, ma fatelo vostro.