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Librodrome #8 - Video game education: Studi e percorsi di formazione, con le maiuscole messe proprio così

Attenzione. Ogni due settimane, in questa rubrica si parla di cultura. Niente di strepitoso, o che ci farà mai vincere il Pulitzer, ma è meglio avvertire, perché sappiamo che siete persone impressionabili. E tratteremo anche dei libri. Sì, quelle cose che all’Ikea utilizzano per rendere più accattivanti le Billy. E anche le Expedit.

Video game education non è un libro sui videogiochi da leggersi per piacere o diletto, ma un utile strumento di lavoro pedagogico-didattico, quasi dai fini maieutici, che dovrebbe esser letto (o quantomeno sfogliato) da chi, di videogiochi, ne sa poco o nulla. Il tema del volume si spiega in tre parole: la possibilità – o, per meglio dire, la necessità – d’introdurre all’interno di percorsi formativi scolastici i videogiochi, in quanto veri e propri oggetti culturali. Si potrebbe incominciare con l'istituzionalizzazione dell’ora di ginnastica fatta con Wii Fit, oserei proporre.

"I ragazzi sanno le tecniche per vincere le partite, ma non sempre sanno cosa c'è dietro un videogioco; non sempre sanno coglierne i particolari per comprendere il modo attraverso cui si produce il divertimento; non sempre sanno fruire dei videogiochi con senso critico."

Curato da Damiano Felini (ricercatore di Pedagogia generale e sociale nell’Università degli Studi di Parma) e frutto del lavoro di una decina di studiosi del MED (Associazione italiana per l’educazione ai media e alla comunicazione), Video game education rappresenta "… il tentativo - paradossale, ma non troppo - di far conoscere ai ragazzi quei videogiochi che pure usano quotidianamente, cioè di stimolarli a comprenderli più a fondo, a fruirne consapevolmente, e a capire come progettarli e costruirli." La cosiddetta "video game education", dunque, va intesa come pratica pedagogica che "considera i videogiochi come degli oggetti culturali sui quali si può insegnare qualcosa".

Video game education, edito da Unicopli, prezzo di copertina €15.

S'è già detto in lungo e in largo, del resto, che i videogiochi sono più di semplici dispositivi e, anzi, creano un ambiente di servizi non immediatamente visibili. Ridefiniscono i rapporti interpersonali, rivoluzionano l'identità sociale e plasmano il se digitale nel passaggio all'interno dell'avatar. I videogiochi innovano e forniscono strumenti di pensiero applicabili al quotidiano, attraverso simulazione e ludus. Promuovono valori, diffondono idee, esperiscono arte, foraggiano i pregiudizi degli apocalittici, mutano persino in macchina ideologica, assolvono la funzione di cavallo di Troia del terzo millennio e, infine, diventano cultura. I videogiochi sono fatti sociali che rappresentano parte del tessuto connettivo della società. Come ha già confermato Gianfranco Pecchinenda, i videogiochi sono una cosa seria. Attraverso i brevi ma affinati saggi di Michele Aglieri, Giulio Tosone, Massimiliano Andreoletti, Alessia Rosa, Angela Bonomi Castelli, Anna Ragosta e lo stesso Damiano Felini, dunque, Video game education illustra sia gi studi compiuti dal gruppo di lavoro, sia un resoconto delle esperienze didattiche e formative realizzate. In buona sostanza, nel testo edito da Unicopli si parla di problemi e possibilità offerte dalle griglie d'analisi sociosemiotica dei videogame, controllo parentale e sistemi di rating per coadiuvare gli adulti nella scelta dei titoli più adatti ai loro figli e nipoti, videogiochi come palestra di sperimentazione valoriale, e poi ancora di grafica, creatività, armonia e del "bello" nei videogiochi, da intendersi quali preziosi strumenti per l'educazione e la formazione estetica. A margine, Alessia Rosa e Damiano Felini presentano anche un percorso di video game education effettuato in due scuole piemontesi, oltre a un "workshop accademico" di progettazione e sviluppo di videogiochi.

Video game education: nulla che chiami a gran voce la lettura disimpegnata sotto il solleone estivo, ma un funzionale strumento di studio, di lavoro e di comprensione, confezionato nella convinzione che i videogiochi possano essere impiegati nel lavoro educativo e didattico. Il fine implicito è di primaria importanza: colmare l'arretratezza nella cultura del tecnoludico, che è tipicamente italiana, boliviana o libanese. Un buon punto di partenza sarebbe quello di incominciare a scrivere "videogame" e non "video game", ad esempio. Parola di Bill Kunknel.