Outcast

View Original

Mecha evolution: Di quello che accadde dopo l’EVA

Come già scrivevo oltre un anno fa, l’arrivo di Neon Genesis Evangelion segna un punto di svolta nella costruzione di opere di fiction, non solo in termini di anime. Segna definitivamente il passaggio dalla visione ad albero dei massimi sistemi a quella postmoderna del rizoma rappresentata dell’archivio dati, in cui non esiste un unico grande centro, un’unica verità, ma solo un ammasso di informazioni dalle molteplici letture.

La forza di questa rottura si esprime attraverso il mecha design: le forme esili e allungate degli EVA e le complesse procedure di controllo sono la personificazione robotica dei piloti - teenager insicuri e turbati. Il design degli EVA esprime tutto il disagio di quell’età critica che è l’adolescenza, segnando anche il distacco dal canone classico dell’eroe delle storie di robottoni, il giovane adulto spavaldo e senza paura di Go Nagai.

Metallo Pesante e danza sulle punte

Ridefiniti i canoni, bisogna quindi capire dove posare lo sguardo: più avanti o molto più indietro… Così fa per esempio Sunrise che, nel 1999, con la serie The Big O va a pescare direttamente dai noir anni Cinquanta, per proporre una storia surreale basata sulla perdita di memoria collettiva. Solo qualche abitante ricorda le atroci verità della guerra precedente, ovviamente tra questi c’è il negoziatore Roger Smith (un adulto misterioso e impavido), che per risolvere i casi può contare sull’aiuto di Big O: una gigantesca stufa di ghisa che aggiorna le linee di Tetsujin 28 alle estetiche del nuovo millennio. Il design è volutamente esasperato ma “rassicurante”, in netta antitesi con quello degli EVA: avambracci enormi, come quelli di Braccio di ferro, dotati di pistoni sopra i gomiti per far esplodere i pugni, e gambe massicce tenute insieme da bulloni a vista sono espressione di una gloriosa potenza andata perduta.

Alla goffaggine del Big O fanno da contraltare le linee sinuose del mecha design di Yoji Shinkawa (già character designer di Metal Gear Solid) che, nel 2001, con Zone of the Enders, stabilisce nuove coordinate estetiche. I suoi Orbital Frame non hanno i piedi ma fluttuano sulle punte come leggiadre ballerine. Le proporzioni antropomorfe sono rese più aliene dall’impiego di linee spezzate di led (che indicano anche il livello di danno) e pannellature triangolari, dando vita a una barocca rilettura fantascientifica delle divinità egizie. In questo caso, il design è pensato per essere efficace e d’impatto in un engine real time, non come giocattolo da produrre in massa, e questo consente di raggiungere una pulizia delle linee e un’eleganza quasi elitarie, che non hanno rivali nel mecha design del tempo.

Organico e orgasmico

Le forme triangolari dalle tinte vivaci e le strutture esoscheletriche degli insetti diventano elementi di design ricorrenti nelle produzioni successive di Shoji Kawamori, che firma in sequenza Eureka Seven e Aquarion. Entrambe le serie si focalizzano su teenager con problemi: in Aquarion (2005), il tema suggerito è anche quello della scoperta della sessualità, visto che, per formare il robot, tre astronavi devono agganciarsi insieme e i piloti vivono l’atto di fusione come una sorta di orgasmo (il fatto di essere in tre genera necessariamente un po’ di promiscuità). Come in Getter, l’ordine cambia la forma e le funzionalità del robot ma, a differenza del Getter, Kawamori realizza il primo prototipo con pezzi LEGO, il che gli permette di dare vita a trasformazioni realistiche. Come si dice in gergo, Aquarion è un modello perfect change, nel senso che non occorre togliere parti o sostituirle per ottenere i mecha finali, ma tutte le trasformazioni avvengono solo in maniera logica, tramite lo spostamento di meccanismi e articolazioni. Grazie anche alla computer graphic, le sequenze di trasformazione sono l’elemento più spettacolare della serie e, soprattutto, i compromessi tecnici diventano il punto di forza di un mecha design quasi organico e straniante (ovviamente prodotto da Bandai come modello deluxe per collezionisti in varie edizioni).

E visto che abbiamo tirato in ballo Getter, sempre nel 2005 esce Linebarrels of Iron, manga fantascientifico di Eiichi Shimizu e Tomohiro Shimoguchi [ri]adattato in anime nel 2008 (ma la trama ha poco a che vedere con quella originale). Il design dei machina è una riuscita combinazione tra Gundam, Zone of the Enders, Aquarion e il folclore giapponese. Linebarrel, il machina pilotato dal protagonista, è dotato di due enormi katana, inserite in foderi che si estendono dagli avambracci e di una sciabola laser (Executor) alloggiata nello stabilizzatore posteriore, che serve a bilanciare l’assenza di piedi del design. E Getter cosa c’entra? Nel 2015, gli autori realizzeranno il manga Getter Robo Devolution, rinnovando in maniera spettacolare le linee dell’iconico modello di Go Nagai.

Sfondamento dei cieli

Ma se il successo di Linebarrel raggiunge solo la ristretta cerchia di appassionati (in Italia la pubblicazione del manga viene sospesa dopo una decina di volumi, purtroppo), nel 2007 lo studio Gainax torna a entusiasmare le folle con una nuova produzione, Sfondamento dei cieli Gurren Lagann, che riprende le tematiche care al genere ma rilette in chiave di commedia (nonostante i drammatici colpi di scena). Il mecha design è un chiaro omaggio ai super robot delle origini: dentro c’è un po’ di Zambot, un po’ di Mazinga Z e di Daltanious, ma linee e proporzioni sono molto contemporanee, così come i piccoli dettagli che impreziosiscono il design, dando vita a una nuova silhouette iconica. Il Gurren Lagann nasce per caso quando il protagonista Simon (che grazie a una mini trivella riesce a far partire un piccolo gunmen che chiamerà Lagann) e il suo amico/mentore Kamina (che riesce a rubare un altro gunmen agli uomini bestia) si scontrano, dando vita al Gurren Lagann. Non c’è alcuna pretesa di realismo, nella nuova opera di Gainax: il Lagann entra come una punta di trapano nel torso del Gurren e per magia si estendono braccia e gambe, senza contare che il tronco del robot presenta un ghigno malefico, coperto da un paio di improbabili occhiali da sole che fungono anche da boomerang. Assecondando il tema centrale dell’opera, ispirato al ciclo infinito della spirale, il Gurren Lagann continua a incorporare nuovi gunmen in progressione geometrica, fino a dare vita al Super Sfondamento dei cieli Gurren Lagann (che compare solo nel secondo lungometraggio), la forma finale, ufficialmente riconosciuto come il mecha più grande nella storia dell’animazione.

Ritorno alla sobrietà

Alla cacofonia di linee curve e spezzate e contrasti cromatici delle varie evoluzioni del Gurren Lagann fa da contraltare la pulizia del segno dei Difensori, i mecha che l’umanità superstite usa per sconfiggere la minaccia dei Gauna in Knights of Sidonia, il manga di Tsutomu Nihei (autore di Blame!) pubblicato a partire dal 2009 e arrivato in forma di anime nel 2014. Anche in questo caso, i robot non sono il centro della storia ma sono semplici strumenti: deboli contro le forze aliene se presi singolarmente, sono in grado di dimostrare il forte istinto di sopravvivenza della specie umana quando coordinati nell’azione di squadra. Il tratto di Nihei è evidente anche in quest’opera: lo Tsugumori pilotato da Nagate Tanikaze richiama le armature dei cavalieri medievali, rilette con una ricercatezza di forme che mette in luce gli studi di architettura dell’autore. Un’eleganza “appuntita”, che ovviamente stride con gli informi ammassi organici che costituiscono i Gauna.

In questa breve storia del mecha design, assolutamente incompleta e frutto di una visione parziale, non può mancare l’omaggio dell’occidente, rappresentato dal kolossal Pacific Rim di Guillermo del Toro. A differenza di quanto si possa pensare, Pacific Rim è sì una lettera d’amore per i mecha giapponesi, ma le fonti di ispirazione non sono quelle che ci si potrebbe attendere: per esempio, il design di Gipsy Danger, lo Jaeger americano, si basa sugli elementi Art Deco dei grattacieli di New York, come il Chrysler Building e l'Empire State Building, fusi con l’andatura da pistolero di John Wayne. Lo Jager russo, Cherno Alpha, vuole dare l’impressione di una centrale nucleare semovente, con la testa a forma di torre di raffreddamento. Il cinese Crimson Typhoon, a tre braccia, prende invece spunto dai guerrieri medievali e la sua trama evoca il legno laccato dai bordi dorati. E per finire, Striker Eureka, il modello australiano, è stato paragonato da del Toro a una Land Rover.

Ma è chiaro che l’ispirazione viene dagli anime del Sol Levante, che hanno segnato l’infanzia della corrente generazione di filmmaker occidentali, rendendo possibili saghe cinematografiche di successo come quella dei Transformers, impensabile ai tempi dell’anime (nonostante il successo planetario del giocattolo). E non solo per la mancanza di tecnologia digitale ma proprio per il ridimensionamento della distanza culturale, che nel corso degli anni ha portato ad un’esposizione sempre più consistente ai contenuti provenienti dall’estremo oriente. Non c’è quindi da stupirsi di fronte al successo di queste opere così di genere: dalle armature di metallo del XIII secolo agli esoscheletri spaziali dei futuri di fiction, il fascino della divisa non ha mai smesso di meravigliare gli adolescenti di tutte le età.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata all’arrivo di Neon Genesis Evangelion su Netflix e ai robottoni in generale, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.