Outcast

View Original

Ma quanto era avanti, Metal Gear Solid?

Quanto era avanti, Metal Gear Solid? O, se vogliamo fare gli elitisti, quanto era avanti Metal Gear 2 per MSX2?

“Frequenza 140.15”

Era scarabocchiato frettolosamente, con un pennarello per CD, all’interno della cover fotocopiata dei miei CD di Metal Gear Solid, e lo ignorai bellamente, pensando fosse un appunto.

Ovviamente erano stati acquistati dal venditore ambulante sotto casa nel 1999, che ha ancora oggi il suo banchetto ed è diventato a sua volta mio cliente; non vende più CD ma accendini, ricariche, accendigas, e chi più ne ha più ne metta. Eravamo in piena era modchip PSX, per la prima volta i giovani umani stavano sperimentando la sensazione di backlog in crescita, di troppi giochi posseduti rispetto al tempo necessario a giocarci, patologia che ancora oggi si sta cercando di combattere e verrà sicuramente inserita nel Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali.

Prologo. Arrivo subacqueo a Shadow Moses. Tutorial. Ascensore. Titoli di testa. Stupore. Questo primo impatto con la regia di Kojima, quel sapore di Bond Movie - confermato dal costume Tuxedo di Solid Snake - erano innovativi per l’epoca. Prima di Metal Gear Solid, un’esperienza cinematografica così integrata, scritta e diretta magistralmente e approfonditamente non c’era.

Hideo, che in seguito avrebbe imposto a se stesso di non lavorare nei weekend per stare con la sua famiglia (e dopo aver inserito, per attirare suo figlio nella saga, le scimmie di Ape Escape in Metal Gear Solid 3 e aver chiesto a Masahiro Sakurai di inserire Solid Snake in Super Smash Bros. Brawl per la stessa ragione), infuse una profondità assurda in ogni singolo elemento della sua creatura.

Prendete ad esempio Meryl che fa esercizio nella sua cella, visibile quando ci introduciamo nella prima condotta di ventilazione del gioco. Se vi prendete la briga di tornare indietro, uscire dal canale e rientrarci, la ritroverete che ha cambiato esercizio. Rifatelo, e ne farà un’altro ancora.

Immaginatevi ora Hideo Kojima che pensa a questi eventi, li spiega al team, li fa implementare e li testa, senza chiedersi chi, come e perché lo scoprirà.

O un po’ più avanti nel gioco, quando Sniper Wolf colpisce dalla distanza la stessa Meryl, lasciandola a terra in un lago di sangue. Citazionismo di Full Metal Jacket a parte, se Solid Snake le spara infierendo, riceve una chiamata di Campbell e Naomi incavolati neri, giustamente. Kojima pensa ad ogni possibile comportamento del giocatore e prepara un’adeguata risposta nel gioco.

Sempre parlando di Meryl, potete provare ad anticiparla in bagno. Prima vi chiamerà Mei Ling, rimproverandovi per la vostra presenza nel bagno delle donne; poi ritroverete Meryl in intimo, perché non ha fatto in tempo a cambiarsi. Anche questo è stato previsto.

Dicevamo che Kojima è un grande fan di Kubrick. Nel finale in cui Solid Snake salva Otacon, i due si presentano come in 2001 :Odissea nello spazio: quanto retcon ci può essere nei nomi Hal e David? Cosa è venuto prima? Sarà stato un caso che i due nomi siano stati scelti e poi si sia notata la coincidenza coi protagonisti dell’excursus fantascientifico di Kubrick?

Il laboratorio di Otacon stesso è un tripudio di citazioni. Se Para-Medic in Metal Gear Solid 3 rappresenta la cultura enciclopedica di Kojima, Otacon ne è la rappresentazione geek. Nella versione originale del gioco, troverete una PlayStation. Nel remake per Gamecube… un Gamecube, un WaveBird e il menu del Gamecube sullo schermo accanto. OK, questa è opera dei Silicon Knighs e non di Kojima, ma fa parte della cura per i dettagli.

Torniamo un attimo a Meryl, vi va? A un certo punto, lei rimarrà ferma in un punto. Noi potremo attivare la visuale in prima persona e guardarla. Continuare a guardarla. Continuare a continuare a guardarla. Il risultato sarà che diventerà rossa come un peperone.

Sì, come un peperone. (PAM!)

Andiamo un po’ indietro nel tempo. È il 1990, c’è l’MSX2, Metal Gear 2: Solid Snake è in fase di sviluppo e Kojima ha delle idee molto carine. Inserire una delle frequenze da chiamare sul codec, per proseguire nell’avventura, sulla custodia fisica del gioco; inserire una chiave d’accesso che cambia in base alla temperatura a cui si trova. Le implementa, il gioco viene pubblicato. Non ha il successo che sperava, ma quelle idee sono interessanti. Quindi vengono reinserite, quasi dieci anni dopo, in Metal Gear Solid.

Quella frequenza scarabocchiata rapidamente nella cover interna della mia copia di Metal Gear Solid aveva una qualche storia? Il “fornitore” del mio venditore ambulante aveva giocato a Metal Gear Solid e quindi l’aveva scritta sulle cover, oppure più acquirenti si erano lamentati di essersi bloccati nel gioco e di necessitarla, ragion per cui aveva cominciato a scriverla su ogni copia? Una domanda a cui probabilmente mai sarà data risposta, ma che sicuramente fa ancora ghignare Kojima, quando immagina le conseguenze della sua idea. Dalle copie noleggiate da Blockbuster alle versioni masterizzate, in tutto il pianeta, ci sarà stata gente impazzita perché non sapeva come proseguire nel gioco. Un’ottima vendetta per i mancati introiti, per quanto soft e aggirabile.

A cos’altro ha pensato, il nostro game director? Scontro sulla torre con Liquid Snake nell’elicottero. Se avete una TV mono, e avete impostato il suono su Mono nelle opzioni, Campbell vi dirà che, sebbene con una TV stereo avreste potuto intuire la posizione dell’Hind D rispetto a Snake, anche con una TV mono è possibile batterlo. Così come durante la lotta contro Psycho Mantis, il quale avrà piacere di leggere e commentare i salvataggi di giochi Konami presenti sulla vostra memory card: se verrete sconfitti, Campbell vi suggerirà di inserire il controller PS1 nella porta del giocatore 2, per impedire al boss di prevedere i vostri movimenti. Se lo ignorerete, magari perché la porta è rotta, e morirete ancora, Campbell vi richiamerà dicendovi che c’è un altro segreto per battere Psycho Mantis, ma funzionerà solo da quel momento in poi: sparare ai busti nella stanza. Una continua e magistrale rottura della quarta parete, portata avanti da ogni episodio della saga, che non fa mai rompere la sospensione di incredulità del giocatore, semmai aumentandola; è parte della capacità di Kojima di intrecciare realtà e fantascienza in un minestrone verosimile e affascinante.

Se prima dell’incontro con Vulcan Raven farete strage di corvi, riceverete una chiamata di “Miller” che vi dirà che sono raven (corvi imperiali), non crow (corvi in generale), e da quel momento in poi, ogni istanza degli stessi li vedrà indicati col nome corretto. Oltretutto, Vulcan Raven non sarà contento, se li avete uccisi, e non si risparmierà di rimarcarlo durante il vostro confronto.

Provate a chiamare ripetutamente Mei Ling senza salvare. Dopo un po’ di volte, si offenderà e non vi parlerà più! Così come, dopo essere stati torturati da Ocelot, vi ritroverete una bomba nell’equipaggiamento. Se non la lanciate via, riceverete una chiamata all’ultimo momento dal Colonnello Campbell, che vi spiegherà per filo e per segno quali comandi sul controller eseguire per gettarla via. Un’altra rottura della quarta parete realizzata perfettamente.

Ovviamente Kojima è accanto al poster di Policenauts nel laboratorio di Otacon.

Una volta ottenuta la fotocamera, potrete sbizzarrirvi a fotografare posti nel gioco, sperando di scoprire i quarantadue fantasmi degli sviluppatori nascosti. Oppure cercarli su Google.

Di easter egg, in Metal Gear Solid, ce ne sono ancora a bizzeffe (dai poster di Policenauts, opera precedente di Hideo, nel laboratorio di Otacon, ai diversi modi in cui evadere dalla cella in cui siete imprigionati), ma mi auguro di aver generato in te, lettore, la voglia di rigiocare a Metal Gear Solid su PlayStation Classic e provarli, magari con una buona guida. Che bello, rompere la quarta parete, anche se in un modo imbarazzante come questo. Non guardare, Kojima-senpai. E ricordati, lettore, di colpire Meryl quando sei con lei nella tana dei lupi, nascondendoti subito dopo in una scatola. Sarai contento del risultato, altro evento unico e ovviamente previsto dal nostro geniale regista, sapientemente illustrato da un fan nell’immagine che fa da cover a questo articolo.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a PlayStation Classic e alla prima PlayStation, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.