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Red Dead Redemption 2: il peso di un capolavoro

C’era una sensazione, un pensiero che non riuscivo a sradicare dalla mia testa durante le mie prime ore di gioco in Red Dead Redemption 2: mi trovavo davvero davanti a qualcosa di così importante come mi sembra, uno di quei testi, in senso semiotico, destinati a rimanere nel tempo e ad influenzare il media di riferimento per i decenni a venire? Non lo so e anzi, è proprio una domanda stupida da farsi: si finisce, appunto, col farsi delle pippe inutili, rovinandosi l’esperienza di gioco. Eppure, per mole e articolazione, Red Dead Redemption 2 obbliga moralmente il giocatore a porsi degli interrogativi: non ci si può giocare senza restare ripetutamente sopraffatti dalla sua attenzione al dettaglio, dalla sua capacità di stupire anche i videogiocatori più smaliziati attraverso soluzioni finora inesplorate. Ecco, forse è questo il punto: Red Dead Redemption 2 stabilisce un nuovo standard per il medium d’appartenenza, come i commentatori più influenti hanno sottolineato, rimarcando però come, fondamentalmente, non ci sia nulla di nuovo nel titolo Rockstar, se non un rafforzamento all’ennesima potenza di tutte le dinamiche tipiche degli open world. Già questa sarebbe una questione più interessante da affrontare, e che non riesce a convincermi pienamente.

Dopo averci trascorso più di una cinquantina d’ore, credo che per certi versi Red Dead Redemption 2 possa invece dirsi rivoluzionario perché, semplicemente, racconta una storia come mai nessun videogioco è riuscito a fare. Lo fa in modo maturo, curando ogni dettaglio nelle più minime sfumature, e non distaccandosi mai dalla sua natura avvolgente, tipica del videogioco in senso stretto; non c’è infatti una via di mezzo col cinema, un venire a patti con un altro tipo di realtà mediale. C’è semplicemente il videogioco, espanso all’ennesima potenza, e una storia, raccontata attraverso un tipo di narrazione-fiume che rimane sempre dentro i cardini dell’esperienza videoludica (quindi con missioni secondarie, crafting e spostamenti da una parte all’altra della mappa), ma che riesce quasi sempre a far dimenticare, appunto, di essere in un videogioco.

La neve, inaspettatamente fra i principali intrattenimenti dei giocatori in Red Dead Redemption 2.

La prima mezz’ora di gioco, ad esempio. Ci troviamo di fronte a una tormenta di neve, una dozzina di personaggi, una fittissima linea di dialoghi, ma un senso di spaesamento soverchiante: chi siamo, chi è il nostro personaggio, che succede, dove ci troviamo? La situazione non migliora col passare dei minuti: persi in un bianco opprimente, con volti conosciuti a chi ha giocato il primo capitolo che contemporaneamente vanno a fare a pugni con vicissitudini mai udite prima, e di cui il protagonista finalmente disvelato, Arthur Morgan, è completamente estraneo. Red Dead Redemption 2 non prende nessuno per mano in questo senso, pur riferendosi, per la sua natura da blockbuster, a una ampissima fetta d’utenza: è un colossal che richiede pazienza per essere apprezzato.

Seppur la matrice di Rockstar sia sempre visibile in termini di scrittura, soprattutto in certe missioni secondarie, Red Dead Redemption 2 non è un Grand Theft Auto: non lo è banalmente per l’ambientazione, ma non lo è neppure per l’apertura al pubblico che, per quanto ampia possa essere, è pur sempre inferiore a quella che ha un gioco il cui contesto di svolgimento è quello di un ambiente urbano contemporaneo. Quella cui ci troviamo di fronte è una storia principale perfettamente dosata, che va a stimolare l’intera sfera emozionale ma che è, a conti fatti, fondamentalmente greve, una storia che prende sul serio i propri protagonisti, soffermandosi sui loro non-detti e sui relativi dolori esistenziali di un mondo, quello in cui è ambientato, dove la transizione dalla ruralità all’industrializzazione procede a ritmi insostenibili.

È anche per colpi d’occhio del genere che vuoi spostarti sempre a cavallo.

Red Dead Redemption 2 non è un Grand Theft Auto soprattutto per come descrive il fallimento della criminalità; da sempre, infatti, i giochi Rockstar trasudano di una doppia morale per quanto concerne la simulazione della delinquenza: da un lato c’è la storia del criminale di turno e di tutte le sue avventure, spesso riprese dalla stampa generalista, e dall’altro c’è la condanna a quegli stessi crimini, che in genere non finiscono che portare altri problemi. Si tratta certo di una strategia mirata di Rockstar: fare scandalo, per un titolo con una così vasta portata mediatica, equivale ad allargare oltre ogni limite il proprio bacino d’utenza. Al contempo, però, scadere in una mera esaltazione della criminalità non è mai una scelta consigliata, non tanto per questioni etiche quanto narrative, e infatti Rockstar ha sempre cercato di trovare un equilibrio in questa dicotomia che, nel contesto in cui si sviluppa Red Dead Redemption 2, sembra aver trovato finalmente la quadra. Non si tratta però soltanto di una mera questione storica, raccontando di un’epoca in cui prendere una pistola in mano era decisamente problematico rispetto a oggi; piuttosto, Rockstar è riuscita a sottolineare, senza particolari clamori, i risolti emotivi di ciò che determinate azioni possono comportare.

Emblematiche, a tal proposito, le missioni di strozzinaggio di Strauss, ma più in generale le reazioni, e i non detti, che vedono protagonista il nostro avatar, Arthur Morgan, un personaggio la cui caratterizzazione è ormai definita già da quando le vicende del titolo hanno inizio, ma che, col passare del tempo, si evolve lentamente, smussando le spigolature del proprio carattere, in un’evoluzione inesorabile cui noi potremo solo assistere inermi. Nonostante un sistema di karma presente nel gioco, e la possibilità di eseguire o meno azioni positive, Arthur ha una sua moralità già definita, non ponendo mai realmente il giocatore di fronte a un bivio.

A tal proposito, bisogna citare l’inedito sistema di interazione con i personaggi non giocanti presente in Red Dead Redemption 2, azionabile attraverso il tasto L2: un elemento nuovo, dalla dinamica tuttavia binaria (fondamentalmente, di base, si può chiacchierare in amicizia oppure utilizzare un approccio più provocatorio), e che va a braccetto con l’incredibile livello di simulatività (da non confondere, attenzione, con il termine ‘realismo’) di cui l’intero mondo di gioco è permeato. Ed è forse questo l’elemento che ha tratto in inganno i più, tra cui il sottoscritto, e cioè una commistione fra limiti, diciamo, tecnologici e una natura di genere ben definita in Red Dead Redemption 2: siamo infatti di fronte a un gioco lineare, non possiamo evitare che una situazione si sviluppi in un determinato modo e termini in un altro, a prescindere da quanta interazione (e simulazione) ci possa essere con l’intero mondo di gioco. Del resto, va da sé, Red Dead Redemption 2 non è un gioco di ruolo. Allo stesso modo, uccidere lo sceriffo del villaggio, e poi pagare la taglia da cento dollari non impedirà certo che un altro sceriffo prenda il suo posto. Eppure, una volta tornati sul luogo del delitto, farà comunque strano vedere che, in fondo, tutto (tranne la skin del nuovo sceriffo) è al suo posto, come prima del nostro omicidio. È quindi questa la commistione di limiti tecnologici e di scelte di game design; una simulazione eccessiva finisce spesso per ‘rompere’ un gioco, ed è comprensibile, ma ci si aspetterebbe comunque un qualche tipo di reazione da parte di quegli NPC fino a prima così reattivi, così, questa volta sì, realistici.

Ed ecco forse qual è il vero problema di Red Dead Redemption 2, che non è individuabile nelle solite magagne col sistema di controllo (che è un po’ goffo, come da tradizione Rockstar, seppur godibilissimo), ovvero l’aver, nello stesso gioco, posizionato l’asticella talmente in alto da non riuscire a rispondere sempre a tutte le aspettative dei giocatori. Chiunque, prendendo il pad in Red Dead Redemption 2, non può che stupirsi andando a cavallo e assistendo alla miriade di variabili e dettagli disposti lì solo per sorprenderlo e immergerlo nel gioco. Il problema è infatti proprio questo: perché un gioco mi permette di palpare i cadaveri quando frugo fra di essi, di strappare il cuore a una tartaruga, di salutare un fattore che, per ricambiare il saluto finisce per essere ucciso dal proprio cavallo – tutte azioni che, va sottolineato, riescono sempre a sorprendere il giocatore, facendogli provare sensazioni inedite e comportandosi solo raramente come ci si aspetterebbe da un videogioco – e poi mi impedisce di dare un piatto di stufato a un prigioniero affamato?

Forse, in questo senso più di tutti, Red Dead Redemption 2 può dirsi rivoluzionario. Anche se non si tratta affatto di un titolo incompiuto, badate bene: è un gioco che spinge al massimo, porta al più alto standard di espressione ogni sua componente, lasciando ripetutamente basiti per come a una tale e soverchiante quantità corrisponda, sempre e comunque, un livello qualitativo addirittura superiore. C’è la prima e la terza persona (e anche la visuale dinamica, una sorta di modalità cinematografica) e funzionano tutte benissimo. C’è una quantità sterminata di eventi casuali e solo dopo una trentina d’ore iniziano, forse, a dare noia. C’è un rapporto con il proprio cavallo che è straordinario, a tratti commovente, per come ci incentiva a legare con esso. C’è la pelle del viso che finisce per diventare talmente lercia da farci sentire il bisogno di andare a farci un bagno caldo. C’è un mondo vivo, che non dorme (quasi) mai e che ti piega alle sue dinamiche sociali. C’è un livello di scrittura finissimo, una teatralità che in certi frangenti riuscirebbe a catturare l’attenzione anche del più restio al mondo dei videogiochi. C’è, insomma, una storia dai contorni di epopea, narrata come nessun altro videogioco è mai riuscito a fare finora.

Ho giocato a Red Dead Redemption 2 grazie a un codice per il download su PlayStation 4 gentilmente inviatomi dal distributore italiano. Nonostante ci stia sotto da diverse settimane, non ne sono ancora sazio, ma anzi, il gioco sta condizionando talmente tanto la mia vita che ormai l’immagine che proietto di me stesso è perennemente a cavallo di un Mustang. Red Dead Redemption 2 è disponibile su PlayStation 4 e su Xbox One. Come al solito, se acquistate il gioco (o qualsiasi altra cosa) su Amazon passando dai seguenti link, una piccola percentuale di quello che spendete andrà a noi, senza alcun sovrapprezzo per voi. Se volete procedere su Amazon Italia, dirigetevi qui, se preferite Amazon UK, puntate qui.

Questo articolo è un’aggiunta postuma alla Cover Story più veloce del West, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.