In Signori, il delitto è servito, l'assassino è il maggiordomo
New England, 1954: Hill’s House. Il Signor Boddy viene assassinato (due volte) in circostanze misteriose, durante una cena a cui intervengono sotto pseudonimo figure note e meno note legate al governo americano: il Colonnello Mustard consulente della Difesa, la Signora White vedova di un noto fisico nucleare, la Signora Peacock moglie di un senatore, il Professor Plum consulente ONU e psicologo, Miss Scarlett… er… “imprenditrice dell’intrattenimento” (cough!) e il Signor Green agente del Federal Bureau of Investigation.
Ma perché abbiamo tutti questa sensazione di dejà-vu?
1985, esce Clue nei cinema. Qualche anno dopo, vedo Signori, il delitto è servito a una proiezione estiva nel cortile di Palazzo Reale a Torino (quando ancora i monumenti erano a disposizione della cittadinanza d’estate).
È il delitto perfetto.
Tim Curry al meglio della sua forma interpreta Wadsworth, il maggiordomo, demiurgo di un giallo della stanza chiusa talmente classico da avere persino il “re-enactment” (la ricostruzione dei fatti croce e delizia di tutti i gialli filmici) fatto dal vivo, correndo da una stanza all’altra e interpretando vittime, carnefici e astanti. Per tutto il film, è lui la chiave di lettura: inizia compassato, educato e “servilmente in controllo”, diventa inquisitorio e ficcante, poi ansioso e spaventato, e infine sbraga nel delirio anarchico, seguito da tutti gli altri personaggi, i cui attori non riescono più a nascondere di stare divertendosi un mondo.
Cristopher Lloyd, nei panni dello psicologo sessuologo e sessuomane Professor Plum, riesce a mantenere un certo distacco, ma tanto a divertirsi ci pensano Madeline Kahn, attrice di lunghissima esperienza nella scuderia di Mel Brooks (era la moglie del professor “FrankenstIN” in Frankenstein Junior) nei panni della altezzosa “vedova nera” Miss White, Eileen Brennan, veterana nei ruoli di “signora perbene” come la Signora Peacock e, sopratutto, Martin Mull, che duetta come stolido Colonnello Mustard con il brillante e ossequioso Wadsworth sui toni della commedia teatrale inglese.
È difficile definire a parole quanto siano concentrati e, per quanto mi riguarda, in stato di grazia gli attori nell’aderire perfettamente ai topoi del giallo classico per tutta la prima parte del film, salvo poi divertirsi a “sbragare” quando non è più possibile trattenere il divertimento e si scopre, in questo caso possiamo essere letterali, “il gioco”.
Nella prima parte abbiamo persone angosciate e tese: il veramente ottimo doppiaggio italiano, impeccabile nei tempi comici, non rende però come la presa diretta originale, che testimonia, di nuovo, quanto gli attori si impegnassero a fingere di essere sconvolti o simulare di dissimulare di sapere qualcosa (e se pensate che simulare di dissimulare sia facile, provate a ripeterlo dieci volte).
Il tutto mentre intessono dialoghi comicamente surreali.
Nella seconda abbiamo slapstick comedy, Tim Curry lanciatissimo a concludere il gioco denunciando colpevole, arma del delitto e stanza (ovviamente, altrimenti non si vince) e il gioco di parole “Communism was a red herring” (purtroppo intraducibile) ripetuto almeno tre volte senza nessuna vergogna.
E ovviamente ancora più dialoghi comicamente surreali.
Del resto, non solo alla produzione abbiamo un caposaldo della comicità sovversiva come John Landis ma il relativamente sconosciuto regista Jonathan Lynn era un “britannicissimo” autore di serial TV, nonché sceneggiatore di uno dei capisaldi dell’umorismo britannico su schermo, quale Yes, Minister!. Aggiungiamo poi che quale consulente alla sceneggiatura, non accreditato, venne interpellato anche Tom Stoppard, autore di Ronencrantz e Guilderstern sono morti, e il quadro è completo.
Solo pochi giorni fa, a proposito delle parodie demenzialin scrivevo:
Il filone parodistico demenziale, come è noto, si distende su una scala che va dal minimo umorismo “situazionale” giocato sui dialoghi brillantemente insensati e la sovversione dei canoni del genere di riferimento (Frankenstein Junior o Dracula Morto e Contento, per dire), alla progressiva decostruzione della scena con situazioni slapstick e violazioni delle regole di regia e messa in scena, che rendono paradossalmente divertente il momento in cui “il giocattolo si rompe”.
In questa scala di progressiva decostruzione, Signori il delitto è servito, si colloca nella zona più “rilassata”, in compagnia di Frankenstein Junior. Infatti, la nota di maggiore insensatezza è il fatto di essere la trasposizione cinematografica non di un racconto o di una sceneggiatura teatrale, ma di un gioco e del suo tabellone, la “Hill’s house” con i luoghi e i passaggi segreti - scorciatoia.
E vorrei tanto usare l’abusata formula “la location è il vero personaggio” ma, no, i personaggi sono i veri personaggi. E fanno tutti scassare dalle risate.
P.S.
Sì, lo so, l’ho letto anche io: Ryan Reynolds ha i diritti per il remake del film. Io voglio tanto bene a Ryan Reynolds, per la pervicace, nerdosa, volontà con cui ha deciso che Deadpool andava fatto come andava fatto e ha vinto e dato un po’ di ossigeno al supereroismo. Ma, ecco… Tim Curry e Christopher Lloyd… cioè, dai…
Questo articolo fa parte della Cover Story “Febbraio bizarro”, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.