Outcast

View Original

Solaris - Cortesie per gli Ospiti | Spoiler Zone

Una rubrica in cui parliamo di giochi, film, libri, la qualunque, a posteriori, senza farci alcun problema di spoiler. Se non avete ancora "consumato" ciò di cui si parla, in questo caso Solaris, statene alla larga, perché qui potremmo svelarvi ciò che non volete sapere!

In quel periodo di folle corsa allo spazio, la civiltà umana incappò in Solaris.

Un pianeta completamente ricoperta da un oceano di neutrini, sconfinato, cangiante delle sfumature di rosso e di azzurro, a seconda di quale dei suoi due soli sia dominante nella sua orbita. Completamente disabitato, se non per delle formazioni, come isole, che hanno iniziato ad emergere dalle acque vorticose del mare mentre gli uomini erano intenti in analisi e misurazioni.

No, emergere non è corretto, è come se l’oceano si coagulasse in formazioni sempre di maggior complessità. Come se il pianeta reagisse alla presenza degli uomini rispondendo con ciò che gli uomini si aspettassero di trovare in un oceano, onde e mulinelli, correnti e maree e alla fine isole e promontori iniziano ad affiorare dalla nebbia per poi svanire una volta che l’allucinato visitatore si allontana, senza saper distinguere ciò che è sensibile da ciò che viene catturato dalla pellicola e dalle misurazioni.

Solaris è un mistero, anzi, è Il mistero che tiene in scacco tutta la comunità scientifica, aprendo a nuove branche, nuove specializzazioni, nuove teorie basate, analogicamente, su quello che l’essere umano fino ad allora ha imparato a conoscere, non somigliando a nulla.

Ma cosa succederebbe se qualcosa che l’uomo esplora avesse già un nome? E soprattutto, se l’uomo nel suo peregrinare nello spazio incontrasse un dio, lo riconoscerebbe?

Questi sono i pensieri che affollano la mente di Kelvin, scienziato solarista inviato sul pianeta a indagarne il mistero, protagonista prima del libro di Stanislaw Lem e successivamente del film omonimo, diretto da Andrej Tarkovskij, ricordato come uno dei più celebri esponenti della fantascienza cinematografica sovietica per aver adattato due romanzi inadattabili, Solaris, appunto, e Picnic sul ciglio della strada, che al cinema diventa noto come Stalker.

Il film tratto da Solaris viene accolto dalla critica come la risposta sovietica a 2001: Odissea nello spazio di Kubrick, che ricordiamo essere stato scritto a braccetto con Arthur C. Clarke, tra i massimi esponenti della fantascienza positiva, quel filone di fantascienza speculativa che da una ipotesi arrivava a formulare una teoria scientifica estrema, ma che potrebbero trovare sicuramente collocazione da qualche parte nel vasto e inesplorato vuoto cosmico.

Ma torniamo su Solaris.

La prima cosa che accoglie Kelvin sulla stazione è il caos. Tutto sta andando alla deriva, uno degli scienziati residenti nella stazione è morto, gli alti due sono disposti, funzionalmente, agli estremi opposti del pensiero del protagonista. Ma la cosa più allarmante sono le presenze che si aggirano insensatamente per la base. Persone che non dovrebbero e che non potrebbero stare lì turbano gli scienziati. Gli “Ospiti” sono apparsi da poco, dicono, dopo i primi test effettuati con i raggi X.

L’ospite di Kelvin non tarda ad arrivare, infatti dopo la prima notte di sonno nel letto al suo fianco, lo scienziato trova viva e vegeta la moglie morta. Le sue reazioni possono essere classificate come uguali e contrarie alle fasi di accettazione del lutto. Qualsiasi cosa faccia non serve ad allontanarla, anche fino a spararla nello spazio con la capsula che lo ha portato sul pianeta. Niente, ogni mattina si trova la moglie defunta nel letto.

Non li si può chiudere in una stanza, non li si può allontanare troppo, quelli faranno qualsiasi cosa per tornare dalle persone le cui coscienze li hanno generati.

Inizia una sorta di convivenza intervallata da studio e da esami, gli Ospiti sono fatti della stessa sostanza di cui è fatto l’oceano, tenuti insieme da un campo di forza dipendente dal pianeta e sensibile alle onde celebrali degli scienziati addormentati. Potremmo dire che “sono fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni” in senso stretto. Mentre gli scienziati sondavano il pianeta il pianeta ha iniziato ad indagare dentro di loro e per farlo ha plasmato per loro gli Ospiti, che come le onde, le maree e le formazioni che i primi esploratori riscontravano nel pianeta leggendo la sua superficie come un oceano, così gli Ospiti si comportano come gli scienziati si aspettano si comportino le persone di cui sono l’immagine.

Quello che accade tra Kelvin e la sua moglie-ospite ha dell’irripetibile, in quanto è l’unico il cui ospite sia modellato su una persona reale e non su un’idea, un desiderio o un sogno (che gli altri scienziati tengono ben nascosto al protagonista, tanto che vediamo solo brandelli di cui è difficile stabilire il significato). Basato su una persona reale, l’ospite di Kelvin è un passo più in là degli altri sulla via che lo avvicina ad essere una persona, ogni giorno che passa è lo specchio dei ricordi di quest’ultimo e man mano che la sua presenza nella sua vita alla base diventa importante più le fattezze dell’ospite si concentrano e la sua mimesi diventa affidabile fino all’inevitabile.

Kelvin è vedovo perché a seguito di un litigio e una pessima gestione della cosa la moglie si suicida. E questa esperienza sarà costretta a rivivere ma al contrario durante una delle sequenze più drammatiche e toccanti messe in scena da Tarkovskij in quanto gli Ospiti non restano feriti a lungo e la moglie di Kelvin assumendo sempre più consapevolezza dei ricordi e delle sensazioni vissute da quest’ultimo ingerisce dell’ossigeno liquido che la induce in uno stato simile alla morte, solo per poi ritornare in vita, come in un avvelenamento al contrario.

Con questo precedente il finale si intorbidisce.

Come estrema ratio alle visite degli Ospiti, viene costruito un disgregatore neutrinico attivabile solo attraverso le onde celebrali di Kelvin, se non fosse che lui, attribuendo dignità umane agli Ospiti si rifiuta di prendere parte all’esperimento che gli porterebbe di nuovo via la moglie se non che è proprio l’ospite della moglie che decide di collegare Kelvin al disgregatore per “liberarlo” dalla sua presenza di doloroso spettro del passato.

Cosa significa questo comportamento? È solo l’ennesimo istinto suicida che prende forma dai ricordi di Kelvin o è il primo atto di libero arbitrio di una creatura che ha iniziato a nutrire sentimenti veri e proprio e non il riflesso di questi? Non ci è dato di sapere.

Solaris assume profili sinistri: il dio idiota

un dio dall’onnipotenza e dall’onniscienza limitate, fallibile nel prevedere le conseguenze dei suoi atti, autore di fenomeni il cui corso generi spavento. Un Dio minorato che non si rende conto di volere più di quanto possa. Uno che ha costruito gli orologi, ma non il tempo da essi misurato

e ancora, in quella che è la meravigliosa prosa dell’ultimo capitolo del romanzo di Lem

Solaris potrebbe essere l’esordio, il germe del Dio della disperazione… forse la sua vita infantile supera di gran lunga la sua intelligenza, e tutte le opere delle nostre biblioteche di Solaristica non sono altro che un catalogo dei suoi riflessi neonatali… e noi per un certo tempo siamo stati i suoi giocattoli. Un dio non condannato a redimere niente, che non salva niente, che non serve a niente e che semplicemente é.

Per quanto gli scienziati si sforzino di comunicare con Solaris, questo resta muto perché ineffabile, ma di contro scopre tantissimo sul conto di questi suoi visitatori venuti dallo spazio con meccanismi analogici e mimetici. Non si definisce perché non ha termini di paragone col quale definirsi, né li trova all’interno delle menti che scandaglia durante il sonno.

Il libro è uno dei caposaldi della fantascienza mondiale e il film è, giustamente, uno dei caposaldi della fantascienza – cinematografica – mondiale. È un adattamento a mio avviso splendido, efficacissimo nel restituire allo spettatore sensazioni precise, e in più arricchisce lo spazio narrato da Lem con un apparato visivo deliziosamente passé, questi ambienti che non sono mai asettici, il mobilio che asseconda la curva della stazione di ricerca, un gusto per l’estetica della space age che oggi ritroviamo solo nelle pagine di raccolta di immagini di memorabilia, compiendo un doppio viaggio, uno nel futuro immaginato negli anni Settanta, a mio avviso ancora molto affascinante, specie in un momento in cui altre estetiche derivanti dai Sessanta e dagli Ottanta hanno un po’ saturato l’immaginario, e uno al di là della cortina di ferro, nel raccontare un mondo sospeso e apparentemente distantissimo, ma che in realtà si rivela efficace critica all’esasperante burocrazia che investe qualsiasi aspetto della vita, come in questo caso specifico l’accademia, da quanto possiamo vedere nei filmati visionati da Kelvin durante il primo atto.

Forse giusto in questa fase di avvio il film accusa una certa inerzia nel dipanare gli eventi antecedenti l’arrivo di Kelvin su Solaris, ma dal momento che lo scienziato arriva alla stazione l’atmosfera diventa immediatamente sinistra, complice il senso di degrado e abbandono della stazione, quasi da avvicinare la pellicola ad una storia di fantasmi.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata allo spazio, che trovate riassunta a questo indirizzo.