Sono un giocatore casuale di racing, e questa è la mia storia
A me le macchine non piacciono.
Sono rumorose e puzzano, guidare è una faccenda scomoda e il fatto che l’intero mondo sia stato rimodellato a misura di automobile nell’ultimo secolo è una delle ragioni per le quali quando arriverà finalmente l’apocalisse non mi lamenterò poi troppo. Non so distinguere una FIAT da una non-FIAT – mi pare che le macchine si dividano in queste due categorie, ma potrei sbagliare – e ogni volta che una persona comincia ad attaccarmi un pippone sul fatto che la nuova XLS-400 della Peugeot ha ben ottantasette cavalli in più della sua concorrente diretta (che però ha un semiasse turbinato cromato che non si era mai visto prima) io stacco il cervello e comincio a ripetermi ossessivamente la formazione del Milan che ha vinto la Champions ad Atene nel 2007. Sono proprio pieno di pregiudizi su tutta questa faccenda dell’automotive, tipo che se non ti conosco e ti presenti al volante di un macchinone io già penso che non andremo d’accordo anche se magari avresti tutto per essere la mia persona preferita. Ho una macchina, ovviamente, per il discorso di cui sopra, ma cerco di non usarla, spesso fallendo. E poi le macchine inquinano!!!
D’altra parte però le macchine mi piacciono un sacco, o meglio: mi piace quello che le macchine fanno, cioè muoversi molto velocemente. Mi piace la velocità, o quantomeno mi affascina: nel mondo reale supero raramente i 110 km/h anche perché ho una Panda di quindici anni fa e ci tengo a non farla decollare, ma quando ero piccino rosicavo perché non possedevo una console SEGA, e quindi non potevo giocare a Sonic – un gioco bellissimo per il semplice fatto che il protagonista correva velocissimo. Mi fa proprio godere fisicamente l’idea di muovermi ad alta velocità ed evitare ostacoli che vedo solo all’ultimo secondo, è il motivo per cui mi piacciono così tanto i platform e preferisco giocare dieci minuti a Super Meat Boy che un’intera giornata a quasi qualsiasi altra roba.
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Questa bizzarra e contraddittoria combinazione di preferenze e fastidi fa sì che nella mia vita abbia passato più ore dietro al volante di una macchina videogiocosa che a quello di una macchina vera: ho giocato a decine di giochi brum brum, senza mai sfiorare neanche per sbaglio tutto l’aspetto simulativo di quella roba ma limitandomi a tenere pigiato un tasto o un grilletto per andare il più velocemente possibile e schivare lo schianto all’ultimo istante (il fatto che mi diverta un sacco anche quando lo schianto non riesco a schivarlo potrebbe spiegare come mai preferisco giocare a un giochino di macchine che guidare una macchina vera).
Il mio amore clandestino e sempre un po’ macchiato di vergogna per i giochi di macchine affonda le sue radici nella storia, che ho già raccontato su queste pagine, di Figlio Unico Viziato, l’amico che mi regalò uno spavento di cassettine del NES perché lui aveva fatto l’upgrade al Super NES. Tra queste c’era anche un gioco dal titolo a posteriori imbarazzante, Rad Racer, una versione da discount di Out Run ambientata – almeno il primo percorso, non so se l’ho mai finito – in una California pixellosa e affascinante, fatta di strade infinite e di un orizzonte che non si avvicinava mai, ma prometteva, per chi fosse riuscito a sconfiggere i pessimi comandi e la generale sensazione di scrauso, un bel mare azzurro come una cosa molto azzurra. Non ho mai imparato davvero a giocare a Rad Racer: mi mettevo al volante, pigiavo il tasto per andare veloce e mi godevo lo spettacolo di tutti questi pixel che mi sfioravano la faccia virtuale come folate di vento. Poi mi schiantavo, mi ribaltavo, venivo superato, resettavo e ricominciavo. Mi piaceva andare veloce, fine.
Per qualche motivo, per anni non ho voluto ammettere con me stesso questa roba che mi piacesse andare veloce – nei videogiochi ma credo anche nella vita vera, se non fosse che nella vita vera non ho mai avuto grandi occasioni di andare veloce, anzi. Per cui rimanevano i giochini, e questa inconfessabile voglia di guidare una finta macchina, che soffocavo sotto decine di strati di giochi di ruolo e avventure punta-e-clicca e altre cose intellettualmente soddisfacenti e ben più dignitose.
Ricordo che, quando comprai il mio primo computer da gioco e cominciai a pitoccarlo, presi questa roba dell’avanzamento tecnologico come una scusa per dare sfogo alle mie turpi voglie: i giochi di macchine vanno veloci, e quindi sono un ottimo modo per mettere in mostra la potenza della tua nuova CPU. Quello che non ricordo sono i titoli dei suddetti giochi: ce n’era uno in particolare che era una roba di corse fantascientifiche post-apocalittiche con percorsi immensi e pure le armi montate sulle macchine per fare il culo agli altri concorrenti. Ci dedicai centinaia di ore, imparai a memoria ogni circuito. A oggi non ricordo come si chiamasse. Aspettate che vado a cercarlo.
Trovato! Si chiamava (gasp) DethKarz, ed era degli stessi che l’anno prima fecero KKnD, ve lo ricordate? Sto divagando. Quello che voglio dire è che per anni, mentre i miei amici giocavano ai vari Gran Turismo e Colin McRae e F1, io mascheravo la mia voglia di pigiare l’acceleratore nascondendola dietro la fantascienza, le armi, qualsiasi scusa era buona insomma per non dover ammettere di stare giocando anch’io a un gioco di macchine. Non ero solo un giocatore casuale di racing, ero proprio in denial.
Sapete che cosa ha cambiato tutto? PlayStation Plus e i suoi giochini mensili, e più di recente Game Pass. Ho giocato a una buona percentuale dei Need for Speed post-Shift grazie alla magia dei giochi non-gratis: per vedere come fossero, ovviamente, mica perché mi piacessero davvero! Negli ultimi anni, poi, questa roba è esplosa: ho dedicato un centinaio di ore (!) a Forza Horizon 5 perché quando comprai la Series X era il gioco di punta di Game Pass, e trovarmi davanti a un mondo aperto nel quale potevo girare a caso cercando di toccare velocità mai viste prima (da me) era un’esca troppo invitante. Sapete cosa mi piace un sacco in particolare dei giochi di macchine? I SALTI, se non ci sono, il gioco per me già perde sei o sette punti, se ci sono, passo intere giornate a vagare a caso per una mappa in cerca di rampe e trampolini. In Forza 5 (che non è il sequel di Forza 4) è pieno di salti! Non sono mai andato neanche vicino al concludere la “storia” perché ogni volta che ci provavo trovavo un altro salto e mollavo tutto quanto per studiare il percorso migliore per massimizzare il tempo passato in aria.
Forse mi piacciono i giochi di salti e non quelli di macchine? Non credo, perché poi quando si tratta di correre molto velocemente senza uscire di strada e battendo altra gente (reale o virtuale) non è che mi tiri indietro, anzi. Ma forse anche questo è indipendente dai motori e legato solo al fatto che sono iper-competitivo e non sopporto perdere? Non credo, perché se così fosse dovrei apprezzare anche i giochi di sport e non solo quelli di corse. Lo so, questo discorso non porta da nessuna parte, ma d’altro canto è figlio di una contraddizione gigantesca: perché se sento le parole “motori rombanti” ho due reazioni diverse e opposte a seconda che siano motori veri o motori virtuali?
Magari è banalmente perché non mi piace l’idea di morire, e se andassi molto veloce con una macchina vera morirei. Magari è perché lo spazio virtuale mi permette di esperire quella sensazione di essere sempre a un passo dal perdere il controllo (e quindi la vita) senza effettivamente rischiare che succeda: le macchine virtuali hanno tutti i pregi di quelle reali e nessuno dei loro difetti. Magari è perché nella vita reale non si può usare il freno a mano in quel modo bellissimo che ti insegnano invece i giochi di macchine: la mia passione più recente è Need for Speed Unbound, un gioco di driftare e copiare GTA senza le legnosissime parti a piedi e le pessime sparatorie. Ci ho giocato per una quarantina d’ore e non saprei dirvi che macchina guido (è sempre la stessa da inizio gioco, non mi piace cambiarle) neanche se ne andasse della mia vita; non ho mai aperto il menu per comprare pezzi nuovi e migliorare le prestazioni del mio veicolo. Però ci ho giocato una quarantina d’ore che non escludo possano diventare sessanta, ottanta, centomillanta.
È il destino di un giocatore casuale di racing: godersi questa roba di muoversi molto in fretta senza davvero scalfire la superficie di quello che significa guidare una macchina. Chissenefrega se questo nuovo gearbox migliora le mie prestazioni del 66,6% o se i copricerchioni Nissan sono meglio di quelli Citroen; manco so cosa sia un gearbox, e anche sul cerchione, insomma… Però mi piace tenere pigiato il grilletto destro e vedere il paesaggio che schizza intorno a me tutto sfumato; mi piace vedere una macchina davanti a me e calcolare le traiettorie migliori per superarla, mi piace la sfida di sapere quando frenare con il freno normale, quando usare quello a mano, quando limitarsi a mollare l’acceleratore e lasciare che l’inerzia e una piccola aggiustatina al volante facciano il resto. Mi piace proprio correre velocissimo, eppure se potessi non mettere mai più piede su un’auto in vita mia lo farei. Significa che sono il peggiore?
Questo articolo fa parte della Cover Story “Motori in pista”, che potete trovare riassunta qua.