Outcast SOTY 2020
Questa volta ci abbiamo messo un po' di più perché volevamo lasciar "respirare" le uscite di dicembre, da Cyberpunk 2077 a Soul, ma è comunque giunto il momento dei tradizionali OTY, i nostri premi per il meglio del meglio dell'anno che si è appena concluso. Le regole, come sempre, sono semplici, e infatti le copincollo da quelle dell'anno scorso: ciascuno dei partecipanti, selezionati in base al classico criterio "Chi c'ha voglia", integrato con "Chi si ricorda", "Chi mi manda la roba per tempo" e "Chi non ha la sfiga di avermela mandata in una maniera che abbia fatto sì che poi io me la sia persa", deve indicare una serie, un film e un videogioco che secondo lui svettano rispetto a tutto il resto e dare anche una minima motivazione. Ovviamente, poi le regole vanno subito nel cesso e ognuno fa quel che gli pare, ma insomma, siamo fatti così.
Lo spirito non è quello di fornire indicazioni oggettive e completissimissime, è solo che ci piace dire la nostra e, magari, consigliarvi cosette interessanti che vi sono sfuggite. Tutto qui. Si comincia oggi con le serie TV, poi domani i film e infine mercoledì i videogiochi.
Buona lettura e buon 2020!
Stefano Talarico
Disclaimer: considerando che il 2020 conta come un anno dei cani e che la seconda parte dell’ultima stagione di BoJack Horseman chiudeva una roba uscita a ottobre 2019, facciamo finta che il mio SOTY 2019 mancante sia stato assegnato postumo. Trovo in qualche modo romantico che, in un mondo in cui le serie sono sempre più definite dalla visione in blocco, le mie due preferite dell’anno abbiano sfruttato la cadenza settimanale. The Last Dance, arrivato a riempire il silenzio di stadi e palazzetti con una storia sportiva che gli americani definirebbero “larger than life”, è probabilmente il perfetto coronamento di tutto il filone moderno della narrativa sportiva seriale, cominciato con i calcistici (Sunderland ‘Till I Die e i vari All or Nothing) e arrivato fino a Drive to Survive, complice anche il fatto che unisce una confezione pazzesca a un personaggio mitologico e meme-tastic come Michael Jordan (e tutta una serie di comprimari mica da ridere). Ma la mia serie preferita dell’anno è stata la seconda stagione di The Mandalorian. Una scelta di una banalità che mi fa cadere le braccia, soprattutto considerando che sono arrivato alla fine del secondo episodio e pensavo mi avessero drogato il bicchiere, salvo poi ricordarmi delle circostanze del 2020. Nonostante questo, sono state otto… sei puntate di gasamento, di attesa per l’episodio successivo, di personaggi che vuoi vedere il più possibile in giro per quella frontiera che sembrava ormai essere stata cancellata dalla mitologia di Star Wars.
Natale Ciappina
Ted Lasso è la mia serie TV del 2020, e lo dico senza dubbi, proprio. Si tratta di una comedy da dieci episodi, ognuno lungo circa una mezz’oretta – una di quelle cose che si guardano per intero anche in un sabato pomeriggio, volendo. Parla di questo coach di football americano (interpretato da Jason Sudeikis, ex SNL) a cui a una certa viene offerta la panchina di una squadra minore della Premier League inglese: in pratica cambia sport, con tutti i conseguenti ‘LOL’ del caso. Tuttavia, già dopo qualche episodio, lo sport in senso stretto finisce per passare in secondo piano, e a sopravanzare è l’alchimia di squadra fra i suoi vari componenti. In un certo senso, Ted Lasso è l’esaltazione di tutti quei sani valori relegati ormai solo al politicamente corretto: il rispetto in se stessi e, soprattutto, nel prossimo, investendo e credendo nell’essere umano. Una cosa molto idealistica, simile a quella fatta qualche anno fa da The Newsroom; però qui c’è molta più leggerezza e tutto scorre via senza fatica. Potete guardarla su Apple TV+, magari durante la pausa per le nazionali.
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Davide Moretto
Potrei scegliere la mia serie preferita del 2020 tra le seconde stagioni di The Boys o The Umbrella Academy, ma alla fine scelgo la terza stagione di Star Trek: Discovery, che mi è piaciuta tantissimo: valori di produzione alti, per me probabilmente una fra le stagioni migliori di qualsiasi Star Trek di sempre (non che abbia guardato tutti gli episodi di tutte le serie, eh). Bravi, non pensavo che nel 2020 si potesse ancora produrre qualcosa di Star Trek così fresco e ben fatto.
Angelo Di Franco
Generalmente comincio a seguire le serie TV in ritardo, quando hanno almeno tre o quattro stagioni sulle spalle: ormai, la quantità dell’offerta è così elevata che il rischio di seguire serie bruscamente interrotte o chiuse frettolosamente mi fa aspettare per vedere se ne vale la pena o meno. Young Sheldon è stata una delle poche eccezioni, un po' perché conoscendo la serie madre, The Big Bang Theory, sapevo più o meno cosa aspettarmi, un po' perché si tratta di un prodotto leggero, che si lascia seguire facilmente, senza troppe pretese. Questa terza stagione, resa disponibile in Italia nella primavera del 2020, l’ho trovata più riuscita rispetto alle prime due: viene dato più spazio alle vicende degli altri membri della famiglia Cooper e si percepisce maggiormente l’effetto nostalgia degli anni ’80, fra VHS e floppy disk di The Oregon Trail.
Andrea Giongiani
La seconda stagione di The Mandalorian è stata qualcosa di indimenticabile e rappresenta, per quel che mi riguarda, Star Wars fatto bene. Pecca forse di eccessivo fan service, ma quando è così piacevole e va a ridare dignità a personaggi violentati nell’ultima trilogia, non posso che approvare.
Vorrei parlare di più dei vari cameo e dei personaggi che fanno ingressi a sorpresa prendendo di colpo possesso di tutta la scena ma non voglio, no, non posso rischiare di fare spoiler e rovinare l’esperienza a chi non ha ancora visto la seconda stagione, non me lo permetterei mai.
Mi limito a dire che la forza è possente in The Mandalorian.
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Andrea Peduzzi
Sulle serie vado un po’ in crisi, perché buona parte della roba che mi sono sparato durante il 2020, in realtà, non è uscita nel 2020, tipo Patrick Melrose e la seconda stagione di Fargo, che vincerebbe a mani basse, se soltanto il regolamento lo permettesse. Però non lo permette, quindi, a raspare tra La regina degli scacchi, Unorthodox o la quarta stagione di The Crown vado sul classico – nel senso monarchico del termine – e punto su quest’ultima, che pur non essendo la migliore edizione della serie di Peter Morgan, si becca il trono di casa mia in via dei catfight tra la Colman e una Gillian Anderson in versione Margaret Thatcher, e per tutta quella pornografia Barbour che è riuscita a farmene comprarne uno (non succedeva dal ‘93).
Francesco Tanzillo
Eleggere la migliore serie del 2020 non è facile.
Il principale problema della serializzazione contemporanea è che tutte le storie, una volta adattate per diventare serie, perdono la loro cristallina omogeneità. Tante buone idee annegate in un mare di noia.
Così, inizia ad essere difficile avere qualcosa di soddisfacente o memorabile in toto, un unico blocco di appagamento a puntate. Nella infinita disanima dei pro e dei contro, i contro tendono a sbilanciare e a contaminare l’esperienza, a diventare un grosso MA con il quale seppellire i pro.
Quindi, volendo premiare una serie che sia una, premio il finale di Bojack Horseman.
Chiudere una storia non è facile. Chiudere una storia con un personaggio così amato comporta dei rischi enormi, eppure questo finale, con la sua parabola di catarsi, con le sue trovate narrative e il suo essere estremamente poco indulgente nei confronti dello spettatore e del protagonista, è una perla che supera la tradizionale divisione tra “happy” e “bad” ending.
Mi mancherà molto, Bojack Horseman, il suo umorismo surreale, il modo in cui riusciva costantemente a distruggere qualsiasi cosa, il suo alcolismo molesto e l’intreccio e la coerente caratterizzazione psicologica dei suoi personaggi.
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Andrea Maderna
La "roba" televisiva migliore che mi sono puppato nel 2020 è Halt and Catch Fire, in particolare la mostruosa quarta stagione di Halt and Catch Fire, ma in Italia l'hanno trasmessa nel 2019, quindi non vale. E allora mi butto sul gran finale di The Good Place, che ha tirato le fila di una fra le serie TV più particolari, innovative, divertenti, ricche di idee, appassionanti, ambiziose e intense del decennio appena trascorso. Tutti aggettivi da leggere con valore doppio al pensiero che lo spunto di partenza, in un'altra epoca o in un altro universo, sarebbe stato usato per produrre otto stagioni da 24 puntate tutte uguali, tutte basate sempre sulla stessa tarantella. #einvece The Good Place è entrato subitissimo nel mood "stravolgiamo tutto ogni quattro puntate" e non ne è uscito fino alla fine. E che fine! Trovare una conclusione sensata per quel tipo di racconto non era semplice ma ci sono riusciti, con un finale divertente, toccante, intelligente. E ora, per favore, qualcuno mi mette in produzione un’altra serie TV con Jameela Jamil?
Marco Esposto
Qui è complessa. Sto portando avanti un macro-piano di visione di tutto ciò che sia mai stato prodotto su Star Trek, quindi, nel 2020, ogni volta che potevo, lanciavo un episodio della serie classica, e ora di The Next Generation. Però, boh, prima o poi ne scriverò, giuro. C'è stato insomma poco spazio per guardare altro, in ambito serie TV, e allora facciamo che la coccarda la appunto ad Agents of S.H.I.E.L.D. Un premio a tutte e sette le stagioni, alla fine, più che a quella finale, che mi ha comunque divertito, anche se i picchi migliori la serie li ha toccati in passato. Però la lacrimuccia da season finale c'è stata, anche solo per l'aver dovuto salutare gente che a cadenza settimanale mi ha fatto compagnia per praticamente sette anni, seppur anche con lunghe pause. È un po' la magia delle serie lunghe, con gli episodi che escono uno alla volta, senza binge watching che tenga (anche se poi molti aspettano per spararsele insieme). Una cosa che apprezzo, forse da vecchio dentro, perché permette di metabolizzare gli episodi, di discuterne, di formulare teorie, e sono felice che, per dire, Disney e i Marvel Studios abbiano deciso di far uscire così tutte le future serie su Disney+. Quindi via, Agents of S.H.I.E.L.D. vince, che gli ho sempre voluto tanto bene.
Marco Mottura
Non ne ho guardate moltissime, ma anche se avessi passato tutto il 2020 attaccato alla TV 24/7, il vincitore sarebbe comunque solo e soltanto lui: Tiger King. Ho avuto il piacere di gustarmela appena prima che esplodesse, grazie al consiglio di un’amica americana: ogni puntata una sorpresa, ogni finale un cliffhanger pazzesco, ogni assurdità un delirio ancora più grande, pronto a lasciarti di sasso.
Un’estasi fatta di armi da fuoco e fantasie leopardate, di degrado redneck oltre ogni logica: la realtà che supera la più improbabile delle fantasie, con situazioni e personaggi veramente memorabili. Viva Joe Exotic, viva i suoi eccessi senza logica e vaffanculo Carole Baskin.
PS:
Il fatto che tre quarti di quel che si vede a schermo, montato peraltro in maniera divina e con un ritmo impeccabile, sia materiale di repertorio che Joe si era preparato di suo rende il tutto ancora più epocale.
Gianni Mancini
Il 2020 sarà ricordato soprattutto per la pandemia. Io invece lo ricorderò come l'anno del cambiamento. Dopo ventisette anni di snervante lavoro d'ufficio e arrivato alla soglia dei cinquanta, ho preso varie decisioni importanti. Ho lasciato il lavoro per intraprendere un nuovo percorso che non c'entra niente con il precedente (aprirò un bar/vineria), ho iniziato a scrivere per i tipi di Outcast dando sfogo alla mia vecchia e mai sopita passione per i videogiochi (grazie per avermi accolto, vi voglio bene), mi sono messo a fare lavori manuali (gli anglofoni lo chiamano DIY) che non avrei mai pensato di saper fare. Afterlife stagione 2 (ma permettetemi di infilarci anche la stagione 1) di Ricky Gervais è un inno al cambiamento e per questo è la mia serie dell'anno.