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Star Trek Beyond è il più bel sabotaggio che io abbia mai visto

La debita premessa è che, davvero, la serie storica di Star Trek scritta da Gene Roddenberry (sulla cui stessa vita andrebbe fatto un film, anzi una serie: pilota di bombardieri nella seconda guerra mondiale, pilota civile e poi parte del Corpo di Polizia di Los Angeles) è un classico epocale.

Tutto quello che viene sostenuto dai suoi fan è vero: lo spirito pionieristico, il senso del fantastico, la percezione di una frontiera infinita, i valori progressisti, ecumenici e pacifisti messi al confronto con una realtà imperfetta e portati avanti con pragmatismo senza comodi contentini e tarallucci e, per buona misura, un cast di attori di seconda fila che spremono sangue da personaggi stereotipi e li scolpiscono direttamente nella leggenda.

Star Trek è quanto di più vicino ad una Odissea, Eneide o, se sto sparando troppo alto, I tre moschettieri la cultura del 1900 abbia prodotto: un racconto seriale epico inserito in una cosmogonia (creata ad hoc) che potrebbe persino essere tramandato oralmente senza perdere niente tanto della sua morale “alta” quanto della sua carica popolare.

In questo senso, persino i suoi aspetti “memeficati”: il Capitano Kirk che si fa una amante a pianeta, le dinamiche “Sandra e Raimondo” tra Spock e “Bones”, l’accento di Scotty, la Tuta Rossa Sacrificale, il ponte dell’Enterprise privo di cinture di sicurezza

(grazie Leo Ortolani), i pianeti di cartapesta, sono parte indissolubile di questo mito. Senza i suoi limiti terreni, il mito diventa fredda materia da archeologi.

E tutto questo è vero, ma…

Ne sentivate la mancanza, eh?

Ma è anche vero che Star Trek è irreplicabile.

Come l’Eneide o l’Odissea o I tre moschettieri, è un prodotto unico che poteva essere scritto solo negli anni in cui è stato scritto e solo nella forma in cui è stato scritto. I valori e le contraddizioni del tempo in cui è stato scritto lo plasmano in maniera inequivocabile come il pubblico a cui si rivolge. I Trekkies di oggi sono i primi a riconoscere che per quanto gli episodi delle serie storiche li accolgano e li avvincano, per capirne veramente il valore devono rivolgersi alla storiografia.

Questo lo accomuna all’altro grande mito con “Star” nel titolo: una cosa è farlo fluire nell’annedotica, nella narrazione orale, nella maniera più antica e naturale del mondo tramite cui le persone si trasmettono le emozioni di una grande storia; ma se lo vuoi riproporre in un formato diverso, se lo vuoi proporre ad un pubblico contemporaneo, quasi sicuramente lo impoverisci, inevitabilmente lo tradisci.
Non è un caso che non ho mai percepito troppo amore, da parte dei Trekkies, per i film tratti dalla serie originale, nonostante avessero lo stesso cast, Roddenberry in veste di produttore ed avessero visto coinvolgere Ray Bradbury nella Writer’s Room.
Star Trek non poteva essere “ridotto”.

Quindi, la domanda è: “Ma cosa vi ha fatto di male il povero Justin Lin?”.

Tradimento per tradimento, come ogni persona di talento che si trovi ad “adattare” e “ridurre”, il regista responsabile del cambio di marcia della saga più tamarra della storia moderna lavora sugli aspetti che gli sono più congeniali e su cui può esprimersi con mano sicura.

Quelli memificati, quelli superficiali, quelli che, comunque, sono stati parte del successo di Star Trek.
Perchè, come detto: sì Star Trek della Prima Direttiva, del bacio tra Kirk e Uhura ai tempi in cui ancora CIA e forze dell’ordine ritenevano qualsiasi leader delle persone di colore, non solo quelli più eversivi, un “problema” (non che ora…), del dialogo interspecie e della non aggressione; ma anche Star Trek di Kirk che fa le capriole sparando con il taser, delle Arti Marziali Vulcaniane di Spock, delle torpedini a fotoni, degli scudi al massimo e dei motori ad antimateria fatti esplodere per il LoL (per non parlare di Bones che fa il grosso con i chirurghi della terra contemporanea… ma quello era il film).

Ai tempi e con il budget della serie originale, era tutto più statico, compassato (e forse un po’ ridicolo per i posteri), ma niente e nessuno mi toglierà dalla testa che se la squadra capitanata da Gene Roddenberry avesse potuto far fare i garini sulla motoretta scoppiettante all’Ammiraglio James T. Kirk e fargli fare la “Mossa Hiroshi Shiba” con annesso teletrasporto, glielo avrebbero fatto fare!

Quel copione di Justin Lin

Per il resto cosa dobbiamo dire? Il film è divertente ma memorabile alla fine solo per una cosa (e ci arriviamo). Il cast non è certo una responsabilità di Justin Lin, visto che arriva da due film precedenti e, a mio non qualificato parere, se la cava più che bene. Da una parte abbiamo Chris “bau bau” Pine che si deve confrontare certamente non con Al Pacino ma con William Shatner e, quindi, quando si tratta di fare la faccia corrucciata ed un po’ bovina di uno che si sta sforzando tantissimo di capire cosa capita o tirare fuori il sorrisetto da impunito strappamutande che ha fatto sognare milioni di telespettatrici, ci riesce alla grandissima.

Al suo fianco, Zachary Quinto, probabilmente l’unico attore hollywoodiano ad avere un nome che si adatta ai film che interpreta più di quello dei personaggi che interpreta, mostra di aver studiato Leonard Nimoy in lungo ed in largo e di riuscire a riprodurre piuttosto bene “l’emotività priva di emozioni” del personaggio che gli è stato scaricato sulle spalle.

E la stessa cosa si può dire del resto dell’equipaggio: conoscono la leggenda e sono carichi il giusto per interpretarla, a partire da Simon Pegg che si trova a vivere il sogno bagnato di qualsiasi nerd che si rispetti.
Dei “cosplayer di lusso”, secondo i critici più agguerriti? Probabilmente, ma dei cosplayer da primo premio alle competizioni mondiali.

Forse la parte più ingrata se la sciroppano Sofia Boutella e Idris Elba, inguainati in ruoli che sono maschere di gomma tanto quanto le protesi che devono appiccicarsi in faccia, così poco approfonditi che lo spettatore arriva a fine film continuando a confondere i loro nomi.

È un problema che esista un film del genere come esistono cover punk o pop dei classici del rock? Non credo davvero, anzi, se ne facciano una ragione gli integralisti, è anche grazie a questi rimaneggiamenti che le leggende attraversano i decenni ed i secoli, come querce adeguatamente concimate.

E poi c’è QUESTA SCENA

Eddai… EDDDAAAIII!!!

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata allo spazio, che trovate riassunta a questo indirizzo.