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The Last of Us - Tanto rumore per nulla

Valutare The Last of Us è difficile, non solo perché ha raccolto una vagonata di 10 nel mondo, ma anche perché ne ho già parlato un pochino altrove, scatenando reazioni contrastanti. E quando ricevo pareri diversi dal mio, non posso fare a meno di farmi venire dei dubbi sulla mia ricezione dell’opera. Magari qualcuno ha “capito” il gioco meglio di me, o forse era solo più predisposto dall’hype a passare sopra ai difetti, ma rimane il fatto che The Last of Us non è di sicuro il mio gioco dell’anno. Ma neanche nella top ten.

Partiamo dal presupposto che, per quanto possiate essere o meno d’accordo con l’utilizzo del voto numerico nei videogiochi, un 10 rappresenta non solo il punto più alto della produzione videoludica del momento, sia tecnicamente che ludicamente, ma anche qualcosa in grado di rivoluzionare - o quantomeno di innovare - il proprio ambito: The Last of Us non lo fa. Tra l'altro, come alcuni di voi forse sapranno, The Last of Us è stato insignito della palma di “Citizen Kane dei videogiochi”... Quarto Potere, il film che ha rivoluzionato il cinema, e The Last of Us, un gioco che al massimo ha mostrato al mondo come spremere una console morente (in tutti i sensi: a quanto pare la pesantezza dei caricamenti ha fatto saltare più di una PlayStation). Un paragone alquanto ardito.

Ma prima di concentrarsi sull'aspetto tecnico, direi che è bene spendere due parole sulla narrazione. La storia, a grandi linee, la conoscete: Joel, cinquantenne incattivito dalla vita, deve “contrabbandare” la quattordicenne Ellie lungo gli Stati Uniti, segnati terribilmente da un’infezione fungina che ha tramutato metà della popolazione in creature molto simili a zombi e l’altra metà in sciacalli assassini. Sostanzialmente, un road movie post apocalittico che, come quasi tutta la produzione ambientata nel post apocalittico, è irrimediabilmente derivativo: ci sono i mostri, ci sono i sopravvissuti umanamente peggiori dei mostri e più in generale ci sono quelle situazioni lì, che ci devono essere perché altrimenti non è veramente post apocalisse (che poi, perché?).

Ma, intendiamoci, non è l’essenza derivativa della storia in sé a disturbare, quanto l’apparente incapacità, dopo un buon prologo telefonato ma efficace, di raccontare le vicende in maniera interessante, e soprattutto di arrivare a un finale che non risulti vagamente forzato, nonostante una costruzione lunga quasi sedici ore di gioco. Tutto quello che succede durante la trama di The Last of Us è ampiamente prevedibile, "rompendo” un po’ le ottime cutscene realizzate da Naughty Dog e lasciando un senso di noioso già visto lungo tutta la traversata degli States.

Così come la trama, poi, il gameplay di The Last of Us non introduce chissà quale innovazione. L’azione stealth del gioco è indubbiamente solida, e trasmette pure una certa tensione durante i secondi passati ad attendere un nemico da dietro un riparo, per abbatterlo silenziosamente senza sprecare le poche munizioni a disposizione... ma non aggiunge nulla di nuovo, a parte un'ottima resa fisica delle varie armi che, quando chiamate in causa, dimostrano un ottimo feedback per quanto riguarda peso e conseguenze nel nemico di turno.

Nemici che, nel complesso, godono di una buona intelligenza artificiale. Gli infetti, giustamente, non brillano tanto per acume tattico quanto per bramosia delle nostre carni: i runner sono veloci, famelici e discretamente all’erta, mentre i clicker sono praticamente ciechi, ma sopperiscono al deficit con una sorta di sonar tramite cui localizzarci e ucciderci istantaneamente una volta entrati nel loro raggio di azione. D’altro canto, gli umani sono un po’ più tattici, non disdegnano qualche attacco a sorpresa e soprattutto stanno sempre bene allerta. In questo senso, c’è da segnalare che l’IA di tutti i nemici è calibrata in modo che vengano considerati solo i nostri movimenti e non quelli di Ellie, che, noncurante del nostro fare furtivo, non si fa problemi a camminare su tutto ciò che fa rumore o a spuntare dai ripari. Una soluzione che rompe un po’ la sospensione d’incredulità, ma non risulta particolarmente fastidiosa.

Quello che appare meno trascurabile, però, è l’alternanza salomonica con cui vengono proposti nemici umani e infetti nelle sezioni action del gioco, alimentando un dualismo che aumenta la sensazione di prevedibilità di cui sopra e che, moltiplicato per le ore di durata e un ritmo generale tenuto coerentemente blando per la maggior parte del gioco, potrebbe anche venire a noia e risultare piuttosto lineare.

Lineari come anche i magnifici scenari lungo i quali è ambientato The Last of Us. Gli scorci offerti da Naughty Dog saltano all’occhio per la loro complessità, la loro completezza e la loro bellezza, tanto negli ambienti naturali quanto nelle grandi città completamente coperte da una natura libera di riprendersi gli spazi rubati dall’urbanizzazione. Una bellezza ricca di dettagli, sia all’aperto che nei vasti interni, nella quale sarebbe bellissimo perdersi ma in cui è impossibile farlo. Certo, si può esplorare - e pure tanto - alla ricerca di oggetti e munizioni, ma la strada per arrivare a destinazione è sempre e solo una, così come univoci sono ingresso e uscita. Uno spreco? Forse. Sicuramente un’occasione persa per valorizzare ulteriormente un lavoro veramente sbalorditivo.

Così come è veramente incredibile tutto il lato tecnico messo in mostra da Naughty Dog. È vero, il gioco ha ammazzato qualche PlayStation “fat” durante il primo, devastante caricamento (io stesso aspetto due minuti di terrore prima che venga caricato il salvataggio), ma una volta asciugato il sudore freddo dalla fronte, lo spettacolo è assicurato. Un Havok mai così concreto regge il gioco che forse più di tutti mette in mostra l’hardware di Sony, con un’illuminazione straordinaria, spazi vastissimi e dettagli in ogni dove. Il tutto accompagnato dalla solita buona vena registica del team californiano e da una colonna sonora sobria ma di grande impatto, firmata dal doppio premio Oscar Gustavo Santaolalla, che accompagna e valorizza la grande atmosfera in cui The Last of Us vuole immergerci.

C’è del buono, insomma, ma purtroppo non abbastanza per sorvolare con tranquillità sugli aspetti meno riusciti del gioco. Ripetitivo, lineare e derivativo tanto nella trama quanto nel gameplay, The Last of Us si concede al giocatore con un ritmo atipico per un videogioco, senza però sfruttare la cosa a suo vantaggio, mettendo in scena eventi ampiamente prevedibili o addirittura privi del giusto pathos, restituendo la sensazione di essere lontano dal carico di innovazione necessario anche solo per azzardare certi paragoni. Sempre che abbia senso farli.

Ho giocato The Last of Us dopo averlo regolarmente acquistato per 10 euro (e qui ci sarebbe stata una battuta sugli usati, ma Microsoft mi ha colto in controtempo) sulla mia PlayStation 3 in fin di vita, arrivando alla fine in preda a un attacco di orchite. L'ho giocato in inglese sottotitolato, ché il cinquantenne Joel con la voce di un teenager non si può sentire. Nonostante una fortissima ritrosia dovuta al recente passato di Naughty Dog targato Uncharted, di cui ho saltato terrorizzato tutti e tre i capitoli come manco fossero clicker, ho recuperato il gioco a prezzo stracciato perché attirato dall’ambientazione. E tutto sommato sono contento, perché è stata l’unica cosa che non mi ha fatto pentire dei soldi e del tempo. Ad ogni modo, se penso al gioco con un occhio un po’ più clinico e faccio la media con tutti i pareri non-specializzati sul gioco, do il voto che vedete lì sotto, sapendo di andare un po’ (ma neanche troppo) controcorrente.

Voto: 7,5