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Tre cose che è bene ricordarsi

Se volete leggere questo articolo in versione un po’ rimaneggiata e impaginata diversamente, la trovate su IGN Italia.

Mentre giocavo a Deathloop, mi è venuto in mente Crysis 2. E, soprattutto, mi è venuta in mente una reazione che ebbi a Crysis 2, della quale parlammo abbondantemente in podcast all'epoca. Ho provato a spiegare questo mio pensiero nella chiacchierata di qualche settimana fa, che vi piazzo qua sotto, ma mi è venuta fuori malissimo per un mix di stanchezza e conversazione di gruppo. Quindi ci riprovo qui, anche perché mi serve come spunto per parlare d'altro. L'azione di Deathloop è strutturata attorno a un loop temporale che si ripete ogni giorno, ripartendo da capo al giungere della mezzanotte, Cenerentola style, o semplicemente quando si muore. L'intero ciclo è spezzettato in quattro fasce orarie, "spalmate" su altrettante ambientazioni, che cambiano a seconda del momento. E ogni volta che torni in un dato luogo a un dato orario, essendo tu l'unico (o quasi) consapevole di trovarti in un loop, ti ritrovi davanti gli stessi eventi, le stesse persone impegnate a fare le stesse cose, col risultato che tu diventi sempre più onnipotente e che spezzare il loop, oltre ad essere l'obiettivo finale dell'avventura sul piano narrativo, diventa davvero quello che fai mano a mano. Ti destreggi, salti di qua e di là, fai quello che ti pare, come ti pare, palleggiandoti un gruppo di personaggi, macchinari, eventi che non possono difendersi perché non hanno il tuo livello di consapevolezza. Il risultato è che ci sono fondamentalmente due giochi in uno: quando esplori per la prima volta una mappa, stai giocando a una variante del classico "immersive sim" di Arkane, ti abbandoni alla sperimentazione, procedi per tentativi, provi mille strade, mille vie, mille idee, stai lì anche un'ora a fare due centimetri; quando ci torni, sai già quello che vuoi e come ottenerlo, procedi dritto al dunque, corri come un treno, ignori tutto. È il cuore del gioco, è quello che deve accadere, funziona da un punto di vista strutturale e diegetico. Può non piacere, perché sposta l'enfasi dall'azione all'avventura investigativa, ma è completamente voluto, e tra l'altro si appoggia in maniera intelligente su un mix di checkpoint, libera selezione degli spostamenti, mappe non troppo ampie ma densissime, sistema di "vite" a supporto della sperimentazione e della libertà.

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Da Metroid a Psychonauts, passando per Deathloop e Far Cry (Deathloop al minuto 57:05) Outcast Staff

Quando giocai a Crysis 2, lo apprezzai sotto molti punti di vista, nonostante fosse un evidente passo nella direzione opposta rispetto a quella di Crysis (e Far Cry), col suo abbandono della mappa unica gigantesca in favore di tante mappe dalle dimensioni ridotte. In fondo conservava comunque quel desiderio di lasciarti un approccio libero alle micro-situazioni e di spingerti a sperimentare. Abbandonava, però, presumibilmente anche per esigenze da pubblicazione multiformato, l'opzione del salvataggio libero, in favore dei checkpoint. E questo, per me, "rompeva" il cuore del gioco. Perché regolarmente passavo tre quarti d'ora ad esplorare, sperimentare, giocare coi sistemi, tentare approcci diversi, scoprire segreti... poi venivo ucciso, mi toccava ricominciare da capo, mi prendeva il fastidio e andavo dritto all'uscita, mandando gambe all'aria tutto il fascino del gioco. E se da un lato avevo comunque trascorso quei tre quarti d'ora divertendomi, dall'altro li rinnegavo in favore della soluzione semplice. In Deathloop fai la stessa cosa, solo che non è una conseguenza involontaria (?) di come è stato strutturato il gioco, non è un qualcosa che va a "rompere" il cuore dell'esperienza... è essa stessa il cuore dell'esperienza. Esplori prendendoti il tuo tempo, pasticci coi sistemi, corri rischi, tenti approcci diversi mentre sei preso dalla tensione dell'assenza di salvataggio libero ma allo stesso tempo confortato dalle tre occasioni di "retry"; poi muori/completi il loop, riparti da capo, torni nello stesso posto e vai dritto all'obiettivo, raggiungendolo il più in fretta possibile per passare a quel che viene dopo. Senza che ti dia una sensazione di perdita, senza quel retrogusto amaro che mi dava Crysis 2, perché è esattamente quel che devi fare, ha senso in come è strutturato il gioco, è esattamente ciò che racconta la sua storia ed è molto ben supportato dall'utilizzo di checkpoint, "vite", opportunità per conservare oggetti da un loop all'altro e attenzione ai dettagli del racconto. Ciò che in Crysis 2, per me, scoraggiava la sperimentazione, beh, in Deathloop la incoraggia quando serve e la scoraggia quando serve.

A presindere dall'amare o meno Crysis 2 e Deathloop, mi sembra un parallelo interessante per come ci ricorda che gli stessi elementi, le stesse situazioni, possono assumere forma, significato, utilità, qualità, a seconda di come vengano utilizzati, contestualizzati e, certo, interpretati da chi gioca. Perché poi c'è anche quello, in Deathloop, un gioco che ho apprezzato moltissimo anche senza innamorarmene come avvenne con Dishonored e Prey. Me ne sono reso conto confrontando la mia opinione con quella di Delu e notando come vedessimo in maniera spesso diametralmente opposta gli stessi elementi. Questo vale innanzitutto sul piano dell'approccio alle dinamiche di gioco, di stili e interpretazioni opposte, nella misura in cui per me "rompere" il gameplay ha significato rendermi conto che preferivo fare il casinista, correre come un pazzo, spaccare tutto e fuggire lasciandomi dietro il caos, mentre le dinamiche stealth erano relegate ai momenti in cui esploravo zone per me inedite e non ero, quindi, ancora in grado di "rompere" le dinamiche del luogo. Al di là del fatto che è veramente la prima volta che mi capita di spingere in questa direzione con un gioco Arkane, per Delu, l'onnipotenza nei confronti del level design, la "rottura" del gameplay, è arrivata invece portando alla massima forza le dinamiche stealth, trovando quelle due o tre armi efficacissime che ti permettono di muoverti davvero come un fantasma. Ma la diaspora non si ferma qui, perché questa "rottura" ha significato per lui anche una rottura nel suo rapporto con Deathloop, improvvisamente diventato un tedioso incedere verso la conclusione, mentre io mi sono trovato perfettamente allineato con la natura diegetica della cosa – perché, di nuovo, è normale che l'unica persona consapevole di trovarsi in un loop diventi onnipotente – e soprattutto per il modo in cui questo spostava il focus dall'elemento action a quello avventuroso, per me affascinantissimo.

E questo mi ha ricordato quanto sia importante rendersi conto di come il giudizio passi attraverso il punto di vista, l'approccio, l'esperienza e il bagaglio personale. Perché letteralmente gli stessi elementi, oggettivi, incontestabili (penso per esempio a come è impostata l'intelligenza artificiale dei nemici) possono assumere un valore completamente diverso a seconda del punto di vista da cui li leggi. E, sì, puoi filtrare questa cosa attraverso le famigerate "intenzioni dell'autore", ma in fondo anche di quelle stai dando una tua lettura, al di là del fatto che pure su esse puoi esprimere un giudizio, un punto di vista.

Mentre riflettevo su queste cose, mi è tornato in mente anche Telling Lies e il modo in cui ha diviso i suoi giocatori (tra l'altro, vedi il caso, mettendo anch'esso me e Delu su due sponde opposte), fra chi lo ritiene un po' una palla e sostanzialmente inferiore a Her Story e chi, me incluso, lo considera invece un passo avanti enorme. E alla fine sta tutto nell'interpretazione, nell'approccio, nel peso assegnato agli stessi elementi, oggettivi e incontestabili. Perché se mi vieni a dire che è noioso guardarti i filmati per intero, io ti rispondo che ovviamente è noioso, ma non è quel che devi fare, è attivamente scoraggiato dal gioco stesso e si tratta di una lamentela non dissimile dal venirmi a dire che è noioso ammazzare 53.594 zombi nel primo Dead Rising perché vuoi sbloccare quell'obiettivo. Certo che è noioso. Non è il gioco. Non è quel che dovresti fare, è spaccarti i maroni per ansia di fare tutto. E il bello di Telling Lies è invece il suo spingerti verso una direzione opposta, verso il dare davvero una tua lettura degli eventi seguendo d'istinto, continuamente, gli spunti dettati dal sistema di gioco per costruire la tua storia. Del resto, sul piano diegetico (si nota che mi piace questa parola?) sei una persona che ha un tempo molto limitato a disposizione per seguire indizi e cogliere un filo conduttore negli eventi che sta cercando di ricostruire. Che senso ha mettersi a guardare dall'inizio alla fine un video di una sex cam?

Ma sto divagando.

Giocare a Deathloop, e contestualmente ripensare a Crysis 2 e a Telling Lies, mi ha ricordato tre cose che so benissimo, ma che è sempre bene ribadire per non dimenticarsele.

L'importanza della freschezza, del saper proporre qualcosa di nuovo, inedito, stimolante, anche se appoggiandosi su un modello familiare e consolidato. La bellezza del tentare, sapendo che inevitabilmente andrai incontro a tutte quelle asperità date dalla prima volta, a tutte quelle piccole cose fuori fuoco che basarti su fondamenta già scritte ti risparmierebbe, rischiando anche di andare a schiantarti contro un muro. È il motivo per cui sono sempre (e sempre più col passare degli anni) attirato maggiormente da qualcosa di nuovo, rispetto a un seguito, anche di qualcosa che ho amato. È il motivo per cui Resident Evil è forse l'unica serie di lungo respiro a cui torno ogni volta, perché sembra fatta apposta per me, con quel suo reinventarsi due, tre, quattro volte, anche a costo di andare a fracassarsi nel pozzo del fallimento.

La bellezza di un mondo che sfugge alla polarizzazione, in cui non esistono solo la monnezza e il capolavoro, in cui è possibile apprezzare qualcosa per le sue qualità, trarne gioia e soddisfazione, senza che debba per forza essere il nuovo modello estremo e inarrivabile di perfezione. Deathloop è bello anche perché non è perfetto, non è limato in ogni suo aspetto, non è in grado di soddisfare tutti, non ha quel livello di rifinitura totale figlio della reiterazione, quel tasso di impeccabilità che, diciamocelo, è anche un po' noioso. Quel che ha di stordente, interessante, francamente bello, fresco, adorabile, ce l'ha proprio perché ha voluto provarci e, pur avendo la saggezza di farlo giocando su terreni familiari, riproponendo un modello di gameplay che, se pasturi nel filone degli immersive sim, conosci a menadito, ha voluto farci qualcos'altro, ha voluto esplorare confini diversi dai soliti. Altrimenti non le avrebbe viste neanche da lontano, quelle cose stordenti, interessanti, francamente belle, fresche, adorabili. E no, non ne è uscito un capolavoro, ma cacchio se è più stimolante avere a che fare con una cosa del genere che con la sterile perfezione già vista mille volte.

L'importanza del riconoscere dignità alla pluralità d'opinione, di idee, di contesto, di approccio, di lettura e interpretazione. La bellezza intrinseca di questa varietà mentale e intellettuale, del non inaridirsi pretendendo un'unica via di pensiero e del capire quanto poco basti per trasformare completamente un pensiero basato sugli stessi elementi di partenza.

A novembre vi proporremo non una ma due Cover Story, con tempistiche un po' scombinate. Fra un paio di giorni ne introduciamo una (suggerita dall'immagine là in cima e, per altro, involontariamente sfiorata da quest’articoli su alcuni fronti) che ci accompagnerà per un paio di settimane e poi, a meno di imprevisti, il 25 novembre arriverà l'altra, che ci porteremo dietro anche nel mese di dicembre, fino alla pausa per le feste. Sono due argomenti interessanti, che dovrebbero generare pensieri e riflessioni piacevoli. Più in generale, chi ci segue con costanza l'avrà notato, ultimamente si è un po' ridotto il quantitativo di contenuti che riusciamo a produrre su questi "temi" mensili. I motivi sono forse fisiologici, in parte figli del fatto che l'entusiasmo per la novità si è coi mesi allentato, in parte dovuti a impegni, difficoltà, vita, che ci impediscono di produrre per Outcast come un tempo. Ma va bene così, il criterio rimane sempre quello: lo facciamo perché ci piace e ci piace dedicare un po' di tempo a questa cosa. Sforzarci troppo oltre la spontaneità non avrebbe senso. E comunque, al di là della settimana in corso, che ci ha visti prenderci una semi-pausa per ricaricare le pile (oltre che in ossequio ad alcuni impegni), siamo sempre più lanciati con la nostra produzione di podcast, in riferimento alla quale stiamo riuscendo a trovare le formule giuste per le varie novità che abbiamo introdotto ultimamente. Spero che quel che stiamo facendo vi piaccia, anche se poi è difficile capirlo, dato che abbiamo un pubblico fedele ma poco vocale. Ah, a proposito, lo sapete, sì, che ci trovate su Facebook, Twitter, Instagram e Discord? Beh, sappiatelo e venite a chiacchierare con noi.

Buon ottobre.

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