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La castrazione secondo Vane

Avete presente l’incidente per il quale tutti sentono l’irresistibile desiderio di guardare? Vane è quell’incidente. Sono le due di mattina, la schiuma della bocca comincia ad appannarmi la vista e, per la sesta (SESTA) volta consecutiva, Vane mi costringe a tornare indietro di dieci minuti per qualche bug o pasticcio della telecamera. Mentre metaforicamente spingo un testicolo gigante, perché no, non ne valeva affatto la pena.

Vane è tutto quello che mi aspetto dalla maggior parte dei progetti di Dreams: un pasticcio senza direzione travestito ad arte da velato messaggio raffinato. Perché, lasciatemelo dire alla Boris, la poesia nei videogiochi c’ha rotto il cazzo. Avete un mezzo con il quale potete parlare di tutto, distruggendo il videogiocatore dalle sue fondamenta, colpendolo nelle sue debolezze, affogandolo con delle visioni forti per costringerlo ad affrontarle, e stiamo ancora a far volare in giro uccelli per rappresentare la sugna e la gnugna?

Vane prima si fa uccello, costringendoti a vagare nel deserto in cerca di cose che non capisci a cosa servano per fare cose che non capisci cosa faranno, poi, dal brodo primordiale, si fa bambino e reinventa il gameplay con lunghe e noiose camminate alla ricerca di posti che non sai perché devi raggiungere e di enigmi di cui non capisci senso e struttura. È un viaggio, Vane, come Journey, ma ti stanno portando in vacanza a Ventotene mentre la 5A l’hanno mandata a Barcellona.

Vane non ti aiuta mai, gli fai quasi schifo. Non ti aiuta con indizi per raggiungere il tuo scopo, non ti regala feedback se sei avviato nella giusta direzione e, se le cose vanno male, ti costringe pure a ripetere lunghe sessioni, perché i checkpoint non hanno poesia, pare. E poi i bug, la telecamera imbronciata, i controlli come vengono… tutto perdonato, se cerchi di darti un tono con la colonna sonora ed esteticamente una direzione artistica si vede eccome?

Io non avrò un cuore, me lo dicono sempre, ma prima di Vane avevo ancora due testicoli e forse oggi no.