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West and Soda: non sapevo fosse così carico

Nel 1964, Sergio Leone inventa il western.

Questo è un dato di fatto storico e non prestate ascolto agli americani che dicono che lo avevano inventato loro: è gente che ha sempre spiato il cinema europeo per copiargli le cose migliori, guardate solo Nikita.

Invidiosi, ecco quello che sono.

Pensate che hanno desertificato la Death Valley e intere parti di Arizona e Texas solo per farle assomigliare un po’ di più ai dintorni di Colmenar Viejo in Spagna.

Comunque, questa è storia, e sapete cosa è anche storia? È che due anni prima, Bruno Bozzetto aveva iniziato a lavorare alla parodia del genere western, che arriverà nei cinema esattamente un anno dopo Per un pugno di dollari.

I geni non seguono i tempi, li anticipano sempre.

Il western.

West and Soda è la seconda opera che adoro del maestro milanese, che accomuno per capacità poetica, caparbietà e desiderio di sperimentazione, ad Hayao Miyazaki, avendo maggiore affetto per il primo, peraltro, perchè Miyazaki ha avuto la fortuna di nascere e lavorare in un paese civile, che sa distinguere “linguaggio” e “genere” e a cui quindi non devi spiegare che “i film animati non sono necessariamente una cosa per bambini”. Bruno Bozzetto, purtroppo, no.

E se qualcuno trovasse, questo parallelismo una bestemmia, per motivi che capisce solo lui, evidentemente è perché non ha mai visto Allegro ma non troppo, la mia prima opera preferita di Bozzetto.

Ma torniamo a West and Soda. Fin dal titolo, è chiara l’intenzione di giocare con tutto ciò che di “figo” (“cool”, diciamo ora che siamo ancora più “international”) offriva l’epica western ammeregana (che, ricordo, non è quella originale, eh!?).

Cominciando dal “Cowboy Johnny”, il suo abito scamosciato, il suo cappello bianco, la sua sigaretta a mezzo e il tono, compassato e quasi monotono, di Nando Gazzolo. Johnny è l’epitome, eccessiva, dello “Straniero” western, quello che arriva da non si sa dove, problematico, asociale, perseguitato da un passato che gli rende impossibile il ricorso alla violenza in una terra violenta, eppure perfettamente in controllo della situazione. Oggetto della curiosità educata degli anonimi bravi cittadini, del sospetto dei loschi figuri e della concupiscenza bramosa della navigata Esmeralda e più imbarazzata e pura della ingenua Clementina.

I problemi di Johnny.

Ovviamente, la bella Clementina potrebbe essere il porto sicuro dove la sua anima tormentata troverà pace, ma in un mondo violento sono i violenti a imperare e questo lo sa bene il malvagio Cattivissimo, spalleggiato dagli altrettanto malvagi tirapiedi Ursus e Lo Smilzo.

E se il capo è talmente malvagio da tenere mosche in gabbia solo per il gusto di ingannare la noia, usandole per il suo tirassegno, potranno essere da meno i suoi sgherri, l’uno grasso e grossolano e l’altro segaligno e spigoloso, dotato di una voce stridula carica di minaccia, condita con acido sarcasmo?

Che, avevate pure dubbi?

Ovviamente no e quindi, inevitabilmente, lo Straniero si scontrerà con i Malvagi, per salvare la bella Clementina e liberare dalla paura la generica cittadina western, attraversata dalla solita corriera, inseguita dai soliti pellerossa sul piede di guerra, a loro volta tallonati dal Settimo Cavalleggeri, e altrettanto ovviamente trionferà (ops: spoiler!) nel drammatico duello finale pieno di tensione, spettatori e pure il bibitaro.

Ah, no?

Quello che fu per Bozzetto e il suo studio la realizzazione di questo lungometraggio animato, quando ancora i lungometraggi animati in Italia erano meno delle dita di una mano (non che ora… ), lo trovate raccontato in decine di articoli, interviste e persino qualche documentario.

Quello che è tuttora, invece, lo si può apprezzare solo guardandolo: dietro l’apparente semplicità e povertà della grafica, si nascondono panorami disegnati con cura cubista e attenzione alla distribuzione delle masse di colore, i personaggi stereotipati e surreali, i mille dettagli da parodia di genere distribuiti tra primo piano e sfondo, tutto assemblato tramite veri e propri “cartoni”. E poi una colonna sonora western “classica”, piena di citazioni e autocitazioni e, chiaramente, i doppiatori divertitissimi, ognuno impegnato a calcare la mano sul rendere i personaggi “eccessivamente credibili”.

Credibile.

A distanza di anni, riguardare West and Soda, per me, non è riguardare un “cartone animato”, ma uno dei lungometraggi che meglio hanno compreso, smontato e rimontato il limitato genere western, allungandone la vita ed il mito.

Seriamente attento al dettaglio e all’epica, come uno qualsiasi dei film della Trilogia del Dollaro, ma divertito e dissacrante come Il mio nome è nessuno.

Questo articolo fa parte della Cover Story “Febbraio bizarro”, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.