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Outcast SOTY 2017

Outcast SOTY 2017

Dopo il successo (?) della scorsa edizione, anche quest'anno vi proponiamo tre diverse rassegne di OTY, i nostri premi per il meglio del meglio dell'anno che va a concludersi. Le regole, come sempre, sono semplici: ciascuno dei partecipanti, selezionati in base al classico criterio "Chi c'ha voglia", deve indicare una serie, un film e un videogioco che secondo lui svetta rispetto a tutto il resto e dare anche una minima motivazione. Ovviamente poi le regole vanno subito nel cesso e ognuno fa quel che gli pare, ma insomma, siamo fatti così. Lo spirito non è ovviamente quello di fornire indicazioni oggettive e completissimissime, è solo che ci piace dire la nostra e, magari, consigliarvi cosette interessanti che vi sono sfuggite. Tutto qui. Si comincia oggi con le serie TV, poi domani i film e infine venerdì i videogiochi.

Buona lettura e buon anno!

Natale Ciappina

Il punto non è stare al passo di tutte le serie TV che stanno uscendo; piuttosto, è stare al passo con tutte le ficate seriali. Che stanno diventando veramente troppe. E io non ce la faccio proprio, a sceglierne una. Ormai mi sono talmente infognato che la tipica angoscia che subentra ogni qual volta finisce una stagione, o addirittura una serie, l’ho bella che metabolizzata. E dunque mi ritrovo con Atlanta, che è la miglior comedy; con Legion, che è la serie TV più innovativa; Master of None, quella che ha fatto il salto di qualità; Ray Donovan, la serie che ti fa capire che, a volte, devi dare fiducia anche dopo stagioni di merda; The Leftovers, con la stagione conclusiva meglio riuscita da anni; o The Handmaid’s Tale, che è forse la serie TV più importante dell’anno. Fate un po’ voi, ecco.

Stefano Talarico

All’inizio pensavo di voler indicare Rick and Morty 3 (che comunque, oh, top mondo). Poi, con il passare del tempo, con la continua (psico)analisi e le chiacchiere di fondo, ho capito che l’unica scelta possibile per quanto riguarda la serie dell’anno è il ritorno di Twin Peaks. David Lynch è tornato nella città della sua consacrazione dopo aver lottato per la certezza di poter fare le cose a modo suo, e il risultato è qualcosa di assolutamente straordinario. Con l’uomo del Montana non si può mai parlare davvero di aspettative, ma è anche vero che tutti, in questo momento storico di revival e brand munti all’inverosimile, non potevamo fare a meno di pregustare lo stesso show che abbiamo amato venticinque anni fa. Invece, Lynch ha messo da parte la soap opera per tirare fuori dal cilindro un film di diciassette ore, un enorme dito medio alla nostalgia, alla morte della creatività, e a quelle stesse corporation che avrebbero preferito un prodotto meno “autoriale”. O che, venticinque anni fa, hanno voluto svelare l’assassino di Laura Palmer. Il ritorno a Twin Peaks è stato un viaggio lungo, pieno di momenti in cui era facilissimo perdersi, ma a conti fatti anche qualcosa di assolutamente straordinario, a cui ripensare con il cuore caldo e da raccontare ai propri figli: “Ragazzi, nell’estate 2017 mi sono fatto di droga male con una teiera gigante, un monco e l’anima de David Bowie. Siamo andati in giro a fare diti medi ai matusa. Non mi ricordo un cazzo, ma è stato bellissimo!”.

Andrea Peduzzi

Caro David Lynch,

Perdonami per aver dubitato di te dopo aver guardato i primi due episodi della nuova stagione (o serie? O film? Decidi tu) di Twin Peaks. Perdonami per aver creduto come un imbecille che la faccenda della “glass box” fosse indiziaria di un cedimento verso tematiche sci-fi alla Lost/Fringe. Perdonami per non aver afferrato subito che tutta la faccenda di Dougie Jones non era una banale linea comica, bensì la cosa più umana, fresca e struggente dell’intera opera, nonché la migliore interpretazione della carriera di Kyle MacLachlan. E perdonami anche per non aver contestualizzato correttamente alcune scelte artistiche, come la piantina con la gomma da masticare (sì, insomma, Il Braccio).

Perdonami per tutto questo, se puoi, e accetta il mio “grazie” col cuore in mano per aver consegnato al mondo una delle opere audiovisive migliori di tutti i tempi; una cosa che Stanley Kubrick probabilmente ti avrebbe invidiato. Un’opera capace di reggersi solo sulla sua estetica e sul suo potere di suggestione, senza bisogno d’altro. Chiaro che poi, ad averne voglia, è possibile giocare con le interpretazioni e mettere assieme tutti i pezzi e gli indizi senza rimanere delusi. Ma tu non obblighi nessuno a farlo, David, si capisce. Anche perché tu per primo preferisci non tracciare tutte le direzioni dei tuoi lavori nel momento in cui li cominci.

Grazie anche per aver contribuito a creare una community di spettatori appassionati che per quattro o cinque mesi hanno riempito i gruppi su Facebook e i forum di interpretazioni e congetture (belle, brutte, giuste, sbagliate, chissenefrega: ha comunque vinto il bene).

Caro David, per tutte queste cose, e per aver avuto il coraggio di far passare in televisione una cosa radicale come l’ottavo episodio: grazie, grazie e ancora grazie.

Un tuo ammiratore,

AP

Gregory Raffa

Non ho potuto guardare molte serie quest’anno, ma certamente una delle più attese, per me, era questo Stranger Things 2. La prima stagione mi era piaciuta molto, e questa seconda non ha deluso. Non si tratta certamente di qualcosa che mi ha sconvolto profondamente, o che non mi faceva andare a dormire come accadeva in passato con altre serie (ad esempio con 24, dovevo “violentarmi” per costringermi ad andare a dormire dopo il classico: “ancora un episodio e poi smetto”). Ecco, con Stranger Things 2 questa cosa non mi succedeva, però l’ho trovato un prodotto confezionato con cura e amore, qualcosa di “genuino” nella sua voglia di divertire, appassionare e far evolvere i personaggi conosciuti nella prima serie, non relegandoli a semplici macchiette che restano sempre uguali.

Marco Esposto

Twin Peaks, la terza stagione. Monica Bellucci che fa Monica Bellucci in un sogno su Monica Bellucci. David Bowie che è una teiera. David Lynch nelle interviste successive: “Una teiera? No, non è una teiera.” David Lynch che prende la televisione e ne fa ciò che vuole. David Lynch che prende il nostro cervello e ne fa ciò che vuole. Qualsiasi cosa diremo su questa serie non servirà a nulla, qualsiasi “Sì ecco forse se devo trovarle un difetto” sarà futile, Lynch non ci starà ascoltando e, se mai accadrà, sorriderà con un sorriso beffardo, accendendosi una sigaretta e sussurrando “I don't fucking care”. La storia del “media serie tv” è stato ancora una volta riscritta dal David di Missoula. Stavolta in modo così estremo che sarà difficile per tutti ispirarsi (o proprio rubare) come è successo dopo il Twin Peaks di inizio anni novanta. Non siamo degni.

Nicola Alessandro Del Monaco

Rick and Morty. Fantascienza, paradossi, horror, psicologia, intelligenza. Una volta che cominci a guardarla non puoi staccartene, sei costretto a bruciartela in pochi giorni. Entra di diritto qui perché anche se è del 2013, la terza stagione è del 2017. E l’ho scoperta solo quest’anno. L’ultima serie scritta così bene, così geek, piena di paradossi, che gioca con la scienza in ogni sua sfaccettatura, era Futurama. Viva la potenza del vecchio cirrotico - è bene che lo sappiate, quei rutti continui di Rick sono un disperato messaggio del suo fegato ormai distrutto dall’alcol che sta per cedere - insieme alla freschezza del giovane Marty.

Runner Up: Ozark.

Lorenzo Antonelli

D’istinto direi Preacher, perché fa quello che le pare, perché ha una freschezza superiore e perché è sostanzialmente una serie fantastica. E sbaglierei (non di grosso, ma tant’è). Perché la miglior serie televisiva del 2017 – se non addirittura dell’intero cenozoico – è senza ombra di dubbio Rick and Morty. Lo show di Justin Roiland e Dan Harmon è un mirabile frechete multi-dimensionale, un instancabile iper-fregno spazio temporale, uno spettacolo folle, geniale, irriverente e lisergico, capace di far tabula rasa di ogni mio immutabile gusto pregresso. Come South Park. Rick and Morty è una serie incommensurabile, meravigliosa, la mia sola, unica e possibile risposta a tutti i SOTY dei prossimi undicimila e settecento anni di Outcast.         

Aurelio Maglione

Lascio volutamente da parte le nuove stagioni di serie già in corso e premio con convinzione l'eccellente Mindhunter. Fatico a identificare con precisione il motivo per cui l'opera prodotta da David Fincher (di cui ha diretto i primi due episodi) sia riuscita a esercitare un fascino così irresistibile su di me. Sarà che le opere capaci di tracciare un ritratto vivido del periodo storico in cui sono ambientate hanno un posto speciale nel mio cuore, e l'America anni Settanta di Mindhunter se la gioca con quella anni Sessanta di Mad Men. Forse dipende dal fatto che amo i buddy cop show e la coppia formata da Holden e Bill è semplicemente irresistibile; o che i colloqui con i serial killer riescono a farti provare quel mix assurdo di empatia e profondo disgusto. Più di tutto, forse è merito della colonna sonora, così
precisa nell'accompagnare le varie scene da risultare perturbante.

P.S.
Una menzione speciale per Legion, che dimostra che i supereroi non si prestano solo a raccontare quelle cazzatone che ci propinano al cinema, ma possono essere protagonisti di un thriller psicologico della Madonna.

Fabio Di Felice

Per un po’ ho pensato di fare il guappo e inserire Twin Peaks come film dell’anno come hanno fatto i Cahiers Du Cinéma. Perché quando ti esce una serie come l’ultima stagione di Twin Peaks, poco importa che poi ciccino fuori robe come Mindhunter; purtroppo il titolo di serie dell’anno è assegnato a tavolino. A quasi trent’anni dalla chiusura della sua serie TV, Lynch torna per una lezione di cinema sul piccolo schermo: tredici puntate che sono tredici film formalmente perfetti, affascinanti, inquietanti, innovativi, sperimentali, che si permettono di giocare e ristrutturare ritmi e tempi della televisione, di stravolgere situazioni, personaggi e archetipi, rivoluzionandoli completamente. E la cosa incredibile è che riesce a fare meglio della serie originale e si posiziona tra le cose migliori uscite dalla produzione del regista. Una grande summa di un maestro assoluto del cinema. E adesso mi è pure tornata voglia di vederla.

Menzione d’onore a Mindhunter, perché è come Zodiac, solo che dura dieci ore. Una meraviglia fredda, asettica e spietata diretta da un Fincher in formissima.

Alessandro De Luca

Non guardo mai la televisione, fatta eccezione per gli eventi sportivi in diretta, ma consumo comunque una gran quantità di prodotti televisivi. Non è quindi una coincidenza che le mie due serie TV preferite di quest’anno siano prodotte da entrambe da Netflix. La prima è GLOW (che sta Gorgeous Ladies of Wrestling), che racconta della nascita del circuito di wrestling femminile a metà negli anni Ottanta. È uno splendido affresco di amicizia e competizione, finalmente raccontato da un punto di vista femminile (le creatrici sono Liz Flahive e Carly Mensch), divertente e commovente, ma che funziona anche dal punto di vista della fiction sportiva. Bravissima Alison Brie nel ruolo della protagonista Ruth Wilder e altrettanto splendido Marc Maron nel ruolo del regista Sam Sylvia. Una vera gemma.

L’altra serie che mi ha catturato quest’anno è che ho divorato nel giro di pochi giorni è Mindhunter, di genere e tono completamente differenti da GLOW. Ispirata all’omonimo libro di John E. Douglas e Mark Olshaker, narra della nascita dell’unità della FBI specializzata nella caccia ai serial killer (termine coniato proprio durante lo studio dei loro crimini) e della creazione dei modelli di profilazione delle personalità degli assassini. Lo stile freddo e asciutto della narrazione si sposa perfettamente all’efferatezza delle vicende narrate, con la chiara intenzione di creare un racconto che non faccia presa sull’emotività dello spettatore per coinvolgerlo. E si vede che c’è di mezzo David Fincher (che ha diretto quattro episodi).

Alessandro Billeri

Star Trek: Discovery. Non perché sia un capolavoro, ma perché avevo tanto bisogno di una nuova serie su Star Trek.

E comunque è molto piacevole, anche se qualche trekkie si è sentito personalmente offeso.

 

 

Davide Mancini

Come al solito la serie la pesco dal cassetto degli underdog, e prendo una roba considerata “light” ma che ha il suo bel perché: Designated Survivor (anche questa uscita a cavallo tra 2016 e 2017, ma amen). Dal formato a 21 episodi si capisce subito che più che una serie di quelle pese ha dentro di sé l’anima del telefilm di qualche anno fa, e va benissimo così, perché è uno splendido tentativo di giustapporre alla narrativa oscura in stile House of Cards una classica retorica patriottica americana in una chiave nuova, pulita, progressista e indipendente. Un Kiefer Sutherland sempre apprezzabile veste i panni di Tom Kirkman, sopravvissuto designato durante il discorso dell’Unione al Campidoglio. Ovviamente, succede l’improbabile, e si ritrova alla Casa Bianca come presidente, in una situazione distopica con gli USA annientati, totalmente da ricostruire e un’indagine da mandare avanti, dove tutti i sopravvissuti hanno qualcosa da nascondere. Non ha lo spessore geopolitico di un Homeland a caso, e la sottotrama d’azione dei servizi segreti si sgretola un po’ in una deriva casinista in stile Alias, ma ritmo e tessitura degli inganni della prima parte sono spettacolari. Dopo diventa un po’ un coacervo di teorie complottiste e getta nella mischia il nuovo prototipo di villain bianco americano alt-right che ci piace tanto oggi. Ecco, pur accontentandosi di essere una serenissima serie di genere, ci dà la cifra di quanto gli autori americani stiano provando a far emergere un’immagine dell’America contro l’America in un periodo storico del genere. E insomma, la verità è che ne vedrei puntate su puntate su puntate, se non fosse che ora ne esce una a settimana. 

Stanlio Kubrick

Blue Planet II. La serie TV che ha occupato la maggior parte del mio tempo quest'anno è Star Trek, dico quella con Kirk e Spock, giusto per dare la misura di ciò di cui stiamo parlando. il porno però piace a tutti, e a me piacciono gli animali, l'oceano, gli abissi, i tentacoli, Chtulhu e fare esperienze stupefacenti (ne sto facendo un discorso di cultura e di apertura mentale e di scoperta, ovviamente). La BBC lo sa e ha passato cinque anni a girare queste robe per il mio piacere: tra le altre cose, ho visto un verme lungo tre metri che vive sotto la sabbia, un pesce di qualche centinaio di chili che salta fuori dall'acqua e divora un uccello, un botto di meduse pazze, polpi e seppie che fanno cose assurde, balene e delfini, ghiaccio e vulcani sottomarini e pure un lago sul fondo dell'oceano. Vaffanculo al resto, datemi solo questa roba.

Andrea Maderna

Secondo quel che mi dicono le classifichine da malato di mente su Trakt, la mia serie TV preferita del 2017 è Girls. Nel senso di "La sesta e ultima stagione di Girls". E in effetti si tratta di una roba meravigliosa, un ritorno allo stato di forma massimo per una fra le serie complessivamente più belle, influenti, divertenti, emozionanti e interessanti degli ultimi anni. Contiene sia episodi autoconclusivi dalla bellezza mostruosa, sia un lavoro spettacolare per chiudere tutti i discorsi in maniera splendida senza per questo dare l'impressione di voler forzare finalini per tutti a calci in culo. Veramente una meraviglia. Se non avete mai seguito Girls, direi che è il momento buono per recuperare. Tanto sono stagioni brevi con puntate dalla durata breve. È un attimo.

Se vogliamo invece farne una questione di serie iniziate quest'anno, la classifichina mi dice Mindhunter e non aggiungo altro, tanto in questa stessa pagina c'è chi ne parla al posto mio e c'è pure il link alla recensione scritta da me.

Questo articolo fa parte della Cover Story "I migliori anni del videogioco", che trovate riepilogata a questo indirizzo.

Bright: Orco buono, poliziotto cattivo

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Videopep #156 – Tutti i miei OTY del 2017

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