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I suoni del terrore: intervista al compositore delle musiche di Outlast

I suoni del terrore: intervista al compositore delle musiche di Outlast

Durante la terza giornata di GDC 2017, quando ormai la febbre mi era passata e avevo a che fare solo con la convalescenza, per altro oggi ancora ben lungi dall’essersi conclusa… mi sa che continuerò a citare i miei malanni in ogni singolo articolo sulla Game Developers Conference… tipo anche quella dell’anno prossimo. Comunque, dicevo: durante quella terza giornata, ho incontrato Samuel Laflamme, compositore di origine canadese con una certa esperienza in TV e al cinema, la cui carriera ha negli ultimi anni deviato pesantemente in territorio videoludico: a lui dobbiamo le colonne sonore di Outlast e Outlast 2. Nelle prossime righe potete quindi leggere una chiacchierata sulle sue fonti d’ispirazione, su cosa significhi scrivere musica per terrorizzare il giocatore, sul cambio stilistico piuttosto profondo messo in pratica fra il primo e il secondo episodio.

Buona lettura!

Allora, dimmi un po’ chi sei, come hai iniziato, come sei arrivato a lavorare su Outlast…

Vivo a Montreal, sono francese canadese, ho cominciato lavorando in TV e al cinema sul mercato canadese e cinque anni fa ho iniziato a comporre musica per videogiochi con il primo Outlast. Ho conosciuto Philippe Morin di Red Barrels e abbiamo iniziato a chiacchierare del primo Outlast, di quel che voleva raccontare, del suo universo sonoro. E mi sono ritrovato a lavorare sui videogiochi! L’esperienza è andata bene e mi ha spinto a proseguire in quel settore. Lavoro ancora in televisione in Canada, c’è una sorta di corrente culturale parallela locale, con serie TV e altro…

Insomma è successo quasi per caso, i videogiochi non erano nel tuo mirino?

Il mio obiettivo primario è di lavorare sempre più al cinema… ma la verità è che mi interessa raccontare storie con i suoni. Per cui alla fin fine qualsiasi mezzo espressivo va bene, se mi permette di farlo. Sono un grande fan delle colonne sonore cinematografiche anni Ottanta, di quando ero un ragazzino. All’epoca i miei amici ascoltavano, per dire, i Guns 'N Roses, e io mi gasavo per la nuova colonna sonora di Danny Elfman [ride]. Per me il massimo del divertimento era cercare di indovinare chi avesse composto la colonna sonora di un film durante i titoli di testa, prima che apparisse il suo nome. Ero molto bravo a riconoscere i diversi stili. All’epoca suonavo il piano e iniziai a comporre ai tempi delle superiori, provando a riprodurre gli stili di John Williams, Hans Zimmer, Danny Elfman… E poi, all’università ho studiato musica contemporanea a Montreal, cosa che ha ampliato molto i miei orizzonti. Queste sono le influenze che hanno dettato molto del mio lavoro nel primo Outlast.

I nomi che hai citato… sono loro i tuoi preferiti, le tue ispirazioni principali?

Decisamente, ma mi piace anche molto Bernard Hermann. L’ho scoperto più tardi, con tutto il suo contributo a una certa corrente hollywoodiana, e in Outlast ho voluto omaggiare lui e la Hollywood classica, usando gli archi, i suoni tradizionali, ma anche molte tecniche contemporanee imparate all’università. Ho cercato di scrivere in maniera molto moderna, ma del resto sono cose che hanno sempre fatto anche quei compositori, basta pensare a Psycho. Dall’uscita del primo Outlast ho lavorato in maniera costante nei videogiochi e… sai, quando scrivi la musica per una canzone partendo dal testo, stai cercando di creare l’atmosfera adatta a quelle parole, quando scrivi le musiche per un film stai sostanzialmente facendo la stessa cosa per accompagnare la storia… sei un narratore inconscio per le immagini. Nei videogiochi è tutto interattivo, è molto diverso. Cerchi di pensare a come il giocatore potrebbe reagire se spingi su un determinato aspetto. Per certi versi è simile al cinema, ma tocchi il giocatore in maniera più diretta, se sbagli, rischi di rovinare tutto…

E c’è anche un limite a quanto puoi pianificare, perché il giocatore può variare l’ordine in cui accadono le cose…

Esatto. Ma a dettare l’ordine delle cose è l’esigenza di evocare le emozioni giuste. C’è comunque un margine entro cui puoi prevedere cosa farà… a meno che stia fermo sul posto per ore e ore. [ride]

Com’è stato il tuo approccio al primo Outlast?

Era il mio primo videogioco, quindi mi sono concentrato molto sullo storytelling e su due aspetti in particolare. Innanzitutto, realizzare musiche che fossero davvero inquietanti. E mi sono chiesto cosa renda una musica davvero spaventosa. Secondo me, tutto quel che va al di fuori del raggio sonoro vocale umano è spaventoso. Se utilizzo frequenze molto molto alte o basse, ottengo la voce di un mostro. Si tratta di un effetto inconscio ma… se ascolti la colonna sonora di Psycho, ci sono questi suoni molto alti, nella scena della doccia, poi lei cade e si passa direttamente alle frequenze basse, saltando tutta la fascia di suoni che corrisponde alla voce umana. Mi è sembrata una scelta interessante. I suoni alti hanno poco di umano, risultano strani, inquietanti… cos’è? Un mostro? Non è umano.

Nel primo Outlast ho voluto esplorare questa idea, ma anche interrogarmi su quali siano i suoni che emette un essere umano quando è spaventato, terrorizzato. Abbiamo realizzato un breve making of del gioco e si vede che sperimentavo con il percussionista… a un certo punto abbiamo trovato un suono che sembrava davvero un urlo umano, ma arrivava dai piatti, Era davvero spaventoso, sembrava un urlo. Era perfetto ed era un gran punto di partenza. I piatti erano tarati più o meno sul do e quindi da quel momento in poi ho deciso di provare tutte le note vicine al do con i vari strumenti, cercando di orchestrare quel genere di suono.

Ma poi c’è anche l’aspetto narrativo. Di cosa parla il primo Outlast? Di un uomo solo, al buio, in questo manicomio. C’è un aspetto molto triste, finisce male… c’è qualcosa di lirico, ed è lì che ho voluto omaggiare Hermann. Ci ho visto un elemento commovente, su cui ho voluto lavorare per il gioco, al fine di dare un taglio più cinematografico alla storia. Sì, hai paura, ma c’è anche qualcosa di più profondo e ricco rispetto alla sola sensazione di terrore.

E mi pare di capire che per il seguito stai facendo qualcosa di diverso?

Completamente! Dobbiamo ricominciare da capo l’intervista! [ride] Il fatto è che quando abbiamo iniziato a lavorare sul secondo episodio, oltre due anni fa, ho deciso di non ripetermi. Volevo che fosse un viaggio inedito. Dovevo tuffarmi di nuovo in questo mondo così oscuro, per provare nuovamente quelle emozioni così forti, ma volevo che fosse diverso. Abbiamo deciso di puntare su una colonna sonora più minimalista e moderna, anche se non elettronica. La storia è ambientata in un villaggio fantasma in mezzo al deserto. Sei di nuovo da solo, ma c’è questo elemento quasi redneck da rendere. Invece di lavorare con un’orchestra e un tipo di musica tradizionalmente cinematografiche, ho provato a usare il banjo e altri strumenti simili, che di base tutto sono tranne che spaventosi. Ma come potevo modificarli in modo da ottenere sensazioni inquietanti? L’idea era di conservare un elemento familiare, ma renderlo quasi irriconoscibile, manipolandolo, filtrandolo, cambiandolo.

Che poi è un po’ come funziona l’horror in genere: prende qualcosa di familiare e lo rende spaventoso.

Esatto! E ti rimane quella sensazione di dubbio… stai sentendo una chitarra? Un banjo? Che roba è? Quindi, nel secondo episodio ho lavorato molto di più sull’idea di musica che fosse spaventosa. Poi ho inserito anche qualche piccolo cenno, qualche elemento che potrebbe richiamare un po’ il primo gioco.

Un tema che ritorna?

No, non proprio. Ho riutilizzato alcuni suoni, per esempio recuperando il lavoro sui piatti di cui parlavamo prima. È ancora Outlast, ma non è lo stesso Outlast. Era molto più importante sia per il team di sviluppo che per me. Quando vuoi fare qualcosa di grande, devi essere completamente onesto. Nel primo Outlast ho messo tutto quello che avevo. Per poter realizzare un seguito altrettanto onesto, dovevo fare qualcosa di diverso, approcciarlo da un altro punto di vista. È più brutale, più ruvido…

Abbiamo iniziato a lavorarci su nel 2014 ed era il ventesimo anniversario di The Downward Spiral dei Nine Inch Nails. È un grande album, che ascoltavo da adolescente. Non lo ascoltavo da anni, l’ho rimesso su e… che viaggio! Se lo ascolti dall’inizio alla fine, è veramente un lavoro pazzesco. Ti mette davvero a disagio... i suoi temi, la sua atmosfera, il senso di brutalità… Non l’ho usato come riferimento diretto, ma ho cercato di raggiungere un obiettivo simile. Se arrivato al termine del gioco sono riuscito a generare questo senso di follia totale, a lasciarti addosso quella stessa sensazione di risveglio da un incubo che ti dà The Downward Spiral, beh… il mio obiettivo è raggiunto.

Ho mirato non tanto alla narrazione in sé quanto a una ricerca lirica di follia, sfruttando le ripetizioni dei suoni per dare quelle sensazioni ma cercando anche di evitare una ripetitività eccessiva. Ma d’altra parte è necessario usare le ripetizioni per lavorare sull’inconscio. Quindi anche quella è stata una sfida.

E non dev’essere facile evitare la ripetizione anche tenendo conto del fatto che, di base, un videogioco è basato sulla ripetizione.

Sì, però c’è comunque un elemento narrativo che conduce tutto. Outlast è un gioco lineare e questo aiuta anche ad aggirare il problema. Insomma, ho dovuto bilanciare questi aspetti. È un po’ come la tortura della goccia che cade! Una cosetta semplice che può farti impazzire.

Hai lavorato molto assieme al team di sviluppo, nel decidere che suoni usare, come e dove?

Sì. All’inizio Phil mi ha detto che il primo gioco si incentrava sul far male alle persone e incrinarne l’integrità fisica. Il secondo lavora invece sull’integrità mentale. Quindi, appunto, l’idea è di arrivare a far impazzire il giocatore. Farlo sentire costantemente a disagio. Chiaramente è solo un gioco, ci sono dei limiti… però ho appena visto Arrival, il film, e l’ho trovato fantastico. È un film che non si conclude sui titoli di coda, ti rimane dentro, cresce dopo la visione. Ci sono film che riescono a fare questa cosa e vorrei riuscire a ottenere questo effetto con il mio lavoro.

Comunque, per rispondere alla tua domanda, sì, ogni volta che devo scrivere un nuovo elemento musicale, chiamo in Red Barrels, parlo coi cofondatori, sento anche Francis Brus, che è il direttore dell’audio, quindi è lui a occuparsi di integrare il mio lavoro nel gioco. Assieme, ragioniamo sull’integrazione della musica dal punto di vista interattivo. Poi è molto importante accompagnare bene la trama, e infatti un paio di volte al mese vado a trovarli nei loro uffici, per vedere il gioco in azione, parlare di quel che vogliamo fare e, insomma, farmi un’idea più concreta di quel che devo provare ad ottenere, i sentimenti che devo evocare ragionando sulla palette sonora che ho creato.

Outlast 2 arriverà su PC, PlayStation 4 e Xbox One il 25 aprile 2017.

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