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Racconti dall'ospizio #71 - Super Nintendo: tutto il resto è game over!

Racconti dall'ospizio #71 - Super Nintendo: tutto il resto è game over!

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Condizionato da una campagna marketing tanto naif quanto efficace, stavo per cedere alle lusinghe del “blast processing” e al fascino del Sonic Badge. “Ocio però”, Mancini e Zenga, le prove su strada di USA Today e gli spot stracolmi di gameplay: un continuo picchiar sullo stesso tasto, un cantar di sirene. Un giorno però arrivò lui, con le sue forme tondeggianti e un joypad di velluto, moderno e dotato di sei pulsanti. Non disse niente e si accomodò ai piedi del totem, una postazione strategicamente piazzata nell'androne del negozio di giocattoli più rinomato della città, tappa fissa di ogni camminata in centro. In cima alla piramide c'era un Mivar a 14 pollici, un televisore piccolo ma sufficiente a farmi aprire gli occhi: toccai Super Mario World con un dito e raggiunsi la pace dei sensi. Ebbe così inizio la mia “kyotonina revolution”.

Ben presto quel totem cominciò a starmi stretto, tanta era la voglia di Super Nintendo. In una sorta di rito di passaggio, mi lasciai alle spalle il paese dei balocchi e varcai la soglia di Game Master, il primo negozio specializzato della provincia. L'apripista ha chiuso i battenti lo scorso anno, dopo un lento ma inesorabile declino. Se penso a quanto tempo ho passato lì dentro, a discutere di console e videogiochi, mi si stringe il cuore e mi viene il magone. Ricordi preziosi, che custodisco gelosamente nell'antro della memoria.

Dopo una lunga attesa - e la reiterata promessa che quel regalo non avrebbe influito negativamente sul rendimento scolastico - feci mio l'agognato 16 bit. Entrai in negozio con le idee chiare e scelsi il port di Nba Jam, una trasposizione rivelatasi poi inferiore alla controparte per Mega Drive, conversione quest'ultima dotata di batteria tampone. Il titolare mi invitò ad acquistare un secondo gioco, indirizzandomi verso lo scaffale dei titoli in offerta, perlopiù invenduti e indesiderabili. Nascosto fra il ciarpame c'era quel capolavoro di Parodius: Non-Sense Fantasy, che recuperai all'istante, senza un attimo di esitazione. Fu una magnifica ossessione.

Super Nintendo Chalmers!

Super Nintendo Chalmers!

Il Super Nintendo non è una semplice console, è un pilastro della storia videoludica. Cresciuta all'ombra del NES, ne ha raccolto l'eredità a testa alta, apportando una serie di innovazioni a dir poco significative, prima fra tutte la perfetta disposizione dei tasti sul joypad. Nintendo si è superata a più riprese, in un crescendo di bellezza: la saga di Metroid ha raggiunto il suo apice, Super Mario Kart ha iniziato a sgommare in Mode 7, Super Mario World 2: Yoshi's Island ha dato una ragion d'essere al concetto di prequel e altro non aggiungo, rimandandovi alle monografie pubblicate nei giorni scorsi, cuore pulsante della Cover Story settembrina. La softeca del Super Nintendo è colossale, granitica e quasi impareggiabile, merito anche del supporto massiccio delle terze parti, venuto poi a mancare con il Nintendo 64. Mattatore in quasi tutti i generi, il Sufami si è accontentato di un ruolo di comparsa sul palcoscenico degli shoot'em up, titoli che mal si sposavano con la CPU, il processore Ricoh 5A22 con frequenza fissata a 3,58 MHz.

L'oasi nel deserto degli sparatutto.

L'oasi nel deserto degli sparatutto.

Salvo alcune eccezioni, oggidì la pubblicazione di un gioco avviene quasi in contemporanea su tutti i mercati, ma all'epoca non era affatto così. Con il Vecchio Continente a vestir i panni della Cenerentola, l'attesa fra l'esordio di un titolo e la sua trasposizione in formato PAL poteva protrarsi per diversi mesi, nella peggiore delle ipotesi anche per un anno. Stufo di guardare il gameplay da un oblò, mi avvicinai a piccoli passi al mondo dell'import e presi confidenza con gli adattatori, un mondo tutto da scoprire. Ne è valsa la pena sopratutto per Chrono Trigger, ingiustamente mai distribuito in Europa, al pari di Final Fantasy VI e di molte altre gemme.

L'epoca a 16 bit è sinonimo di console war, una sfida combattuta a suon di esclusive e tiri mancini. SEGA si difese a dovere negli States, grazie a una campagna marketing particolarmente aggressiva, forte di slogan entrati nell'immaginario collettivo. Un “SEGA does what Nintendon't” vale più di mille Teraflops, i numeri dell'odierno cielodurismo. Le schermaglie dialettiche animavano le riviste del settore, trovando una valvola di sfogo nell'angolo della posta: in alcuni casi erano gli stessi redattori che le fomentavano, a suon di missive inventate di sana pianta (chi ha detto Lord SNK?).

Sua maestà.

Sua maestà.

Il Super Nintendo è la console a cui sono più legato, è il sistema che mi ha accompagnato nel corso dell'adolescenza. Oggi riposa all'interno della sua confezione, dopo anni di fatiche e onorato servizio. Ho cercato di imballarlo al meglio, perché ci tengo tantissimo. Le rughe si notano sullo chassis: il materiale plastico in ABS ha subito un naturale processo di ossidazione, cambiando così colore e virando verso il giallo. A detta dei tanti tutorial presenti sul web, il restauro non è poi così complicato, sono sufficienti qualche solvente e un po' di olio di gomito. Interessante, ma non fa per me: quello che dorme placido è il mio Super Nintendo, ha un vissuto alle spalle e una storia da raccontare, un passato pronto a rivivere nella sua replica mignon.

Questo articolo fa parte della Cover Story "Aspettando il Nintendo Classic Mini: Super Nintendo Entertainment System", che trovate riepilogata a questo indirizzo.

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