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Spoiler Zone #7: Avengers: Endgame - La multirecensione spoilerosa

Spoiler Zone #7: Avengers: Endgame - La multirecensione spoilerosa

Una rubrica in cui parliamo di giochi, film, libri, la qualunque, a posteriori, senza farci alcun problema di spoiler. Insomma, se non avete ancora "consumato" ciò di cui si parla, statene alla larga, perché qui potremmo svelarvi ciò che non volete sapere!

Una settimana fa, il mondo ha assistito a qualcosa di mai visto prima, un prodotto cinematografico che non solo ha rappresentato qualcosa di più della fine di un viaggio durato tantissimo, ma anche la realizzazione di una visione, di sforzi produttivi disumani… no, non sto parlando di Homecoming: A film by Beyoncé.

Dopo la recensione senza spoiler uscita poco dopo la fine dell’anteprima stampa, per concludere in bellezza la Cover Story dedicata ai supereroi Marvel torniamo a un anno fa, quando ci ritrovammo tutti infoiatissimi a scrivere di Infinity War, per proporvi la multirecensione di Avengers: Endgame, in attesa dell’inevitabile Outcast Popcorn.

Avendo già parlato del film a caldo e col freno a mano tirato, quelli che seguono sono tutti pareri senza filtro, scritti senza farsi troppi patemi di spoiler. Leggete a vostro rischio e pericolo.

Lo riscrivo per darvi modo di scappare: dopo il trailer riempitivo qui sotto, tutto quello che leggerete è spoiler. Non ci siamo fatti problemi a parlare di cose che succedono nel film, siano essi snodi narrativi o cose che succedono, in generale. Spoiler. È la recensione spoilerosa, ci sono degli spoiler. Spoiler!

SPOILER!

Davide Moretto

Non sono una persona che vive nel terrore degli spoiler. Sarà che per qualche motivo particolare riesco sempre magicamente a evitarli, sarà che anche se so qualche parte della trama di un film riesco comunque a godermelo, ma tutto sommato io e gli spoiler conviviamo abbastanza bene. Ma con Avengers: Endgame, per la prima volta in vita mia credo, ho deciso che non potevo sopportare neanche il minimo spoiler e quindi ho adottato i seguenti comportamenti: primo, andare a vedere il film il giorno di uscita; secondo, nelle 48 ore prima dell'uscita (e grazie a Dio in Italia è uscito prima che in gran parte del mondo) ho chiuso qualsiasi ponte con internet, social network e in parte anche con le app di messaggistica.

Chiuso con questo momento di paranoia galoppante, il gran finale della saga degli Avengers storici mi è piaciuto parecchio. Forse l'ho trovato in alcuni punti un filo arzigogolato, ma il grandissimo omaggio sia ai personaggi che ai fan creato dai fratelli Russo è stato veramente apprezzato. Era chiaro che i nostri eroi avrebbero utilizzato qualche viaggio nel tempo per poter sconfiggere Thanos, ma non mi sarei mai immaginato di ripercorrere diverse pellicole dell’universo cinematografico Marvel vedendo le scene da un'altra prospettiva (Heil Hydra!).

Mi sono piaciute tantissimo le scelte per chiudere alcune linee narrative, su tutte quelle di Stark e Captain America, con quest'ultimo che fa capire, in maniera davvero dolce, che il viaggio iniziato undici anni fa è arrivato al termine.

Ovvio, ci saranno altri film e alcuni dei personaggi che riteniamo finiti torneranno sicuramente, ma qui tutto ha un sapore di addio, un abbraccio tra amici, e un saluto che lascia lo spettatore con quel sorriso malinconico che si stampa in viso alla fine di una bellissima vacanza. Sai che prima o poi tornerai in quei luoghi e sai che molte delle persone con cui hai condiviso quei momenti saranno ancora lì, ma sai anche che quei giorni passati a ridere e scherzare non torneranno più.

Nel 2008 diventavo papà, e negli anni il pargolo è diventato un super fan della saga. Nel momento in cui scrivo sono passati quattro giorni in cui ho discusso con mio figlio di come si sono incasinate le linee temporali, di che fine ha fatto Loki, del perché non ci sono due Captain America nel presente, e di tante altre cose. E credo che questa sia la prova migliore che il film e il progetto Marvel Cinematic Universe in generale non solo ha fatto centro, ma che permette a generazioni diversissime di discutere, confrontarsi e vedere e rivedere insieme le pellicole della saga. 

E comunque Thor a me ha fatto spaccare dal ridere.

Natale Ciappina

Che Avengers: Endgame, da qualunque punto lo si guardi, sia una botta clamorosa di adrenalina, lo si capisce all’uscita dal cinema, dopo tre ore di pellicola che in media stremano la maggior parte delle persone, e invece stai lì, a guardare questi tipi strampalati rincorrersi con inopinabile serietà, fino a farti immedesimare nel conflitto ed estraniarti da tutto il resto, come se fosse una corsa alla quale tu stesso prendi parte e, nonostante la fatica che pur senti, continui ad andare avanti, strenuamente. Il cinema, fuor di dubbio, riesce anche in queste imprese.

Eppure è sorprendente quando a farlo è un film con una portata così ampia, sia di pubblico che in termini di tempo. Merito di questo è della tanto stigmatizzata serialità cinematografica, un formato che, più che permettere di vedere tutto questo melting pot di gente mascherata (nonostante sia l’aspetto che in superficie attiri comprensibilmente più attenzioni), ci ha permesso di assistere all’epopea, dall’inizio alla fine, del più iconico di tutti i supereroi del nuovo millennio – e dunque dei supereroi cinematografici tout court. Iron Man e Tony Stark e Robert Downey Jr. sono stati questo e molto altro, in una fusione di personalità che, guardando quello che abbiamo lasciato alle spalle, ci ha fatto entrare in empatia con un personaggio ormai per definizione respingente, incoerente, spigoloso e geniale; tutto quello che c’è stato in questi anni di profondo cambiamento per il cinema, è stato veicolato tramite la sua maschera di metallo, e questo ultimo epico viaggio ne rappresenta un tributo a quel che è stato l’intero Marvel Cinematic Universe, un tributo talmente partigiano da far passare in secondo piano, fino ad annullare, i difetti presenti anche in questo film che è, in fin dei conti, la miglior montagna russa mai progettata da Hollywood.

Alessandro Di Romolo

Avengers: Endgame spazza via ogni discussione in merito al fatto questi film fossero “cinema vero” o qualcosa che somigliasse di più a una serie TV. È cinema vero, cinema grosso, larger than life come solo il cinema americano d'intrattenimento sa essere; cinema di supereroi che non cerca di essere altro, perché sa che non c'è nulla di cui vergognarsi. A prescindere da ciò che abbiamo rilevato nell’Outcast Popcorn dedicato (ovvero che ormai il mezzo televisivo ha quasi totalmente accantonato la narrazione verticale, mentre i Marvel Studios hanno via via intrapreso una strada diametralmente opposta), quel che più colpisce dell’ultimo episodio della Infinity Saga è la schietta arroganza con cui i fratelli Russo hanno rivendicato undici anni di storie (e di storia, del cinema e della cultura popolare), restituendo importanza a ogni tassello che compone il mosaico del Marvel Cinematic Universe, anche quelli più vituperati (tipo Thor: The Dark World), prendendosi il lusso di essere autoreferenziali e, perché no, nostalgici.

Ed è la stessa arroganza con cui Endgame ti sbatte in faccia la sua identità, prendendosi non solo i suoi tempi e i suoi spazi per dirti quello che ritiene importante, ma anche una serie di rischi enormi: quello di sembrare lento, quello di accantonare una formula consolidata che funziona da 11 anni, e quello di mettere da parte l'azione, facendosi beffe di chi pensa che questi film siano solo "risse tra maschi ipergonadici". Dopo i fuochi d’artificio di Infinity War, la soluzione meno ovvia era quella di uscirsene fuori con un film di personaggi con un’unica, circoscritta, magniloquente scena d’azione. E invece l’uovo di colombo per metabolizzare le terribili perdite scaturite dallo schiocco di dita di Thanos era, evidentemente, concentrarsi su personaggi che dopo ventuno film hanno ancora qualcosa da dire; magari non abbastanza per poter sostenere un episodio da solisti, ma abbastanza per imbastire uno spettacolo corale profondo, esauriente, sufficientemente compiuto da non lasciare questioni in sospeso. Personaggi ancora irrisolti, come Thor, che continua a svilupparsi lungo l’arco narrativo dai risvolti più inaspettati e interessanti dell’intero lotto; o altri, come Cap e Tony, che si portano appresso ruggini vecchie di una decina di film, difficili da superare se non interagendo in maniera credibile, scontrandosi e riconciliandosi con una bella stretta di mano dopo essersi rinfacciati colpe terribili. Tutta roba che strappa gli applausi di un pubblico ormai totalmente perso nei meccanismi dell'empatia, e che alimenta la loro passione per questo fenomeno culturale tanto quanto riesce a fare una battaglia campale fuori di testa che merita un discorso a parte.

Credo che uno dei risultati più stupefacenti raggiunti dal Marvel Cinematic Universe sia quello di aver reso credibile, cool, interessante e per nulla fuori contesto la storia di un procione triste che vuole vendicare un pezzo di legno. L’aver creato un universo in cui potessero convivere storie estremamente diverse tra loro, senza che venisse meno la coerenza dell’insieme, o ancora meglio, senza buttarla in caciara. Di aver trovato un equilibrio tra serio e faceto, tra fantastico e ordinario, tra questioni di ampio respiro e altre più intimiste molto difficile da replicare. Lo scontro finale tra gli Avengers e le truppe di Thanos ribadisce proprio questo, ovvero che, al netto del dramma, dei momenti seriosi e dei toni talvolta tragici, stiamo parlando di una storia con procioni parlanti, divinità norrene, stregoni, alieni viola, icone della seconda guerra mondiale scongelate e miliardari in armatura. E che quindi vale la pena sedersi comodi e godersi uno spettacolo fantastico, al massimo delle sue potenzialità, senza star lì a chiedersi se sia solo "tanto" oppure "troppo".

Se Infinity War era una questione di pancia dall'esito incerto e sorprendente, con più forma che sostanza, Endgame è qualcosa di molto diverso, qualcosa che andrebbe visto senza l’ansia di aspettarsi che debba succedere qualcosa di stupefacente ogni trenta secondi. Hai una vaga idea di come possa andare a finire, l’hai immaginato, sognato per un anno intero, hai elaborato teorie e letto quelle di migliaia di altri appassionati, solo non sai come arriveranno dal punto A al punto B. Il fatto che abbiano farcito lo spazio tra partenza e destinazione con così tanta sostanza e con le soluzioni più anticonvenzionali e fuori di capoccia che gli fossero venute in mente è il motivo più valido per togliersi il cappello e complimentarsi con gli autori, per averci regalato il culmine di undici anni della nostra vita migliore che si potesse desiderare. Undici anni di chiacchiere a cena, di attese, di serate al cinema o a casa, di emozioni, di articoli scritti e letti. Poterlo celebrare con le persone con cui hai condiviso questo periodo e con una sala piena di sconosciuti che hanno vissuto esperienze simili è stato bellissimo.

Stefano Talarico

Che bomba, Avengers: Endgame. La bravura totale con cui i Russo ti tirano via la sedia dal culo dopo pochi minuti di film, con Captain Marvel che arriva e fa effettivamente la capa del mondo, e ti lasciano lì a pensare che saranno due ore e cinquanta di gente che si guarda negli occhi. E invece, per la prima parte di Avengers: Endgame troviamo la tragedia alla fine di Infinity War quasi come fosse un personaggio, un elemento che muove tutti membri restanti del team in modo diverso, aggiungendo nuove sfumature e nuovi dettagli a personaggi che abbiamo già ampiamente avuto modo di conoscere e apprezzare. Voglio dire, Thor diventato ufficialmente dude of thunder è forse la miglior trovata comica del film, oltre a umanizzare incredibilmente un personaggio che, anche con la direzione cazzara di Taika Waititi, portava con sé il machismo e l’autorità di un dio.

Più in generale, se da un lato l’escamotage narrativo di giocare col tempo era probabilmente l’unico modo per tirare le fila del discorso, la scelta di perculare Ritorno al futuro (l’unica caduta di stile del film è stata sancire che Ritorno al futuro è sbagliato: Ritorno al futuro è per-fet-to) salvo poi mettere in scena un Ritorno al futuro - Parte II con dieci anni di film ricostruiti scena per scena ha del clamoroso, quasi inaspettato, sicuramente fantastico per i risultati ottenuti. Voglio dire, al netto di tutte le ricostruzioni, l’aggiunta inedita che porta allo scambio di battute tra Tony Stark e suo padre (John Slattery <3) è una roba commovente, a maggior ragione se si considera l’epilogo del film.

Oltre a questo, come dicevo anche nella recensione senza spoiler, le sorprese e il continuo giocare con le aspettative del pubblico “smart” non sono certo mancate, per esempio sbarazzandosi in modo definitivo di personaggi a cui è stato garantito un film solista, o congedandosi con personaggi con cui era prevedibile salutare, ma in modo assolutamente toccante e convincente, con testimoni passati attraverso litrate di lacrime.

Ah, a proposito di sorprese: il tizio irriconoscibile al funerale è il bambino di Iron Man 3. Prego.

Verdetto_Outcast_2017_v2.png

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata agli Avengers, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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