Outcazzari

Breathe

Breathe

Come ogni anno, la Game Developers Conference arriva in un momento in cui ho un forte bisogno di staccare. In un 2019 cominciato tra l’immersione totale a lavoro e la conseguente, drammatica, pausa post-consegna della morte, parto per San Francisco avendo messo a referto dei giochi giocati il solo Tetris 99 e qualche misera partita ad Apex Legends, in cui comunque sono un cane bagnato. Sarebbe uscito Devil May Cry V settimana scorsa ma, ehi, tra una cosa e l’altra, è finita che prima di San Francisco faccio un salto a Berlino, e di lasciare una roba a metà proprio non me la sento. In compenso, sull’aereo lungo conto di giocare ad Ape Out (metti che nella lista dei film di British c’è Green Book, pfui), quindi poteva sempre andare peggio.

Quel che è in effetti è andato peggio è che, dallo scorso giugno a oggi, ho praticamente rinunciato a scrivere anche per diletto, partendo quindi per fare un coverage con, probabilmente, lo stesso ritmo partita che avrà Icardi nel derby di domenica. Del resto, è un po’ un cane che si morde la coda… pensate che una volta ho conosciuto un tizio che diceva “uroboro” non ironicamente, e che da allora ha rimpiazzato Michael Cera come mia immagine mentale del vergine sfigato. Dicevo, è un circolo: è difficile metterti a scrivere di videogiochi se non tocchi un pad. Poi, certo, ho scritto quasi quattromila caratteri parlando di Red Dead Redemption 2 senza che me lo chiedesse nessuno, solo per accompagnare il cambio di immagine di copertina su Facebook, ma non è di coerenza che stiamo parlando.

Per carità, lo stimolo a videogiocare è sempre lì, ma dopo una giornata di duro lavoro (o di nullafacenza post-consegne della morte), se ho il culo di non dover portare avanti una vita sociale - o una delle altre passioni legate alla cultura pop che hanno lo svantaggio di portarti via ore e ore di tempo - non ho veramente voglia di fare nulla. E quando un gioco riesce a dirmi qualcosa, non sempre ho la forza mentale e il tempo di trovare un filo conduttore e di mettermi a scriverne. Chiacchierarne, certo, è un’altra storia, ma il punto è che sono talmente esaurito che l’ultima volta che abbiamo registrato un Magazine pensavo di aver già detto quello che avevo da dire su Katamari Reroll (capolavoro senza tempo, per game design e bellezza tout-court) e GRIS (se hai qualcosa da dire, dimmela senza metterci di mezzo un platform scadente), per cui ho paccato senza troppi rimorsi, salvo poi fasciarmi la testa.

Chissà cosa penserà quell’ex-caporedattore che, qualche settimana fa, mi ha detto “peccato tu non scriva più, eri proprio una bella penna!” leggendo questa roba. Ciao Davide!

La Game Developers Conference è un momento magico in cui tutti questi patemi d’animo si risolvono, la fiamma si riaccende e, per fortuna mia e di chi mi legge, le storie interessanti escono quasi letteralmente dalle fottute pareti: io devo solo andare lì, godermi la città più bella del mondo, perdermi nei corridoi del Moscone Center e cercare di non perdermi troppo negli appunti e nel jet lag. Per altro, sarà che ho perso l’abitudine a scrivere, ma quest’anno parlare della GDC prima della GDC mi fa sentire come James LaBrie nell’ultimo disco dei Dream Theater: quello che poteva dire l’ha detto quando ancora aveva una voce che valeva la pena ascoltare.

Chi segue Outcast ormai lo sa, la fiera di San Francisco è il momento che preferiamo dell’anno. Ogni anno siamo qui come scolarette eccitate prima di partire e, quando torniamo, non vediamo l’ora di sbrodolare un podcast fiume e tornare di nuovo a guardare il ponte rosso, l’isola dei detenuti e il convention center del bestemmiatore veneto (not). E, onestamente, non saprei cosa aggiungere alle lettere d’amore vergate negli anni passati da me e dagli altri miei compagni di viaggio, che quest’anno si sono ridotti al solo giopep, baluardo senza il quale, oramai, la GDC non esisterebbe neanche più.

Del resto, la Game Developers Conference non è una fiera di prevedibili aspettative, quanto più un evento a cui partecipi e che, anno dopo anno, ti stupisce, ti abbraccia, ti ricorda perché ogni anno ti imbarchi in un viaggio sfiancante, lasciando a casa affetti e riposo: parti che non sei sicuro di saper scrivere neanche il tuo nome e torni arricchito, dopo aver scritto articoli, speso fiumi di parole in video, cazzeggiato sui social (oh, quest’anno mi raccomando, Instagram), riso con amici che non vedi per mesi ma è come non aver lasciato mai.

Non so e non posso dirvi perché io sia contento di andare alla GDC per il quarto anno di fila, perché di base sarebbe come cercare di spiegarvi come si respira, o perché sia bello farlo. La GDC, per uno a cui piacciono i videogiochi e che vive di storie, di qualsiasi tipo, è questa roba qui: una boccata di ossigeno, un momento in cui tutte le idee tornano in ordine, in grado di darti lo sprint per il prossimo passo.

Breathe (In the Air), a song by Pink Floyd on Spotify

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