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Dead or Alive 6: Sotto il vestito niente?

Dead or Alive 6: Sotto il vestito niente?

La prima volta che ho visto girare la versione giapponese di Dead or Alive 2 su Dreamcast, è stato un colpo di fulmine. L’ho comprato senza nemmeno possedere la console. In seguito, ho avuto la fortuna di incontrare Tomobobu Itagaki, il lead designer di Team Ninja, all’apice della sua carriera, quando le serie di Dead or Alive e Ninja Gaiden erano esclusive Xbox. Per quanto si atteggiasse a spocchiosa rockstar, aveva sicuramente un carisma incredibile, che riusciva a trasmettere al suo virtuoso team. A mio modesto parere, la sua assenza non è mai stata compensata. Nonostante questo, Dead or Alive 6 è uno fra i giochi che più attendevo del 2019, anche solo per avere la possibilità di ricredermi. Serve talento, per fare cose kitsch che possano assurgere allo stato di cult. Talento che Team Ninja, senza Itagaki, evidentemente non ha. Veniamo subito al dunque: il nuovo capitolo di questa saga è fatto bene, ma non ha un’anima ben definita.

Partiamo dall’impatto grafico, facendo una premessa: su PC, versione provata, il gioco non è ottimizzato a dovere e, per farlo girare fluidamente a un livello di dettaglio apprezzabile, occorrono ben più delle specifiche raccomandate, a meno che non ci si accontenti della risoluzione da Game Boy.

Trovata la giusta configurazione, si è ancora una volta rapiti dalla fluidità dei movimenti. Gli scenari sono ricchi di danger zone animate, che sorprendono la prima volta e sono già meno divertenti la seconda. In particolare, le arene degli scontri sono in linea con quanto visto nel quinto episodio, quindi ambienti piuttosto generici e difficilmente memorabili. I vecchi fan rompiballe come il sottoscritto rimpiangeranno la mancanza di verticalità.

Difficilmente, però, il giocatore meno smaliziato si avvicina a Dead or Alive per i fondali animati.

In origine Dead or Alive nacque come derivazione di Virtua Fighter. Per dare pepe al mix, non solo Itagaki introdusse la reverse come mossa fondamentale, ma aggiunse i danni fuori dal ring e, soprattutto, creò un cast di combattenti dominato da una compagine femminile in ambiti succinti e dai generosi seni ballonzolanti (pure troppo), senza mai nascondersi dietro un velo di pudore. Spesso condannato come sessista, il gioco deve la sua iniziale fortuna a questa discutibile scelta di design, che serve solo a nascondere, sotto la superficie da rivista patinata per adulti, un combat system accessibile e gratificante. Se la componente sexy delle origini era spudorata al punto da risultare quasi comica, da quanto imbarazzante, i toni si sono placati con il passare degli anni, arrivando a sfumature più soft e meno caricaturali. Le protagoniste sono sempre ammiccanti nelle pose e a fine combattimento hanno i vestiti lacerati che lasciano intravedere rivoli di umidità, ma sembrano uscite dalla pubblicità di un profumo su Vogue, piuttosto che dalle pagine di GQ.

L’evoluzione tecnologica pesa soprattutto sull’effetto uncanny, che si esprime in dettagli dell’epidermide quasi pornografici su volti espressivi come quello della Barbie. Se siete tipi da Real Doll, potrebbe anche piacervi, ma quel pizzico di perturbante potrebbe smorzare l’entusiasmo di tutti gli altri.

Il vero problema è che il gioco si prende troppo sul serio, nel tentativo di riuscire a piacere anche ai fan degli esport piuttosto che solo ai voyeur. Non c’è nulla di male, in questo, sia chiaro, perché sotto il vestito, come sempre, c’è un sistema di combattimento accessibile a tutti, una vorticosa coreografia di calci, pugni e proiezioni, che permette di inanellare combo esaltanti con la facilità di un rhythm game e l’eleganza di un balletto, ma richiede perizia da veri esperti per riuscire a controbattere le mosse dell’avversario, vera chiave di successo nel gioco. Tutto questo è illustrato a perfezione nell’ottimo tutorial e continua nelle missioni della modalità single player, che richiedono l’esecuzione di tecniche specifiche per riuscire a proseguire. Dal punto di vista dei contenuti per giocatore solitario, Dead or Alive 6 non delude, anzi, offre ore di divertimento anche senza un partner con cui condividere lo schermo, compresa un’estesa modalità storia che mostra le motivazioni dei vari combattenti (il solito polpettone insulso, utile per fare conoscenza con i nuovi personaggi, anche se confuso nella presentazione delle singole storyline).

L’offerta online, invece, è ridotta all’osso. C’è da augurarsi che, come successo con il precedente capitolo, le modalità possano venire espanse da aggiornamenti futuri (senza dover per questo acquistare una nuova copia del gioco). Tuttavia, se il buongiorno si vede dal mattino, in questo caso il cielo è nuvoloso: il primo Season Pass viaggia al prezzo di 90€. Forse un pizzico troppo, anche se dentro c’è Mai Shiranui.

Ho giocato a Dead or Alive 6 grazie a un codice per Steam ricevuto dal distributore italiano. Dead or Alive 6 è disponibile su PC, su PlayStation 4 e su Xbox One. Come al solito, se acquistate il gioco su Amazon passando dai nostri link, ci fate ricevere una piccola percentuale di quanto spendete, senza sovrapprezzi per voi. Potete farlo su Amazon Italia a questo indirizzo qui o su Amazon UK a quest'altro indirizzo qua.

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