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Dragon Pilot: Hisone and Masotan - Quando i sogni dei bambini espongono i problemi degli adulti

Dragon Pilot: Hisone and Masotan - Quando i sogni dei bambini espongono i problemi degli adulti

L’animazione è un mezzo espressivo potente e versatile e nel corso degli anni è stata una valvola di sfogo preziosa per concretizzare fantasie assurde e fuori di testa. È grazie a questa capacità indispensabile che è nato Dragon Pilot: Hisone and Masotan, un anime folle e delicato disponibile su Netflix dal 2018.

Questa piccola perla dello studio Bones dimostra che, pur seguendo l’ormai diffusa vena di storie Moe a base di ragazze carine che si dedicano ai lavori e ai passatempi più disparati, è ancora possibile unire elementi privi di qualsiasi legame e affidarsi alla sospensione dell’incredulità per creare qualcosa di unico.

Dragon Pilot parte da un presupposto davvero bizzarro. I draghi esistono, vivono in mezzo a noi e vengono nascosti alle persone comuni tramite improbabili travestimenti. Da quando l’uomo è stato in grado di realizzare le prime macchine volanti, nell’era moderna, gli enormi rettili leggendari hanno solcato i cieli travestiti da velivoli di ogni tipo. Questo è ciò che scopre nel primo episodio Hisone Amakasu, una ragazza con la tendenza a dire tutto ciò che le passa per la testa e che, una volta completati gli studi, decide di unirsi alla Air Self Defense Force.

L’incontro tra Hisone e Masotan, il drago che la sceglie come pilota, è particolarmente traumatico, visto che il simpatico rettile ingoia la ragazza in un boccone per dimostrarle il proprio affetto, sottolineando così l’elevata compatibilità tra i due protagonisti. Con questo semplice espediente la scrittrice Mari Okada e il regista Shinji Higuchi mescolano gli elementi tipici degli anime di robot trasformabili, il concetto della sincronia esploso con Evangelion e l’amore per il volo e per gli aerei che accomuna innumerevoli adulti e bambini.

Traumatico, dicevamo.

Da piccolo trovavo geniale l’idea dei Transformers e passavo ore e ore a giocare con i robot trasformabili. Ho sempre avuto una grande passione anche per i draghi e quando ho scoperto che qualcuno aveva pensato di fondere Starscream a una creatura fantasy leggendaria, ho capito di aver trovato il mio anime guida. Dragon Pilot, però, non è una serie d’azione e la presenza dei draghi è solo un (bellissimo) pretesto per concentrarsi su un gruppo di donne adulte e sui rispettivi problemi, approfittando del contesto per affondare qualche colpo ben piazzato verso un mondo del lavoro a trazione maschile e verso i rischi che si corrono quando si seguono ciecamente antiche tradizioni, smettendo di porsi domande.

In appena dodici episodi Mari Okada e il suo team sono riusciti a concentrare una notevole quantità di argomenti, affrontandoli con leggerezza ma mai con superficialità. D’altra parte, la capacità di rappresentare contesti e figure credibili nonostante gli elementi fantastici o soprannaturali è da sempre un elemento distintivo delle opere seguite da Okada-sensei. Il suo tocco emerge soprattutto nel modo in cui vengono descritti e approfonditi i personaggi secondari, a cui la scrittrice si è sempre sentita particolarmente vicina sotto molti punti di vista. Non a caso, dopo un inizio lento la serie decolla (letteralmente) con l’arrivo degli altri piloti e draghi che affiancano Hisone e Masotan durante l’addestramento.

In più di un’occasione Dragon Pilot si sofferma sull’importanza del gioco di squadra, elogiando l’impegno delle innumerevoli persone che, lavorando nell’ombra, rendono possibile la realizzazione di progetti meravigliosi. Nel corso della propria carriera, Okada si è resa conto di quanto il suo lavoro sia legato ai professionisti e alle professioniste che lo interpretano e concretizzano. Nella serie questa consapevolezza di traduce in un omaggio sentito allo staff che si occupa della preparazione e della cura dei draghi o della messa a punto delle tute di volo, in una sorta di ode alle professioni meno visibili e rappresentate.

Draghi "in disguise".

Un altro tema particolarmente caro a Okada è quello dello scontro generazionale e dell’inevitabile frizione che viene a crearsi quando i giovani decidono di resistere alle tradizioni e alle imposizioni di chi ha qualche anno in più sulle spalle. In Dragon Pilot la questione emerge in più di un’occasione grazie alle interazioni tra diverse generazioni di piloti e si intensifica negli ultimi quattro episodi, quando viene finalmente svelato il vero obiettivo della squadriglia e delle fantomatiche sacerdotesse che atterrano alla base militare.

Tutti questi elementi sono stati interpretati alla perfezione da uno studio Bones chiaramente a proprio agio con un tema tanto bizzarro. La scelta di affidarsi a uno stile semplice e spesso stilizzato si dimostra azzeccata fin dal primo episodio, creando un contrasto gradevole tra il design fanciullesco di draghi e personaggi e la rappresentazione dettagliata degli aerei e dell’equipaggiamento militare. Le animazioni non sono certo le migliori dello studio, ma nelle rare scene d’azione e nelle piacevoli sequenze di volo le qualità non fatica a emergere, con risultati davvero apprezzabili.

Ho guardato la serie in compagnia di mia figlia e sono davvero felice di aver condiviso con lei questa esperienza. Abbiamo apprezzato Dragon Pilot per motivi differenti, come è giusto che accada quando generazioni distanti si approcciano alla medesima opera. Elena ha adorato i personaggi femminili e ha spinto al massimo l’immedesimazione, perdendosi nelle sue fantasie sui draghi e immaginando i comportamenti che avrebbero se vivessero nel mondo reale. Io ho apprezzato molto l’umorismo e il cinismo della serie. A mettere d’accordo entrambi è stata la simpatica sigla finale, che ancora oggi fatico a togliermi dalla testa.

Dragon Pilot è un anime per chi non ha mai smesso di sognare. Nonostante il realismo delle situazioni sociali in esso descritte, non rinuncia a dare sfogo alle fantasie e ai desideri tipici dell’infanzia, troppo spesso sacrificati all’altare della società moderna. Ovviamente vi consiglio di recuperarlo. Dura il giusto e non vi farà pentire di avergli dedicato un po’ del vostro tempo prezioso.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata alle gioie del volo, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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