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Maria regina di Scozia, la recensione  scritta un po’ di malavoglia

Maria regina di Scozia, la recensione scritta un po’ di malavoglia

Non ho tanta voglia di scrivere questa recensione perché, nel farlo, mi toccherebbe ammettere che Maria regina di Scozia “non mi è piaciuto perché non mi è piaciuto”. La morte della critica intelligente, insomma. Poi, a dirla tutta, non è che non mi sia piaciuto. Piuttosto, non mi ha lasciato addosso granché, ecco; e forse è pure peggio, ché diversamente mi sarei almeno divertito a stroncarlo.

Invece, se la mettiamo sul piano formale, il film non è affatto fuori posto. Alla sua prima esperienza cinematografica, la regista teatrale Josie Rourke ha costruito un dramma storico classico, che è anche e soprattutto un confronto tra due donne di potere in un mondo nel quale la faccenda delle signore al comando non è vista tanto bene (mica come oggi).

Pure se parliamo di scrittura, non siamo messi male. Alla penna c’è Beau Willimon, già autore di roba come House of Cards, Le idi di marzo o il recente The First. Willimon mi riesce sempre un po’ scontroso, eppure non gli si può negare di essere riuscito a portare il suo gusto per gli intrighi politici nel sedicesimo secolo con misura e buon senso. Buttando un’occhio all’attualità, OK, ma senza farsene trascinare, nel dare fiato alla rivalità tra la giovane Maria Stuarda (aka Mary Stuart) e la cugina Elisabetta (aka Elizabeth) I d'Inghilterra.

Come si può ben intuire dal titolo, il piano del racconto pende in direzione di Maria, interpretata dalla deliziosa Saoirse Ronan, e attacca col suo ritorno nella Scozia natia a seguito di una vedovanza precoce. Lì finisce per trovarsi in conflitto con i suoi lord e pure rispetto al tema della religione, dal momento che la Chiesa è stata tutta sbatacchiata dalla corrente presbiteriana del teologo John Knox (David Tennant).

Insomma, un sacco di casini, ai quali vanno a sommarsi le rogne a distanza con la cugina Elisabetta (Margot Robbie), che vede il suo trono in pericolo. Dico a distanza perché, in effetti, in tutto quanto il film, tra le due rivali si consuma un unico faccia a faccia che, tra l’altro, stando agli storici, sarebbe pure inventato di sana pianta. Ma oh, chissenefrega, è fiction.

Queste due giovani donne si muovono in un mondo nel quale la natura incontaminata esercita ancora un dominio marcato sulle architetture, e all’interno del quale il potere femminile – quando c’è – è inviso ai papaveri della Chiesa, sottomesso alla dimensione patriarcale e, soprattutto, vincolato alla fecondità e alla discendenza.

Saoirse Ronan è brava, eppure...

C’è tutto un lavoro sulla rappresentazione del corpo femminile, da parte della Rourke, che ne sottolinea la funzione di arma. Un’arma a doppio taglio, di natura puramente “biologica” (come viene sottolineato dalla metafora un po’ sguaiata della scena del parto), piuttosto che sensuale. Il tema della maternità viene inserito in un discorso sugli opposti complementari che attraversa tutto il film: laddove Maria Stuart si muove con agio in ambienti chiusi, illuminati dalla luce delle candele e vagamente simili a grotte, oppure solca a cavallo prati e montagne, Elisabetta presiede soprattutto la vita a palazzo, con le sue geometrie artificiali e i rigidi rituali sociali.

Margot Robbie pure lei è brava, eppure...

Eppure, pur nelle loro differenze, le cugine finiscono con lo svelare una comune visione del mondo e un’apertura mentale parecchio in anticipo sui tempi (licenza più, licenza meno). Tutte queste affinità che le avvicinano, piuttosto che separarle, hanno perfettamente senso: stiamo parlando di due donne forti, indipendenti, che cercano di gestire come meglio possono il potere in un mondo che, sotto sotto, le vorrebbe a fare la calzetta.

Detto questo, nonostante i personaggi ben bilanciati, il buon cast e una messa in scena interessante, Maria regina di Scozia mi ha lasciato un po’ così. Sarà che l’approccio al racconto di Willimon è troppo freddino e misurato. Sarà che il ritmo della Rourke, a tratti, mi ha messo in difficoltà (leggi: mi sono annoiato), sarà che le musiche sono davvero didascaliche e si incastrano male nell’economia generale. Sarà quel che sarà: il film non mi ha mai veramente coinvolto, con i suoi conflitti. Anzi, in un paio di momenti ho addirittura avuto la sensazione che volesse tenermi alla larga, sciò, via. Ma magari è un problema mio.

La messa in scena è riuscita, luci e costumi sono belli, eppure...

Questo senso di distanza è andato aumentando dopo la visione de La favorita. Pur muovendosi negli stessi giri e toccando argomenti simili a quelli proposti dalla Rourke, Lanthimos li elabora con una potenza di fuoco cento volte superiore, oltre a servirli attraverso una scrittura e una messa in scena da lasciarti secco.

Così, a ‘sto giro, il bollino mediano di Outcast mi torna particolarmente comodo: Maria regina di Scozia non sarà il capolavorone, ma sicuramente resta un film onesto e curato. Eppure, ho paura che tra un mese lo avrò già dimenticato.

Ho guardato Maria regina di Scozia grazie a una delle solite anteprime stampe alle quali, incoscientemente, ci invitano. Copio e incollo che “Il doppiaggio italiano non è male, ma brasa tutta la faccenda degli accenti” e - aggiungo - rende un po’ buffe certe scene. Tipo quella dei cavalieri che avanzano al grido di “Stuarda! Stuarda! Stuarda!”, quando si vede lontano un miglio che hanno in bocca “Stuart” inteso come casato: poveretti.

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