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La libertà, i colori e la gioia di Mario + Rabbids: Sparks of Hope

La libertà, i colori e la gioia di Mario + Rabbids: Sparks of Hope

Nintendo è tipicamente una software house maniacale: i suoi videogiochi sono curati sin nel minimo dettaglio e riescono a sorprendere sempre, nonostante ormai la potenza hardware delle sue console sia poca cosa rispetto alla concorrenza di Microsoft e Sony.

Nelle produzioni Nintendo trovi sempre quel dettaglio di gameplay, quella finezza che è in grado di farti rimettere mano al gioco e di farti notare i vari modi per superare una determinata fase, o per raggiungere zone impreviste. Super Mario Odyssey rappresenta l’emblema di questa filosofia: Cappy è un’arma di game design potentissima, che non solo fornisce supporto concreto attaccando i nemici, ma anche agendo da vera e propria piattaforma portatile che estende di molto la mobilità del protagonista.

Se siete fan sfegatati dell’azienda di Kyoto questa cosa già la sapevate ma, ehi, sapreste nominare un’altra realtà capace di infondere questa cura pazzesca all’interno di un videogioco? Personalmente, prima di Sparks of Hope faticavo a vedere titoli non marchiati Nintendo con questo tipo di cura e attenzione.

Sparks of Hope sprizza carisma da tutti i pori: Edge, ad esempio, è pesantemente influenzata dagli idoli dei ragazzi di oggi: non notate una certa somiglianza con Billie Eilish?

Probabilmente, in questo nuovo capitolo di Mario + Rabbids (qui la nostra recensione del primo, invece), Ubisoft Milano ha addirittura sovrastato Nintendo con la quantità e qualità folle della cura nei dettagli, a partire dalla rivoluzione del sistema di movimento: in Sparks of Hope il giocatore può muovere i tre/quattro protagonisti (a seconda della missione) in un’area ristretta, ma non più attraverso una struttura di caselle e di turni, ma col limite di alcune barriere il cui raggio può essere ampliato saltando in testa ai nostri compagni.

Questo cambio drastico della mobilità all’interno del gioco esalta il level design delle mappe e stimola la creatività del giocatore: come raggiungere uno spazio sopraelevato per fare da cecchino con Luigi? Dove piazzo i miei comprimari per saltargli in testa e arrivare proprio la, in quello spot che mi serve per uccidere quel nemico che sta dando fastidio? In Mario + Rabbids Sparks of Hope queste domande fioccano, e il gioco vi farà sentire estremamente soddisfatti quando, ad esempio, riuscirete a sconfiggere un branco di nemici in un solo turno, o a mettervi in salvo in corner per un azione decisiva contro il boss di turno.

Una delle cose che mi ha fatto impazzire del gioco è che c’è sempre un barile, uno Sparks equipaggiato o una bob-omba per far esplodere più nemici contemporaneamente. Fare esplodere le cose è sempre bellissimo.

Questa libertà di movimento è la chiave della componente strategica del gioco, nonché uno stravolgimento decisamente interessante dei paradigmi del genere. Sparks of Hope non è mai troppo difficile: a livello normale, sarò stato sconfitto si e no due volte, ma non è importante quanto si cade in battaglia, bensì la qualità intrinseca degli scontri, che è sempre soddisfacente.

La chiave è gestire al meglio le risorse di ciascun personaggio tra azioni, movimenti e abilità peculiari, e soprattutto lasciare che sparare sia l’ultima delle azioni possibili, in quanto il giocatore non potrà più spostarsi nella mappa dopo aver attaccato. Spesso e volentieri mi sono ritrovato a distruggere le coperture degli avversari e mettere in mezzo al campo un personaggio coperto dagli scudi di Peach, ad esempio, perché in quella esatta posizione potevo raggiungere l’obiettivo, mentre dietro a una protezione non avrei potuto: con un XCOM, ad esempio, avrei sicuramente perso quel personaggio, invece qui spesso e volentieri il mio coraggio veniva premiato, evidenziando come la creatività venga stimolata a fronte di un’intelligenza artificiale un pochino più permissiva. Tuttavia, se vi dovessi dire che la cura maniacale che Ubisoft Milano ha messo nel confezionare il combattimento è la cosa che mi ha stupito di più, vi mentirei: dopotutto, avevo apprezzato anche il sistema del primo Mario + Rabbids. No, la cosa che più mi ha sconvolto è stata l’esplorazione al di fuori deglli scontri: intendiamoci, non è una meccanica avveniristica - siamo tutti piuttosto abituati a immergerci in mondi sempre più grandi, dopotutto - ma le sensazioni che ogni singolo mondo mi ha suscitato odorano di “Fattore N” da tutte le parti.

Ogni ambiente ha una sensazione di divertimento e di scoperta probabilmente per me pari solamente a Super Mario Galaxy e a Super Mario 64, mentre o vari comprimari ricordano, nella loro follia, quelli delle produzioni Rare. Ubisoft Milano ha giocato sapientemente con le stagioni e la tecnologia, alternando i vari elementi e proponendo degli ambienti coerenti e stimolanti per il giocatore: ogni angolo delle mappe è degno di essere esplorato perché tra un enigma facoltativo e l’altro c’è sempre una sorpresa ad attenderci.

I mondi di Sparks of Hope, secondo me, azzeccano tutti colori giusti per restituire un’atmosfera che sicuramente vi lascerà a bocca aperta.

Il mix tra esplorazione e fasi di combattimento mi ha convinto ed esaltato perché offre la sensazione che tutto sia al posto giusto, e che la prima non sia semplicemente il fluidificante delle battaglie.

Come se tutto questo non bastasse il gioco favorisce l’esplorazione attraverso dei personaggi non giocabili davvero ben caratterizzati, e grazie ai vari log potremo scoprire nuovi dettagli su situazioni o imprese eroiche che riguardano i più importanti.

Parliamo un attimo degli NPC: guardate lui! Ma quanto è figo? Fa sorridere solo a guardarlo!

C’è un “Sapore di Nintendo” che pervade tutto il gioco che è difficile da spiegare a parole, ma è una sensazione che mi pervade rassicurandomi ogni volta che prendo in mano un gioco GBA, oppure, quando sfoglio vecchi numeri di NRU: con questo non voglio dire che il gioco è intriso di “nostalgia dei bei vecchi tempi”, anzi tutt’altro. È un gioco con le gambe ben piantate nel presente, e mi ha ricordato lo spirito e la passione Nintendo del periodo che arriva fino quasi al termine della vita del Game Boy Advance e del Gamecube: giocattoloso, ricco di divertimento e di dettagli, uno stile che forse si è perso un po’ dal DS in poi, forse per la necessità di attirare tanto il bambino quanto il nonno.

In Sparks of Hope c’è anche un' attenzione al dettaglio maniacale degna della serie principale, e sebbene non si possa definire esaattamente l’opera di Ubisoft Milano come uno spin-off dei vari Super Mario, è doveroso sottolineare come la cura riposta dagli sviluppatori non sia assolutamente seconda a quella Nintendo e, anzi, dovrebbe far scuola per tutte le altre software house che si trovano per mano certe IP. Un esempio su tutti? I giochi sportivi dedicati a Mario e Company: ho comprato e giocato sia Mario Golf che Mario Tennis e ero sconvolto dalla completa assenza di modalità extra al di là di uno scarnissimo gioco in singolo e del doveroso online. Mi domando il motivo per il quale Nintendo stia così trascurando gli spin-off di Super Mario al di fuori di Mario Kart e Smash Bros., quando secondo me i giochi sportivi - se ben gestiti - potrebbero rivelarsi veramente interessanti.

Da un lato mi spiace, dall’altro sono contento che quel tipo di cura tipico della casa di Kyoto sia stato assorbito dai nostri Soliani, Babich, Laviano e da tutti gli altri componenti di Ubisoft Milano. Sparks of Hope non è solo un gioco incredibilmente bello, ma anche ricolmo di un amore spassionato per Mario e NIntendo, e ve lo consiglio davvero con tutto il cuore!

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