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Raccontare la tragedia della Shoah attraverso un videogioco - Intervista agli sviluppatori di My Memory of Us

Raccontare la tragedia della Shoah attraverso un videogioco - Intervista agli sviluppatori di My Memory of Us

Qualche anno fa, con il pregevole Valiant Hearts: The Great War, Ubisoft si è presa in carico il rischio di raccontare i drammi della prima guerra mondiale dal punto di vista della gente comune, dei soldati al fronte. Evitando i toni epici di certi sparatutto e concentrandosi semmai sull’impatto del conflitto sulla vita di tutti i giorni. Valiant Hearts ha mostrato che storie del genere possono avere il loro spazio, ma soprattutto che c’è modo di affrontare tematiche delicate senza necessariamente sacrificare la componente ludica di un videogioco.

Ecco, My Memory of Us, in uscita entro la fine dell’anno per PC, PlayStation 4 e Xbox One, sembrerebbe raccogliere l’ambizione del titolo Ubisoft, provando a raccontare gli orrori della seconda guerra mondiale, dell’occupazione nazista e della Shoah, attraverso il punto di vista di due ragazzini.

Sviluppato dallo studio Juggler Games, con sede a Varsavia, e curato dal publisher polacco IMGN.PRO, My Memory of Us vuole essere prima di tutto il racconto di un’amicizia. E pur senza glissare sulla Storia, sceglie di filtrarne i tratti più cupi attraverso la metafora della fiaba contemporanea (fermo restando che chi ha almeno un mozzicone di orecchia per intendere, intende). Ma il titolo di Juggler Games è anche una celebrazione dell’importanza del gioco e dello svago persino (soprattutto?) durante i periodi più bui. Coerentemente a questa vocazione, sceglie di veicolare i suoi contenuti narrativi attraverso un platform con elementi puzzle in 2,5 D, disegnato in stile naïve e dal gameplay fortemente orientato sulla collaborazione tra i due giovani protagonisti, un ragazzino e una ragazzina.

L’idea alla base di My Memory of Us è interessante, il trailer promettente; tuttavia , non posso negare di essere rimasto colpito soprattutto dalla decisione, da parte del team di Varsavia, di “averci messo la faccia”. Di aver voluto raccontare attraverso un videogioco uno dei momenti più oscuri attraversati dalla propria città, dal proprio paese e, uh, dal mondo intero. 

Per questa e altre ragioni, sono particolarmente contento di aver avuto la possibilità di lanciare qualche domanda agli sviluppatori di Juggler Games riguardo la loro opera.

Andrea Peduzzi: Quando sono capitato per la prima volta sul trailer di My Memory of Us, per analogie cromatiche e contestuali, non ho potuto fare a meno di pensare a Schindler’s List. In particolare, al racconto di amicizia tra Danka Dresner e il ragazzino della polizia ebraica che mette in salvo lei e la madre durante la liquidazione del ghetto. Quanto c’è del film di Spielberg nel vostro gioco?

Juggler Games: Schindler’s List è stato senza dubbio fonte di ispirazione per il nostro gioco. In particolare, siamo stati influenzati dalle scelte cromatiche del film e dall’utilizzo che fa Spielberg del colore rosso.

In seno a My Memory of Us, il ruolo del rosso va oltre il significato estetico e simbolico, fino a diventare parte integrante del gameplay. In primo luogo, ci permette di mostrare che all’epoca, nell’Europa nazista, la società veniva divisa a tutti gli effetti in due gruppi, e che uno di questi era oggetto di discriminazione. Quando la ragazzina, nel gioco, si colora di rosso, non ha più la possibilità di muoversi in determinate aree, come parchi o mezzi di trasporto pubblici. Inoltre, gli avversari reagiscono alla sua presenza con maggiore aggressività. Queste circostanze creano nuovi problemi, che il giocatore è chiamato a risolvere, ed evidenziano l’importanza della cooperazione tra i due protagonisti. Inoltre, il colore viene utilizzato per comunicare con gli utenti, evidenziando gli oggetti interattivi nello scenario. È istintivo, per chi gioca, reagire agli elementi dipinti di rosso e cercare l’interazione.

Riguardo ai tratti dei due protagonisti di My Memory of Us, il ragazzino e la ragazzina, non ci siamo ispirati a qualche personaggio specifico. Piuttosto, abbiamo cercato di far passare attraverso il loro percorso le storie di tutti i bambini che hanno avuto a che fare con la seconda guerra mondiale. Danka Dresner era senz’altro una di loro, ma non l’unica.

Proprio come in Schindler's List, l'utilizzo del colore rosso assume un significato simbolico anche in seno a My Memory of Us.

Andrea Peduzzi: Al di là di Schindler’s List, Siete stati influenzati da altre fonti, magari letterarie?

Juggler Games: Oltre al film di Spielberg, siamo stati influenzati da opere come La vita è bella, di Roberto Benigni; Il labirinto del fauno, di Guillermo del Toro, e il racconto a fumetti Maus, di Art Spiegelman. Altre preziose fonti di ispirazione sono stati i racconti delle nostre famiglie.

Andrea Peduzzi: Per elaborare le atmosfere di My Memory of Us o descrivere le tradizioni dei suoi protagonisti, vi siete avvalsi di consulenti e storici?

Juggler Games: No, il nostro obiettivo durante lo sviluppo è sempre stato quello di immergere il giocatore in un contesto fiabesco, per quanto fortemente ispirato a eventi storici reali. Non era prioritario, per noi, ricreare le atmosfere delle città occupate dai Nazisti con la massima accuratezza possibile.

Andrea Peduzzi: Avete avuto occasione di parlare del vostro gioco con esponenti della comunità ebraica o addirittura, magari, con sopravvissuti all’Olocausto o loro familiari?

Juggler Games: Abbiamo contattato il POLIN - Museo della storia degli ebrei polacchi, e mostrato My Memory of Us ai membri del suo consiglio scientifico.

Le reazioni sono state perlopiù positive, anche se qualcuno ci ha consigliato di imprimere al nostro gioco un taglio più educativo. È stato un incontro molto interessante, anche se alla fine abbiamo deciso di dare la priorità all’intrattenimento e alla componente emotiva. Certo, non possiamo promettere che quest’ultimo aspetto sarà sempre piacevole; ma intenso, questo sì.

Il POLIN - Museo della storia degli ebrei polacchi (POLIN Muzeum Historii Żydów Polskich), a Varsavia.

Andrea Peduzzi: Il vostro studio ha base proprio a Varsavia, quindi quella che raccontate è una storia che appartiene al vostro territorio: a spingervi è stata l’esigenza?

Juggler Games: Varsavia è stata occupata dai Nazisti durante la seconda guerra mondiale. È stata bombardata nel 1939. C’era il ghetto ebraico, che è stato teatro di un’insurrezione. Poi, nel 1944 c’è stata la Rivolta di Varsavia, sbocciata dagli ambienti della resistenza clandestina polacca (l’Armia Krajowa, “Esercito Nazionale”). La città è stata quasi totalmente distrutta, e ancora oggi, passeggiando per Varsavia, è possibile incrociare tracce di questi eventi praticamente ovunque. L’esperienza della guerra è qualcosa che ci circonda tutti i giorni e che permea le storie delle nostre famiglie. Abbiamo deciso di fotografare tutte queste ferite aperte per fare in modo che non vengano mai dimenticate.

My Memory of Us è anche la storia di una città, Varsavia, raccontata dai suoi abitanti.

Andrea Peduzzi: Stando ai materiali stampa che avete divulgato, mi pare di capire che i riferimenti al Nazismo all’interno del gioco siano stati rielaborati (si fa riferimento a un monarca malvagio, presumo Hitler, e a dei soldati robot). Si tratta di un meccanismo di difesa messo in atto dalla fantasia dei giovanissimi protagonisti - un escamotage diegetico sulla falsariga de La vita è bella - o di una scelta metaforica à la Spiegelman? Lungo il gioco, il Nazismo viene mai esposto in termini espliciti?

Juggler Games: Direi entrambe le cose. È un meccanismo di difesa, dal momento che la storia di My Memory of Us viene raccontata come se fosse una fiaba da un anziano narratore. L’uomo desidera tramandare la memoria di una sua preziosa amicizia d’infanzia, ma senza spaventare la giovane che lo sta ascoltando. Così, ricorre a questi “robot” per glissare su elementi ben più oscuri e brutali. Inoltre, è anche una metafora: le armate del Terzo Reich, meccanismi crudelmente efficienti, sono state trasfigurate in macchine vere e proprie.

Detto questo, nel gioco non sono presenti riferimenti diretti al Nazismo; non ci sono simboli come svastiche o stelle di David. Era nostra intenzione fin dall’inizio mantenere il messaggio su un piano che fosse il più universale possibile.

Nonostante Juggler Games abbia preferito abbracciare una dimensione narrativa universale, nel gioco i riferimenti al Nazismo sono più che evidenti.

Andrea Peduzzi: A che genere di giocatori si rivolge principalmente My Memory of Us? Pensate che un ragazzino, magari coetaneo dei protagonisti, sarebbe in grado di cogliere il background o i riferimenti del gioco?

Juggler Games: Con My Memory of Us puntiamo principalmente a giocatori adulti. Tuttavia, durante i vari eventi di presentazione, ho visto intere famiglie raccogliersi attorno al gioco. Ho visto giocatrici non abituali trascinare davanti allo schermo i proprio fidanzati, magari attirate del comparto artistico, per poi impugnare loro stesse il controller per godersi l’intera demo. È stato davvero fantastico.

In sede di presentazione, abbiamo incontrato anche giocatori più giovani. Magari, non sempre sono stati in grado di afferrare gli eventi che hanno ispirato il gioco, tuttavia non hanno mai frainteso la componente emotiva. Un ragazzino può sempre comprendere cose come il valore dell’amicizia, l’importanza del gioco, il senso di esclusione o la paura. E per apprezzare My Memory of Us non serve altro. La nostra non è una storia sulla seconda guerra mondiale. È la storia di due amici che cercano di trovare la forza per stare assieme e sopravvivere ad ogni avversità.

Maus, di Art Spiegelman, è tra le opere che hanno ispirato il lavoro di Juggler Games.

Andrea Peduzzi: Ultimamente, in seno alla scena indie, sono sbocciati diversi docu-game. Tuttavia, My Memory of Us sembrerebbe avere una dimensione ludica piuttosto marcata. In che modo il gameplay si interseca con la storia?

Juggler Games: A mio modo di vedere, il gameplay è lo strumento migliore per farsi carico della narrazione. Immagina, ad esempio, una situazione nella quale dei ragazzini sono obbligati a rimanere nascosti perché si trovano in un posto dove non dovrebbero stare. L’obiettivo dei designer è utilizzare tutti gli strumenti a propria disposizione per costruire la tensione nella testa del giocatore, ma a quel punto è impossibile non innescare anche una storia. In altri casi, utilizziamo il gameplay per abbassare la tensione, o per dare ai giocatori un poco di tregua.

Andrea Peduzzi: Secondo voi, per quale motivo i videogiochi raccontano poco la Storia, o tendono a servirsene perlopiù in termini relativi, contestuali e semplicistici? Potrebbe dipendere da ragioni anagrafiche del medium, dalla sua vocazione all’intrattenimento o c’è dell’altro?

Juggler Games: Non penso che i videogiochi siano troppo giovani per rappresentare situazioni complesse. Se guardiamo al cinema come a un possibile precedente, i film delle origini erano puro intrattenimento; poi, col passare del tempo, le cose sono cambiate, e i cineasti hanno iniziato a toccare una varietà più ampia di soggetti.

Ecco, credo che i videogiochi siano appena arrivati a quel punto di svolta. Sono ancora perlopiù prodotti di intrattenimento, sì. Eppure, molti sviluppatori stanno iniziando ad affrontare tematiche difficili, mature. Immagino che in futuro i videogiochi legati a scenari storicamente complessi aumenteranno, e con loro il pubblico interessato.

Andrea Peduzzi: My Memory of Us parla della guerra, ma anche della necessità di attaccarsi alle piccole cose, ai giochi, per sopravvivere e restare uniti. Come avete evitato di far prevalere il dramma su questa scintilla di ottimismo?

Juggler Games: La miglior risposta possibile a questa domanda si nasconde in un esempio preso dal gioco. I ragazzini sono sempre ragazzini e, per quanto oscuro sia il mondo che li circonda, desiderano giocare. In un segmento di My Memory of Us, i giovani protagonisti contribuiscono a creare dei poster di propaganda e li attaccano sui muri del ghetto. La situazione è assai rischiosa, tuttavia a spingerli è una ricompensa: se finiranno il lavoro, riusciranno a mettere le mani su dei pattini da ghiaccio con cui divertirsi assieme. Sicuramente nel gioco ci sono molti elementi oscuri, ma l’amicizia che lega i protagonisti viene sempre come prima cosa. Rappresenta il loro scudo contro il male, e questa è stata anche la nostra prospettiva di racconto.

In My Memory of Us le meccaniche di gioco, spesso di tipo collaborativo, fungono da veicolo privilegiato per la storia.

Andrea Peduzzi: Artisticamente, il vostro gioco sembra davvero promettente, e il taglio grafico, per quanto fanciullesco, ha un suo retrogusto ombroso. Non è la prima volta che i videogiochi puntano su character design e atmosfere più o meno dissonanti: penso a Braid o ai titoli Playdead. Ciononostante, voi parlate più o meno direttamente della Shoah, per di più dal punto di vista di un ragazzino: non avete paura di venire fraintesi, o prestare il fianco a critiche?

Juggler Games: Non ci preoccupano eventuali critiche; anzi, siamo molto aperti al dialogo. Stiamo mostrando My Memory of Us pubblicamente da più di un anno, abbiamo ricevuto diverse valide osservazioni riguardo al gameplay. Le persone ci hanno segnalato i bug presenti nella demo ma non sono mai arrivate critiche rivolte ai contenuti che abbiamo scelto di rappresentare. Al contrario, tutti i tester si sono mostrati entusiasti per il fatto che qualcuno si sia preso il rischio di sviluppare un gioco del genere.

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Se solo avessi avuto Trailmakers da bambino...

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Old! #258 – Maggio 2008

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