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Quel sapore agrodolce che ti lascia Xenoblade Chronicles X

Quel sapore agrodolce che ti lascia Xenoblade Chronicles X

È tutta questione di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Tipo nel bel mezzo di un conflitto tra due avanzatissime razze aliene, che decidono di regolare i conti nell'orbita terrestre, riscrivendo le mappe stellari in seguito alla distruzione del nostro bel pianeta in un enorme fuoco d'artificio, già che c'erano. I pochi sopravvissuti diventano pellegrini tra le stelle a bordo di astronavi, portandosi sulle spalle il fardello di donare un futuro alla razza e alla cultura umana, vagando alla ricerca di un pianeta dove iniziare da capo; dopo un atterraggio d'emergenza, la nave White Whale trova qualcosa di apparentemente ideale su Mira, un gigantesco ecosistema adatto alla colonizzazione.

Mira, del resto, è il vero protagonista di Xenoblade Chronicles X; lasciate perdere l'avatar che il gioco chiede di creare inizialmente, non è con lui che svilupperete empatia. Sempre silenzioso, se non fosse per qualche ordine sbraitato durante i combattimenti, Cross (è il suo nome base) non va incontro a significative evoluzioni durante i dodici capitoli del gioco, restando dall'inizio alla fine un guscio vuoto attorno a cui si svolgono fatti ben più grandi di lui. Mira, invece, è qualcosa di differente, con la sua mappa smisurata, i suoi continenti diversi l'uno dall'altro e un'attenzione al dettaglio maniacale. Anche i più ostinati detrattori della console Nintendo rischiano di restare a bocca aperta, mossi i primi passi in un mondo alieno tanto affascinante; formazioni rocciose impossibili, foreste lussureggianti, tempeste di sabbia in deserti sconfinati e una fauna che ti ipnotizza, con forme di vita aliene affascinanti e credibili nei loro comportamenti. Si muovono in branco, si abbeverano, mangiano e dormono a seconda dell'orario, durante un ciclo giorno/notte che scioglie senza sforzo anche il cuore più cinico. Aurore boreali, arcobaleni dopo una tempesta o effetti particellari sullo sfondo di un cielo con lune e pianeti che promettono chissà quali altre avventure sono alcuni dei tocchi di classe in un mondo dove ogni luogo è raggiungibile. Magari non inizialmente, quando ci si muove a piedi, limitati negli spostamenti e sempre sul chi vive, facendo attenzione alle belve e ai loro diversi tipi di aggro.

Il gioco ama mischiare il bestiario, facendo convivere nemici di livello assai differente, costringendo Cross e compagni a sgattaiolare fuori dal cono visivo di un torreggiante bestione che, maledetto, ha deciso di farsi un giro in una zona fino a quel momento tranquillamente gestibile. L'imprevisto si sposa divinamente con un layout delle mappe piuttosto arzigogolato, creando momenti bellissimi in cui si avanza con circospezione alla ricerca di un passaggio che pare inesistente, solo per svelare un nuovo dungeon o l'ennesimo panorama mozzafiato. Mira è stupendo, il mondo dove vorrei andare in vacanza durante le prossime ferie e, senza di lui, probabilmente Xenoblade Chronicles X perderebbe la sua ragione di esistere.

I panorami di Mira varrebbero da soli il prezzo del gioco.

I panorami di Mira varrebbero da soli il prezzo del gioco.

Dopotutto i giochi di ruolo di Tetsuya Takahashi hanno quasi sempre qualcosa fuori posto, è un po' il loro marchio di fabbrica. Xenogears aveva tutti i numeri per essere una bomba: il marchio Squaresoft in copertina, un sistema di combattimento intelligente, robot giganti, presentazione audiovisiva splendida e una trama matura. Poi arrivava il secondo CD e ti chiedevi quale stregoneria avesse trasformato un gioco bellissimo in una visual novel che non voleva nessuno. Xenosaga, d'altro canto, non reggeva la sua stessa ambizione, risultando estremamente dilazionato, verboso e con personaggi carismatici quanto una lattina di fagioli, mentre Xenoblade Chronicles riusciva sorprendentemente a portare a casa il risultato,  accontentando tutti. Non per nulla formava, assieme a The Last Story e Pandora's Tower, la sacra triade dei giochi di ruolo nipponici imperdibili nella scorsa generazione, talmente imprescindibile da rendendo il bistrattato Wii la macchina da avere assolutamente per gli amanti del genere.

Fin dalle prime battute, la differenza con il suo seguito spirituale qui recensito è lampante: i Mechon erano dei bastardi sadici che amavi odiare, quella morte lì verso l'inizio dell'avventura non se l'aspettava nessuno e il viaggio di Shulk e compagni era praticamente dovuto, per pareggiare i conti con dei nemici che avevano davvero superato il limite. La trama di Xenoblade Chronicles X si trascina invece lenta e priva di mordente, con nemici che si ricordano di timbrare il cartellino per fare veloci comparse e poi andare in ferie, sperando che si ricordino di farsi vivi più avanti; decisamente alla Monolith Soft non hanno imparato nulla da SHODAN. Il gioco su Wii aveva una potenza narrativa ed emotiva notevole, supportata anche da personaggi azzeccati come Sharla, mentre qui ci sono un paio di colpi di scena neppure eccessivamente emblematici, e i singoli capitoli durano poco più di mezzora l'uno, aprendo e chiudendo in fretta e furia parentesi narrative che non hanno la forza di mantenere alta l'attenzione.

Questo, però, non significa che il gioco sia di scarsa durata, anche volendo correre a testa bassa verso i titoli di coda: ogni capitolo può essere iniziato solo soddisfacendo apposti prerequisiti, come il raggiungimento di un certo livello, il completamento di missioni opzionali o l'esplorazione di una determinata percentuale di Mira. Potrebbe (a ragione) sembrare un espediente per allungare il brodo più del dovuto, ma va detto che Xenoblade Chronicles X preferisce platealmente l'aspetto ludico alla narrazione, con le lande di Mira divise in una moltitudine di settori, ognuno con un compito da portare a termine. Che questo sia l'estrazione di risorse in seguito all'istallazione di sonde, la scoperta di qualche reliquia rara o l'eliminazione di un Tyrant, ovvero nemici d'elite particolarmente resistenti, l'esplorazione procede di pari passo con lo sviluppo dei Blade. Questi sono un gruppo militare in cui Cross viene arruolato inizialmente senza troppe cerimonie, appena svegliato dall'animazione sospesa che porta in dote la classica amnesia di rito, senza la quale non sei nessuno, nel mondo dei giochi di ruolo.

Un rango Blade superiore migliora parametri come archeologia e meccanica, indispensabili per installare sonde nei territori più ostili o depredare le risorse più pregiate, mentre l'uso continuo di specifiche marche di armi o armature permette ai produttori di mettere sul mercato equipaggiamento sempre migliore. A questo si aggiunge l'aspetto online del gioco, probabilmente il motivo per cui Cross è inizialmente un pupazzo privo di carattere e fascino; un po' come avveniva in quella zozzeria di White Knight Chronicles di Level 5, e questo è un paragone che non avrei mai voluto tirare fuori, nemmeno per un gioco scritto dal mio peggior nemico. Gli avatar dei singoli giocatori possono essere reclutati in cambio di una somma di denaro che varia in base alla differenza di livello,  e il gioco genera missioni che prevedono l'obliterazione di un certo numero di nemici o la raccolta di determinati materiali, con ricompense per chi contribuisce attivamente. A queste si sommano anche le Global Nemesis, mostri difficilissimi che appaiono settimanalmente, la cui sconfitta richiede il contributo dell'intera Blade Squad, il gruppo di 32 giocatori in cui ci si ritrova dopo aver scelto di giocare online. Oppure abbiamo missioni di gruppo à la Monster Hunter, con un numero di belve da polverizzare in un breve periodo di tempo, da soli o con un gruppo di giocatori umani reclutato sul momento, da iniziare attraverso un portale nei pressi della console/bacheca delle missioni che conduce in un'istanza dove avverrà la caccia, in maniera assolutamente identica al best seller Capcom. Tutto bello, ma non puoi toglierti dalla mente quella sensazione che, senza tutta la fuffa online, i piatti protagonisti, cintura nera nella nobile arte della stereotipazione, sarebbero stati caratterizzati meglio e, di riflesso, anche buona parte della trama, a vantaggio del coinvolgimento.

Equilibrio, a questo gioco manca equilibrio.

Uno dei nemici consulta l'agenda e decide di farsi vivo dopo un'assenza di parecchie ore. L'avevo quasi dimenticato.

Uno dei nemici consulta l'agenda e decide di farsi vivo dopo un'assenza di parecchie ore. L'avevo quasi dimenticato.

C'è comunque sempre qualcosa da fare, su Mira, e il GamePad di Wii U viene incontro all'indaffaratissimo Cross con un sistema di viaggio rapido particolarmente indolore, che permette di spostarsi da un lato all'altro del pianeta con un paio di click. È uno strumento indispensabile, con cui addirittura installare sonde speciali su territori già reclamati in maniera remota, denaro permettendo, oltre a informare in anticipo sulle missioni presenti nelle varie aree e i prerequisiti per affrontarle. Questo, assieme a qualche accorgimento, rende la metabolizzazione delle missioni secondarie un'esperienza meno caotica e un attimo più appagante, rispetto a quanto sperimentato nell'avventura di Shulk. Quelle di disinfestazione sono ora guidate da indicatori che mostrano l'area in cui trovare i bersagli del caso, mentre i legami tra i vari personaggi vengono sviluppati in micro avventure con tanto di dialoghi, combattimenti e boss, ottime per chiarire il passato dei vari protagonisti e guadagnare qualche abilità esclusiva, impossibile da apprendere altrove. La tremenda fregatura sta nell'impossibilità di abbandonarle una volta iniziate: se hanno obiettivi noiosi tipo la ricerca di determinati oggetti (ci arriviamo tra un attimo), non si può far altro che stringere i denti e portarle a termine, costi quel che costi.

Perché la seccatura somma, anche stavolta, è rappresentata dalle missioni di ricerca, che richiedono la raccoltadi materiali che potrebbero essere ovunque. Le terre di Mira sono costellate di oggetti che aspettano di essere raccolti, e il gioco non tiene traccia della loro posizione, o quasi. Sì, c'è un'apposita sezione con l'elenco dei nemici sconfitti e delle risorse già recuperate, ma la catalogazione non scende nel dettaglio; non serve a nulla sapere che l'elusiva Zucca Gi Dou (ricordatevi questo nome, perché vi farà inalberare parecchio) è stata raccolta in Oblivia, perché ogni continente si estende per un'area sconfinata, costringendo il giocatore alla ricerca del proverbiale ago nel pagliaio.

Il sistema di combattimento è pressoché invariato rispetto al precedente Xeno, con il posizionamento attorno al nemico indispensabile per massimizzare il danno e innestare combo a base di sbilanciamenti, atterramenti e alterazioni di stato. Ci sono però un paio di differenze fondamentali: la prima è che non è più possibile prendere il comando dei compagni di squadra, ma fortunatamente Cross può scegliere quale classe intraprendere da un diagramma ad albero, sviluppando un personale stile di combattimento. Con la pressione di un tasto si alternano le armi corpo a corpo a quelle da fuoco, per coprire meglio la distanza dal bersaglio, abilitando l'uso di tecniche a corto raggio e a distanza in base allo strumento equipaggiato.  Con le classi è quindi possibile imboccare la strada più congeniale, scegliendo se focalizzare l'evoluzione marziale di Cross su scontri all'arma bianca lenti ma letali, sulla padronanza di fucili e mitra, oppure optare per carriere più bilanciate. I progressi nella classe intrapresa fruttano tecniche da usare attivamente in combattimento, attendendo cooldown a più livelli per i quali un'attesa maggiore garantisce attacchi più efficaci, assieme alle abilità, bonus passivi da equipaggiare in numero limitato. La seconda differenza, ben più lampante, sta nell'assenza di guaritori e tecniche mediche, sostituiti dalle urla di guerra.

In pratica, durante i combattimenti, i compagni suggeriranno continuamente il tipo di attacco da sferrare, ricompensando chi sa ascoltare con iniezioni di punti ferita per tutto il gruppo. Da una parte questo permette di dedicarsi completamente all'attacco, rendendo gli scontri più dinamici; dall'altra è come essere seguiti sempre da un guaritore invisibile piuttosto capriccioso. I combattimenti più impegnativi devono quindi essere condotti in modo bizzarro, stando sempre attenti alle richieste dei compagni in modo da garantire il costante supporto curativo, mettendo in secondo piano la libera scelta delle tecniche da usare, con l'impressione di non essere sempre al comando della situazione. Scoccia anche vedere il touch screen inutilizzato durante gli scontri, un'occasione mancata che mi aveva indispettito all'epoca del remake di Xenoblade su 3DS.

Poi, dopo una ventina di ore circa, il gioco permette finalmente di mettere le mani sul primo Skell, ovvero uno dei robot che hanno accompagnato il marketing di Xenoblade Chronicles X praticamente da sempre. Sono disponibili in tre diverse taglie, con i valori di attacco, arsenale e consumo carburante ben distinti, e tutti picchiano come una gilda di fabbri. Possono portare in battaglia fino a otto tipi di arma, ognuna corrispondente a una tecnica da usare in maniera del tutto simile a quanto accade nel combattimento appiedato, ma vantano un paio di assi nella manica. In primis la trasformazione veicolare, che garantisce un massiccio incremento della velocità negli spostamenti. Questa, assieme alla maggiore elevazione nei salti, rende l'esplorazione delle mappe molto più semplice, perché la rinnovata mobilità permette di scappare rapidamente dai nemici allertati e viaggiare in zone pericolose senza il rischio di finire nel menu di bestie insormontabili.

Gli Skell (Doll, nell'edizione giapponese) consumano carburante solo durante i combattimenti e il volo, in seguito all'acquisizione dell'apposito modulo. Tuttavia le riserve sono massicce ed è parecchio difficile rimanere a secco.

Gli Skell (Doll, nell'edizione giapponese) consumano carburante solo durante i combattimenti e il volo, in seguito all'acquisizione dell'apposito modulo. Tuttavia le riserve sono massicce ed è parecchio difficile rimanere a secco.

Nei combattimenti possono generare campi di forza che immobilizzano gli avversari, drenandone l'energia e aumentando le vulnerabilità a vantaggio del resto della squadra, e casualmente attivano il cockpit mode, un momento bellissimo e colmo d'amore in cui si assiste alla lotta dalla cabina di pilotaggio, durante il quale i cooldown di tutte le armi vengono immediatamente resettati e si urla "CHANGE GETTER!" alla televisione, chiamando la moglie per mostrarle l'attimo di libidine robotica, mentre la poveraccia si chiede perché abbia rifiutato la proposta di quel pilota di elicotteri brasiliano. Gli Skell sono bellissimi, sia da pilotare che da vedere, e il fatto che si ottengano dopo parecchio tempo conferisce quella sensazione di progressione che rinnova l'interesse negato dalla narrazione e dalla piattezza delle missioni secondarie, anche se, va detto, i considerevoli vantaggi che portano sono tali da rendere quasi insignificanti i progressi conquistati con fatica nella classe scelta prima della loro acquisizione. Una volta provato il primo Skell è quindi difficile tornare indietro, e l'idea di trasformare la truppa in un plotone meccanizzato è mitigata solo dal prezzo fuori parametro dei robot. Visto il salasso, è bello sapere che i giganti d'acciaio possono quantomeno essere personalizzati nei colori e nel nome; nel caso ve lo stiate chiedendo, "Weltall" non attiva nessuna gabola.

Xenoblade Chronicles X è un bel gioco, ma non bello come avrei voluto. L'assenza di una trama appassionante va a braccetto con un protagonista blando come pochi e, nonostante tutto l'impegno, le fetch quest rimangono una rottura di scatole per Cross, così come lo erano per Shulk. C'è anche una notevole discrepanza tra gli splendidi panorami di Mira e le strutture terrestri di Neo Los Angeles, la città ricavata dalla White Whale che funge da base operativa. Qui la natura cede il passo a strutture asettiche e squadrate che sembrano - orrore! - riciclate da un capitolo qualsiasi di Xenosaga, mentre l'audio di Hiroyuki Sawano, quasi inattaccabile durante l'esplorazione, crolla a picco con colonne sonore dal timbro hip hop che sfiorano la cacofonia. Tra le metalliche mura dell'unica città umana, si manifestano anche momenti che fanno cadere le braccia in modo disarmante, con Cross e soci che attraversano auto e camion in movimento come se fossero apparizioni spettrali. L'abbondanza di contenuti è una gran cosa insomma, ma può spingerti a fare qualche passo falso, mettendo a rischio aspetti più o meno critici; non sarò certo io a lamentarmi davanti a così tante cose da fare per garantire un futuro alla razza umana, tuttavia le critiche sollevate durante la recensione mi hanno in parte infastidito e, purtroppo, annoiato più di una volta.

È proprio vero che non tutti gli Xenogiochi escono col buco.

Ho giocato a Xenoblade Chronicles X con un codice ricevuto da Nintendo Italia e ho scaricato i venti giga del gioco con un'attesa indescrivibile, mettendo la sveglia alle quattro di sabato mattina, ovvero l'orario in cui la Wii U prevedeva la fine del download. Poiché parliamo del gioco che attendevo di più nel 2015, ho accumulato oltre venti ore di gioco in due giorni, arrivando poi al termine dell'avventura impiegando oltre cinquanta ore, dilazionate durante i giorni lavorativi, quando non hai tanto tempo da dedicare ai videogiochi, mannaggia. Come al solito, se acquistate il gioco (o qualsiasi altra cosa) su Amazon passando dai seguenti link, una piccola percentuale di quello che spendete andrà a noi, senza alcun sovrapprezzo per voi. Se volete procedere su Amazon Italia dirigetevi qui, se preferite Amazon UK puntate qui.

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