Outcazzari

Una chiacchierata con Florent Maurin, da Se mi ami, non morire ai cortocircuiti delle bussole morali

Una chiacchierata con Florent Maurin, da Se mi ami, non morire ai cortocircuiti delle bussole morali

Si è già detto da queste parti di IVIPRO DAYS 2019, evento tenutosi in quel di Ferrara lo scorso settembre su organizzazione dell’Italian Videogame Program. Lì, tra le altre cose, ho avuto la possibilità di fare una lunga chiacchierata con Florent Maurin, fondatore dello studio parigino Pixel Hunt e autore del bellissimo Se mi ami, non morire, che pure ho recensito qui su Outcast quando ancora ci sporcavamo le mani. Se avete zero voglia di seguire il link, ricordo che il gioco è un dramma interattivo nato su dispositivi mobile, più recentemente sbarcato anche su PC e Switch, che prende a prestito le dinamiche dei Lifeline per raccontare la storia di Majd e di sua moglie Nour, alle prese con la migrazione.

Maurin, al netto delle tante esperienze maturate nell’ambito dei serious game, nasce come giornalista, e ha sviluppato Se mi ami, non morire partendo dalla cronaca del viaggio della profuga Dana S., raccontato da Lucie Soullier su Le Monde attraverso l’articolo De la Syrie à l’Allemagne, carnet de route d’un exil. Del gioco, a suo tempo, scrissi benissimo, e sono ancora dell’idea che contenga alcuni tra i dialoghi interattivi più efficaci che mi siano passati davanti.

Florent Maurin con il premio Best Emotional Mobile Game agli Emotional Games Awards del 2018.

Di seguito, potete leggere la trascrizione della mia chiacchierata con Florent, in cui, tra le varie cose, riflette sull’opportunità di adoperare il linguaggio dei videogiochi nell’ambito dell’informazione e della cronaca, su come far funzionare i dialoghi interattivi, e soprattutto sui rischi che saltano fuori quando il game design mette le zampe sulla morale comune. Buona lettura!

Perché hai scelto di raccontare una storia complessa come quella di Nour e suo marito Majd, e perché proprio attraverso un’esperienza interattiva?

Partiamo dall’inizio. Quando nel 2011 ho fondato il mio studio, The Pixel Hunt, tra i vari obiettivi c’era quello di mostrare alla gente che il videogioco è un medium dalle possibilità impressionanti e con i piedi ben piantati nel presente.

Prima di mettere su lo studio, ho lavorato per anni come giornalista, occupandomi tra le altre cose di editoria digitale e per l’infanzia. All’epoca, amavo creare esperienze interattive indirizzate ai bambini, per provare a farli ragionare su problemi complessi. E le adoravano. Adoravano la possibilità di interagire con i vari argomenti, di manipolarli.

Lì mi sono fatto questa idea del videogioco come strumento buono a stuzzicare interrogativi, diversamente da altri che si limitano a esporre questo o quel discorso. Quando leggiamo un pezzo su un quotidiano o una rivista, ad esempio, il nostro atteggiamento è principalmente passivo, proprio per questioni specifiche del medium. Non è possibile interrogare un articolo o un film, perché non sono contenuti interattivi in senso stretto. I videogiochi, invece, lo sono, e questo li rende strumenti molto potenti per elaborare problemi complessi.

Se ci pensi, tutti quanti impariamo buona parte delle nozioni in nostro possesso attraverso le attività ludiche, da bambini, salvo poi smettere di giocare da un certo punto in avanti, senza una ragione precisa, se non che “si cresce”.

Considerare il gioco come un’attività da ragazzini è un pregiudizio di natura sociale, e in questo senso credo che noi sviluppatori dovremmo metterlo in discussione, creando esperienze buone anche per gli adulti e mettendo le meccaniche ludiche al servizio di tematiche complesse. Per questo ho deciso di fondare un mio studio di sviluppo e sempre per questa ragione ho deciso di raccontare il fenomeno della migrazione dalle zone dell'Africa e del Medio Oriente, verso l'Europa.

L’esordio di Pixel Hunt nei serious game avviene nel 2011 con Primaires à gauche: jouez votre campagne, realizzato per Le Monde, che permette al giocatore di pasticciare con le Primarie socialiste tenutesi in Francia nello stesso anno (lo trovate ancora online, qui).

Nonostante la questione sia ogni giorno al centro dei canali di informazione, ho notato che i migranti vengono narrati quasi sempre in termini di gruppo, mentre la misura più ricca del racconto è probabilmente quella individuale: storie di persone che finiscono per mettersi in viaggio a causa di circostanze più grandi di loro. “Questo è qualcosa di cui vorrei parlare”, mi sono detto, “e credo che il modo migliore per farlo sia attraverso l'interazione”.

I videogiochi mainstream hanno questa tendenza a glissare sulla storia contemporanea e sulla politica, o eventualmente a gestirle attraverso la dimensione metaforica. Tu, da giornalista, cosa pensi che avrebbero da offrire i media interattivi al mondo dell’informazione e all’analisi del presente?

Provo a risponderti con un esempio: all’indomani di un’importante partita di calcio, i notiziari di solito riportano il risultato, le statistiche, le dichiarazioni dei giocatori e degli allenatori, cose così. In pratica, si concentrano sul “cosa”. Diversamente, un simulatore manageriale calcistico – sempre per restare nell’esempio - ti mette nella condizione ideale per comprendere soprattutto il “come”, ed eventualmente il “perché”.

È proprio questo l’aspetto dei videogiochi che mi affascina di più, la loro efficacia nel modellare sistemi complessi. Giocando, è possibile osservare e sperimentare i meccanismi di causa ed effetto che determinano la natura delle cose e, nel caso dell’informazione, comprendere tutto quello che c'è dietro alla semplice notizia.

L'interfaccia whatsappara di Se mi ami, non morire.

Se mi ami, non morire (Bury Me, My Love) ha uno stile da bande dessinée. Considerato il racconto, durante lo sviluppo hai preso in considerazione un taglio più realistico, se non addirittura fotografico?

Sì, ci abbiamo pensato, ma non volevamo generare troppa confusione. Il viaggio di Nour è ispirato a una storia vera, OK, e in questo senso è realistico, ma la nostra elaborazione è pur sempre fiction. Quando il progetto era ancora nella sua fase embrionale, riguardo a questo argomento, mi sono trovato davanti a due strade possibili.

La prima: usare fotografie reali, scattate da giornalisti e reporter, e accordarle con le varie situazioni che avevamo in mente. Il problema è che mi sarebbe stato impossibile, a quel punto, non confrontarmi con la realtà delle immagini. Non farmi domande sulle persone raffigurate, chiedermi se fossero vive o morte. Partire da foto che non sono state scattate espressamente per il mio gioco mi avrebbe messo di fronte a una distorsione, impedendomi di lavorare serenamente.

L'altra possibilità sarebbe stata quella di utilizzare delle immagini scattate ad hoc, con tanto di attori e set, proprio come in un film. Ma per quanto tutte queste cose siano assolutamente normali per un regista, francamente, non mi mettono del tutto a mio agio, né mi mette a mio agio applicarle a un videogioco. Non so nemmeno spiegare il perché, immagino sia una questione di sensibilità personale. Così, ho finito per considerare lo stile da bande dessinée semplicemente il più adatto per me e per il taglio della mia opera, così a metà tra finzione e realismo.

L’interfaccia di gioco è davvero credibile, con mappa, emoticon e tutto il resto. Come avete lavorato, per realizzarla?

Sapevamo di partire avvantaggiati. Dal momento che l’applicazione di Se mi ami, non morire deve ricordare il più possibile i vari Telegram e WhatsApp, gli esempi a cui rifarci non ci mancavano. Il problema, semmai, è stato il lavoro sui contenuti: a sbagliarli, avremmo compromesso il vantaggio iniziale, perdendo tutto il realismo.

I dialoghi sono il tallone d’Achille di molti videogiochi, eppure quelli di Se mi ami non morire sono particolarmente efficaci per taglio e tempi. Come ti sei mosso, per portare a casa questo risultato?

Dal momento che il nostro concept si basa su una chat tra due persone, all'inizio, io e lo sceneggiatore Pierre Corbinais avevamo pensato di scrivere un personaggio ciascuno, gestendo il racconto come se fosse una versa comunicazione tra loro (e tra noi).

Presto, ci siamo resi conto che una procedura del genere, per quanto affascinante, rischiava di diventare troppo complicata per una produzione come la nostra, così ci siamo semplicemente divisi il racconto, senza discriminare per ruoli, cercando di renderlo il più realistico possibile e di far funzionare le conversazioni. Io ho curato all’incirca il venti per cento dei dialoghi, mentre Pierre l’ottanta per cento.

Ho avuto fortuna, a trovare Pierre: i dialoghi sono il suo talento speciale, scrive sempre delle cose che sembrano spontanee. Io, di contro, tendo spesso a esagerare con le spiegazioni, dimenticando che fra interlocutori molto vicini tra loro - e in questo caso abbiamo un marito e una moglie - molte cose sono ovvie e sottintese ed è inutile ribadirle troppo.

Una grossa fetta della sceneggiatura e dei dialoghi di Se mi ami, non morire si deve a Pierre Corbinais.

A livello formale, abbiamo tenuto conto di tutto ciò che può avvenire in una chat, anche dei typo. Se mi ami, non morire contiene un sacco di errori di battitura confezionati ad hoc, così come delle costruzioni che sembrano sabotate dal correttore automatico.

Come ho accennato, in sede di sviluppo ci siamo ispirati all’articolo pubblicato da Lucie Soullier su Le Monde, De la Syrie à l’Allemagne, carnet de route d’un exil, che ricostruisce il viaggio verso l’Europa di una migrante siriana proprio attraverso una chat. I messaggio scritti dalla protagonista del pezzo ci hanno aiutato a regolare tempi, lunghezza e gergo delle nostre conversazioni.

Visto che hai accennato all’articolo della Soullier, sia lei che la protagonista del viaggio, Dana S., hanno offerto la loro consulenza allo sviluppo del gioco. Come è stato partire da una storia così personale?

Noi abbiamo ascoltato la storia di Dana e l’abbiamo usata come spina dorsale per la nostra; alcune soluzioni di Se mi ami, non morire, in effetti, la ricalcano con una certa precisione. Contemporaneamente, ci siamo messi alla ricerca di articoli, storie e immagini su altre persone coinvolte in odissee del genere. Una volta messo assieme abbastanza materiale, abbiamo provato a sperimentare sui nostri personaggi le situazioni che ci avevano colpito di più, tenendo conto di tutta una serie di variabili logiche, di personalità e di contesto.

Una volta tracciato un cerchio, diciamo così, di elementi sensati e credibili, abbiamo ipotizzato il relativo sistema di reazioni. Chiaramente, Nour non è la stessa persona dell'articolo, eppure Dana ci ha aiutato molto nel costruire il comportamento della donna, aggiungendo solidità e coerenza al nostro racconto.

De la Syrie à l’Allemagne, carnet de route d’un exil si presenta così

È stato complicato bilanciare la componente didattica e didascalica di Bury Me, My Love, col background dei personaggi?

Non è stato difficile, dal momento che nel gioco non sono presenti contenuti di taglio specificatamente educativo. C’è tutta una serie di informazioni legate al cambio del denaro, ad esempio, o allo stile di vita di questa o di quell'altra parte del mondo, ma il taglio dialogico ci ha permesso di seminare tutte queste nozioni direttamente nel flusso, senza troppi problemi.

Non era nostra intenzione metterci in cattedra; d’altro canto, nella vita reale, ci si imbatte spesso in contenuti educativi anche quando non ci sono di mezzo insegnanti, ma semplicemente tastando il polso di questa o quell’altra situazione. In maniera spontanea, sfumata. La stessa che ha guidato il nostro gioco.

Così, non ci siamo presi troppe didascalie riguardo ai vari sottotesti sociali o culturali. Perlopiù, li abbiamo lasciati emergere proprio come la bussola morale dei personaggi, che non è necessariamente simile a quella del giocatore tipo europeo. A volte, Nour e Majd si comportano in maniera moralmente discutibile, oppure si lanciano in opinioni o commenti controversi. Stare da quella parte dello specchio potrebbe anche suonare un po’ strano, ma in fondo non siamo creature perfette, né la condizione di migranti rende necessariamente perfetti o simpatici i nostri personaggi. Se li avessimo scritti evitando i difetti, avremmo finito per disumanizzarli.

A questo proposito, in alcuni momenti dell’avventura ho consigliato Noir secondo la mia forma mentis di europeo della classe media e non sempre sono stato ricompensato dal gioco. Come avete lavorato per bilanciare l’apparato etico di Bury Me, My Love?

Come accennato, abbiamo cercato di impicciarci il meno possibile per non scivolare nel moralismo. Spesso, in questo tipo di giochi, le persone tendono a scegliere la via più gentile, convinti che sia la migliore, o la più proficua, mentre Bury me, my love non premia necessariamente la morale comune.

Attraverso le nostre meccaniche, non volevamo discriminare tra “buoni migranti che fanno la cosa giusta”, e “cattivi migranti che fanno quella sbagliata”, ma parlare di esseri umani in una situazione fuori dall’ordinario. Per fare un esempio: quando a un certo punto Nour si trova sul confine tra Turchia e Bulgaria, attraverso il giocatore, è chiamata a scegliere se stare appresso a una madre col suo bambino o seguire il gruppo più forte e veloce per passare il confine. La scommessa etica più ovvia sarebbe quella di stare a fianco della madre: il bambino è piccolo, indifeso, e potrebbe aver bisogno di aiuto. Eppure, a seguire quella spinta c’è il rischio di infilarsi in situazioni molto pericolose.

Noi non abbiamo voluto insistere sulla morale, ma mostrare come certe situazioni non tengano conto delle intenzioni. Affrontare tutte le scelte con la bussola da middle-class europea è completamente inutile, soprattutto quando le cose iniziano a farsi davvero dure.

Altro esempio: a un certo punto, Nour ruba un passaporto a una donna italiana. Sembra proprio un’azione sbagliata o brutta, dal nostro punto di vista, e probabilmente lo è. Tuttavia, quando c'è in ballo la sopravvivenza, non è facile dire cosa sia giusto o sbagliato, perché entrano in gioco meccaniche egoistiche. In Se mi ami, non morire, a volte, le azioni gentili conducono verso esiti positivi, altre volte no; altre ancora, mancano proprio gli strumenti per anticipare le conseguenze, come nella realtà.

A proposito della bussola morale, il filosofo francese Vladimir Jankélévitch ha scritto che quando si sceglie di seguirne la via, lo si dovrebbe fare per questioni di dignità, non in termini di investimento. Non puoi né devi aspettarti di essere ripagato da come ti comporti. In termini più ampi, non puoi decidere cosa sia morale o no a priori, dal momento che azioni e condotte che sembrano assolutamente positive possono generare conseguenze negative, e viceversa. Per questo, nel gioco abbiamo cercato di evitare i punti di vista netti: spesso non c'è controllo sulla morale e sull'etica. Tornando al furto del passaporto di prima, anche assumendo che sia sbagliato, potremmo supporre che la donna italiana, alla brutta, potrebbe sempre rivolgersi al consolato per farsi rilasciare un nuovo documento, mentre per Nour la questione è di vita o di morte. Oppure no! Magari anche l'italiana potrebbe trovarsi in uno stato di particolare emergenza, almeno per quanto ne sa il giocatore. Ripeto, le variabili in ballo sono moltissime, è complicato bilanciare in assoluto la morale di una storia, così abbiamo deciso di farci da parte il più possibile.

Di recente, Florent Maurin ha approfondito il discorso sulle scelte morali collaborando alla fiction interattiva La Morale de l’histoire, che potete sperimentare, tipo, adesso, facendo un salto a questo link.

Dal momento che sono maschio ed eterosessuale, giocando mi sono trovato dalla “parte giusta” della chat e mi è venuto facile empatizzare con Majd. Hai mai avuto dubbi sul senso e l’efficienza dell’esperienza, se sperimentata dal punto di vista di una donna?

Sì, quella è una domanda che ci siamo posti, e ogni eventuale risposta ci è sembrata complicata a prescindere dal mezzo. In letteratura non sempre capita di trovarsi a proprio agio nei panni del/della protagonista, ma se il racconto è sufficientemente buono, l’empatia può scattare comunque. Allo stesso modo, speriamo che la nostra storia, a prescindere dal punto di vista dominante attivo, sia abbastanza universale da agganciare il maggior numero di persone possibile.

Alcune giocatrici che conosco mi hanno riferito di aver trovato Majd, a seconda dei casi, sexy, geloso o semplicemente stronzo. Tutte, però - e nessuna di loro è omosessuale - si riferivano a Nour come a "mia moglie", confermandomi di essere entrate nella storia.

La nostra scelta è più che altro figlia dell’articolo che ci ha guidato e della volontà di raccontare queste migranti donne che partono da sole, lasciando la famiglia in Siria. Essere un migrante è complicato, essere una donna in una situazione del genere lo è ancora di più. Semplicemente, la storia ci sembrava più interessante così.

Un’ultima domanda: qual è stato l’ultimo gioco che ti ha colpito, e perché?

Direi Astrologaster, di Nyamyam, che gira attorno a questo medico nell’Inghilterra del sedicesimo secolo che cura i pazienti basandosi sull'osservazione delle stelle. Al di là che trovo il gioco bellissimo e ben raccontato, ha questo tocco esotico nell’esplorare una cultura molto diversa dalla mia - perlomeno a livello temporale - che non conoscevo affatto.

Star Wars per NES! | Racconti dall'Ospizio

Star Wars per NES! | Racconti dall'Ospizio

Altro che Rogue One, i piani della Morte Nera li avevamo recuperati in Star Wars: Dark Forces  | Racconti dall'ospizio

Altro che Rogue One, i piani della Morte Nera li avevamo recuperati in Star Wars: Dark Forces | Racconti dall'ospizio