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ZX Fragrance: il profumo del mio Spectrum | Racconti dall'ospizio

ZX Fragrance: il profumo del mio Spectrum | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Ricordo numero uno: una luce fioca nella cucina dei miei nonni. Discussioni animate di fronte a vari depliant. Non seppi cogliere il contenuto della discussione né capire cosa c’era stampato su quei volantini, ma ho subliminalmente scattato una fugace fotografia mentale che poi ho messo a fuoco solo anni dopo. C’era un Vic-20, su uno di quei fogli colorati.

Ricordo numero due: si avvicina Natale, sono in un’età in cui con i fratelli piccoli ancora si tenta di mantenere l’illusione della magia natalizia di gesubambini e babbinatale. Ma in qualche modo noi si riusciva sempre a scovare il punto della casa dove i regali venivano nascosti, e taac, addio sorpresa. Quell’anno, dal nascondiglio saltò fuori una scatola di cartone, con dentro un guscio di polistirolo, e dentro un computer.

Una scatola come questa (ma io avevo la versione 16 Kb).

Evidentemente c’erano voluti interventi di tutta la famiglia per poter accumulare il budget necessario per farmi fare il salto nel mondo dei computer. La passione l’avevo da quando ne ho memoria, e a quel punto, a dodici anni su per giù, il boom dei computer da casa era ormai fortissimo. C’era il Vic-20, il Commodore 64 e poi c’era Sir Clive con i suoi curiosi computer. Ovviamente non era un momento storico in cui potevi sapere tutto di tutto di quello che il mercato offriva, io già mi facevo acquistare qualche rivista, ma ovviamente… erano altri tempi, e i computer venivano ancora vissuti in gran parte come macchine da lavoro super complesse, enormi, rigorose e noiose.

Non per me, che potevo passare ore al pomeriggio a guardare il televideo (quando ci riuscivo, il segnale era quello che era) solo perché era “fatto con il computer”. O potevo restare parcheggiato per ora davanti alla vetrina di un negozio di dischi della mia città perché c’era un televisore a cui era attaccata la demo di un TI-99 4/A, in loop continuo. E la conoscevo a memoria.

Curiosamente, però, il primo computer che ho visto davvero da vicino era proprio uno dei prodotti della geniale mente di Sir Clive Sinclair. Uno ZX81 (a proposito, qui trovate un librodrome a tema), mostrato dal professore di matematica di una delle scuole medie che, nel corso della quinta elementare, eravamo andati a visitare. Un po’ come oggi, c’era la corsa all’acquisto degli studenti, perché dove andavo a scuola io, nonostante si trattasse di una cittadina molto piccola, le scuole medie erano due. E quel professore ci mostrò quel computer e le sue strabilianti capacità, forse per darci una spintarella in più. Peccato che nella sua scuola media si studiasse solo francese e non inglese… .

Sì, la tastiera di gomma dello Spectrum rappresentava in realtà un netto passo in avanti rispetto a quella a membrana dello ZX81… .

La scatola, dicevo. Penso di ricordare ogni secondo del mio “unboxing”, per dirla con i termini di oggi: da quando l’ho avuta in mano a quando ho posato il mio Spectrum sulla scrivania. Ogni angolo, ogni colore, le sensazioni tattili della cover di cartone liscia, che faceva un contrasto pazzesco con la ruvidità del guscio di polistirolo che conteneva computer, cavetteria e, ovviamente, manuali. Il guscio si apriva attraverso un coperchio superiore, che rivelava il computer, posizionato subito lì, in alto, immediatamente visibile. Un’esperienza che Steve Jobs avrebbe codificato anni dopo per i suoi device, perché anche l’esperienza di aprire la confezione è importante, e aveva ragione.

Quell’esperienza l’ho rivissuta centinaia e centinaia di volte, perché il computer lo riponevo sempre nel suo guscio, dopo averlo usato. E ogni volta che lo aprivo, arrivava un profumo particolarissimo. Certo, con il tempo andava ad affievolirsi, ma il mio Spectrum aveva una sua fragranza specifica. Un odore che ancora adesso mi torna alla memoria, e mi solletica un sacco di ricordi curiosi. Guarda caso, è anche questa un’esperienza molto “Apple”, e chiunque abbia aperto la confezione sigillata di un Mac sa di cosa sto parlando.

I ricordi sono curiosi perché in fondo, parliamoci chiaro, lo Spectrum non era un gran che. La sua tastiera di gomma con i tasti multifunzione e i cursori che determinavano cosa sarebbe successo alla pressione, beh, erano un po’ un casino da padroneggiare per chi era completamente alle prime armi. Però il basic era semplice, non ci volle molto per cominciare a produrre - e riprodurre - piccoli listati, da salvare poi con grande fatica su musicassetta. E i videogiochi?

I giochi potevano contare solo su sprite monocromatici e c’era quindi un conflitto di colori quando se ne sovrapponevano due: il colour clash.

Ovviamente il computer veniva acquistato dalle famiglie “per la scuola”, ed era una bugia solo a metà, almeno nel mio caso: con lo Spectrum ho certamente imparato i rudimenti della programmazione, che non mi sono poi serviti per farne un mestiere, ma certamente per apprendere le logiche di come funzionano le cose. Ho fatto le prime cose semplicissime a livello di “grafica”, editando alcune schermate di quelle che venivano costruite progressivamente durante i caricamenti dei programmi, da cassetta. Ho avuto la percezione di come l’informazione avrebbe potuto diventare digitale, grazie a iniziative come Run, un’avveniristica rivista su nastro di cui ho parlato, tra le altre cose, in questo articolo su IGN Italia.

Insomma, non erano solo giochi, anche perché i giochi poi, complici i limiti della macchina, non erano proprio il Bread & Butter del computer di Sir Clive. In termini di idee e di design, nulla da dire: Head over Heels, Jetpac, Manic Miner, Pijamarama, Jet Set Willy erano divertenti, e il limite del colour clash, giocando su un TV in bianco e nero, lo avvertivo piuttosto poco… Però i controlli erano obiettivamente complicati. Senza una porta joystick, l’esperienza ludica di Spectrum si basava nuovamente sulla infida tastiera di gomma, troppo imprecisa per poter ambire a esperienze arcade davvero appaganti, al di là delle capacità tecniche del computer. Andava meglio con le avventure - testuali, ovviamente: ho conosciuto Tolkien grazie a una copia di The Hobbit inclusa nel kit di espansione di memoria da 16 a 48 Kb che mi regalarono il Natale successivo. Non sapevo chi fosse questo Gandalf che a un certo punto andava a Est o questo Thorin, lo scoprii pochi mesi dopo pescando, ricordando il titolo del gioco, il libro dalla biblioteca di classe… e fu l’inizio di una nuova, splendida avventura.

“Soulslike my ass”.

Proprio la voglia di superare i limiti videoludici fu quello che portò alla dipartita del mio profumatissimo Spectrum. Convinti i genitori ad acquistare un’interfaccia joystick, che funzionava in emulazione tastiera con tanti pin da collegare su una matrice per fare in modo che a ogni direzione / pulsante corrispondesse un tasto premuto, le cose cominciavano ad andare meglio, ma… per molti motivi (dimensioni, impossibilità di riporre il computer nel suo guscio, ormai semidisastrato) l’interfaccia la scollegavo ogni volta. E magari non mi ricordavo di attaccarla a computer spento, prima di accenderlo e far partire un lungo caricamento. A quel punto, per non ripartire da capo con caricamenti a volte lunghi anche più di 20 minuti, ci provavo. Collegavo l’interfaccia a computer acceso, cercando di fare molta attenzione a inserire il connettore posteriore a pettine nel modo giusto. Ha funzionato per un po’ di volte, poi inevitabilmente il mio Spectrum si è piantato, bloccato sulla schermata iniziale di un gioco dedicato al Camel Trophy, per non tornare mai più in vita.

Era comunque tempo di cambiare, di fare un salto verso qualcosa di più performante. Vennero poi il Commodore 128, l’Amiga (ah, che incredibile storia d’amore), il primo PC seguito da un numero innumerevole di aggiornamenti, le console, i Mac. Vennero e sostituirono senza tante cerimonie quello che andavano a sostituire, Spectrum compreso, perché a dispetto di quello che potrebbe sembrare da questo e altri articoli da vecchio scorreggione che ho scritto qui e là, sono tutt’altro che nostalgico. Resta, nei confronti dello Spectrum, l’affetto per “la prima volta”, per quel computer che gli amici non capivano del tutto con i loro “Come si spara?”, per quella che era in fondo la promessa di un futuro che, con un po’ di pazienza, sarebbe arrivato in… qualche decina di anni, e che oggi ci troviamo di fronte tutti i giorni. Sì, anche grazie allo Spectrum.

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