Outcazzari

Thumper è un dolore al quale mi sono piacevolmente abituato

Thumper è un dolore al quale mi sono piacevolmente abituato

Descrivere Thumper è difficile. Raccontarlo pure. Innamorarsene invece è facilissimo. Così come il concept dietro al gioco: uno scarafaggio tutto cromato, come una motocicletta 10 accapì, corre senza freno su una sorta di monorotaia psichedelica che si inalbera e si articola nel nulla più assoluto, mentre il giocatore deve evitare ostacoli o colpire un pulsante in prossimità di alcuni punti luminosi. Tutto qua. Sì. E se a leggere queste parole non cogliete quanto figo sia il gioco, vi comprendo.

Perché tra un kick di batteria e un punch in faccia quando lo scarrafone esplode di fronte a un ostacolo, la bellezza di Thumper è all in the mind, dove avviene quella cosa strana chiamata “sinestesia”. Quando insomma ciò che si para davanti ai vostri occhi e pompa nelle vostre orecchie si armonizza con ciò che fate tasteggiando tasti sul pad ritmicamente, con le pupille che si dilatano e la concentrazione che viene totalmente rapita da ciò che avviene a schermo. E ciò è ancora più incredibile in un gioco in cui la colonna sonora, in più di un’occasione, divaga in sezioni dove il metro della partitura abbandona - e di parecchio - i classici 4/4 per lanciarsi in decise aritmie, alternando di tanto in tanto sezioni eteree e dilatate, come a far riprendere fiato al giocatore stremato dal furioso viaggio della blatta spaziale.

SI perde spesso, in Thumper. Specialmente arrivati al terzo “mondo”, con il gioco che ogni tot livelli introduce una meccanica nuova, tra cui le “corsie multiple” da zompettare ritmicamente, che finiscono per riportare alla memoria le serate su Guitar Hero e simili. E si perde perché, nonostante la sinestesia di cui sopra, le sinapsi non sempre sono abbastanza rapide da tradurre in azioni ciò che il nostro cervello urla. O forse perdevo perché insistevo nel giocare a Thumper la sera al ritorno dal lavoro, vai a sapere. Ma le sconfitte in Thumper mi hanno riportato alla mente i pomeriggi in cui, accompagnato dal fido Guitar Pro, cercavo di replicare riff e assoli dei miei idoli musicali. Alla stonatura e alla plettrata fuori tempo corrispondevano un mio deciso voler ricominciare tutto daccapo: ed è esattamente così anche in Thumper, dove gli errori concessi al giocatore sono solitamente due ma ugualmente il “perdente” è costretto a ricominciare lo stage dal principio.

Ogni “mondo” è infatti diviso in sottolivelli, tutti collegati tra loro in un unico grande flusso che termina, inevitabilmente, con lo scontro con un’inquietante testa puntuta volante. Come se fosse Out Run, non c’è stacco infatti tra uno stage e l’altro, si viaggia senza mai fermarsi se non al game over o alla vittoria data dall’abbattimento del suddetto boss. Il che rende Thumper ancora più piacevolmente ossessivo.

Il bacarozzo può sollevare le ali e planare brevemente.

Il bacarozzo può sollevare le ali e planare brevemente.

Ma il bello di Thumper è anche che, nel suo essere di base un’arcade dallo stampo classicissimo, non è per nulla “vecchio”. C’è sì qualche - ovvio - richiamo a REZ di Mizuguchi, al già citato Guitar Hero o comunque a un’estetica che in certi frangenti può ricordare alcune opere di Jeff Minter. Ma la rabbia psichedelica/industrial a volte un po’ ambient di Thumper ha una propria, distintiva identità ed è anche per questo che il gioco dei Drool finisce per essere così memorabile. 

Ogni notte è diventata un piccolo appuntamento di piacevole “dolore” per retine e sinapsi, in cui concedermi una mezz’oretta tra curve, salti e laser che, ogni volta, finise per diventare ore e ore che rubano inevitabilmente il sonno. Da quando ho Thumper, le mie occhiaie sono decisamente più accentuate. Ma sono anche un videogiocatore un po’ più felice.

Ho giocato a Thumper su Steam per sei, quasi sette ore. Non sono per nulla sazio. Lo farò provare ad amici e parenti, cedendo il mio pad o, perché no, provandolo con un cliccoso arcade stick. Io ho avuto un codice per la review ma i 19,99 € da spendere su Steam o PlayStation Network (PS4) per portarselo a casa sono soldi ben spesi. Non l’ho provato con la VR, per quello citofonare casa Laviano.

Old! #182 – Ottobre 2006

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Abbiamo strappato Zerocalcare a una cena per interrogarlo sui videogiochi, l'universo e tutto quanto

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