Stranger Things: demogorgoonies!!!
Su una scala da zero a frechete, il rischio di ottenere una grossa merda mescolando assieme Winona Ryder, E.T., Stand by Me, I Goonies, Scuola di mostri, La casa, Poltergeist, Il Signore degli Anelli, Star Wars, Twin Peaks o X-Files, Halloween, Alien, Predator, Incontri ravvicinati del terzo tipo, Carrie, It, Pet semetary, Tommyknockers - Le creature del buio, L’Incendiaria o Nightmare è assai elevato. Praticamente prossimo al "frecheteimpetto". Eppure, dopo quella cagatona di Wayward Pines, i Duffer Brothers hanno confezionato uno dei prodotti più fregni, interessanti, riusciti e (OK, OK, calma, lo sto dicendo) nostalgici dell'intero catalogo Netflix.
Sinossi non ufficiale - Novembre 1983: dopo una serata trascorsa a giocare con i suoi amici a D&D, il piccolo Will scompare, rapito da (omissis). Sua madre Joyce (Winona Ryder), suo fratello Jonathan (Charlie Heaton), il rude/cinico/sprezzante/eppuradorabile sceriffo Hopper (David Harbour) e tre amici di Will - Mike (Finn Wolfhard), Dustin (Gaten Matarazzo) e Lucas (Caleb McLaughlin) – si mobilitano (ognuno come può: qualcuno un bici, altri in auto) per far luce su un mistero che sconvolge e travolge la tranquilla cittadina di Hawkins (Indiana).
La storia si intride mano a mano di terrificanti fenomeni sovrannaturali (ma può guardarlo anche Calcaterra, in tutta tranquillità, visto che il livello di gore è infimo, dai), esperimenti governativi più spietati che segretissimi, oltre che una bambina spuntata dal nulla – Undici, (meritevole l'interpretazione di Millie Brown) - dotata di oscuri poteri. Un micidiale scontro tra forze del male, lo spietato Dottor Brenner (Matthew Modine), walkie talkie gracchianti, boschi inquietanti, una madre disperata ma pronta a tutto (anche a recitare bene!) e un mondo del sottosopra (così lo chiamano i bambini) sta per avere inizio, frechete.
Concepiti inizialmente come un film da otto ore, gli otto capitoli di Stranger Things rappresentano una deliziosa sintesi estetica che rielabora con inattesa raffinatezza tutte (ma davvero tutte) le suggestioni lasciateci in eredità dal cinema, dalla cultura, dall'innocenza + spensieratezza – perché no? - degli anni Ottanta. Il risultato coincide con una prima stagione pregevole, un unicum talmente armonico, articolato con una maestria tale, che un episodio tira l'altro, e in un sol boccone o un paio di serate si giunge al capitolo conclusivo (per scoprire che non-faccia ha un demogorgone). Sul serio, non c'è neppure un momento di noia, un meh, un episodio filler o il desiderio di quagliare alla svelta con una delle tre storyline (bambini, adolescenti e adulti) e passare oltre. L'intreccio vanta tempistiche perfette, tutto alimenta pathos, suspense e curiosità, alternando sprazzi di distensione a emozionanti cliffhanger.
E poi c'è la musica e ci sono i suoni: gli effetti sonori quasi palpabili (à la John Carpenter, per intenderci, sigla inclusa) rendono Stranger Things ulteriormente e progressivamente sempre più fregno, mentre alla radio passano The Clash, New Order, David Bowie, Jefferson Airplane, Joy Division e altre bontà del periodo. Per non parlare della fotografia, curata all'inverosimile, che dipinge scene sempre dirette con intelligenza, avvolgendo tutto di una certa nostalgia, mai stucchevole o tirata via. Stranger Things, infatti, non è una mera-mega-scopiazzatura, la fiera in salsa teen-horror-drama dell'omaggio fine a sé stesso, ma un prodotto paradossalmente originale, già visto milioni di volte, eppure nuovo, fresco, di cui si sentiva il bisogno. Ci sono citazioni dappertutto, strizzatine d'occhio mai invadenti, di quelle buone, sane, positive e abbastanza naturali, che insomma non irretiscono gli spettatori votati al puntalcazzismo (o picche d'angelo che dir si voglia) perché trovano che il poster de La Cosa sia troppo sbracato o la biciclettina rimandi palesemente a Spielberg. Insomma, niente gomitini-gomitoni, merito anche (e soprattutto) di una sorprendente efficacia drammatica, che focalizza l'attenzione su storia e intrigo, supportata tra l'altro da interpretazioni intense. Sia che si tratti degli adulti che dei bambini, sono TUTTI bravi, sono tutti più profondi di quanto fosse lecito attendersi. Brava pure la Winona nazionalpopolare.
L'unico difettuccio (insignificante ai fini di un giudizio complessivo) di Stranger Things consiste proprio nel suo essere decisamente Calcaterra-friendly. Il male, i mostri, la tensione e quel po' di mistery-teen-horror stentano nel palesarsi inizialmente, salvo poi irrompere con veemenza sul finale di stagione. Ma si tratta di una punta al cazzo di cui sopra, visto che ho apprezzato il poster de La Cosa nella cameretta del ragazzino e, anzi, adesso ne ordino uno da qualche parte su internet. Stranger Things è un piccolo gioiello che colpisce al cuore. Forse è vero che una seconda stagione sa già di tirata per i capelli, ma del resto, il finale Twin Peaks style la chiama a gran voce. Non c'è niente di confermato, per il momento, quindi vai a sapere.
Nel frattempo, se avete pagato l'abbonamento a Netflix, guardatene tutti ASAF, sta là.
Ho guardato Stranger Things godendone per otto giorni consecutivi, una puntata alla volta. Perché è vero che Netflix supporta e chiama a gran voce 'sta cosa del binge watching, ma anche la fruizione centellinata ha il suo porco fascino.