Legion è la cosa più importante di questo 2017
È ancora presto per tirare le somme su questo anno solare, trascorso per appena un quarto; ancora meno è il caso di utilizzare toni assolutistici per un telefilm, visto che, momento serietà, ci sono cose più importanti a cui pensare (in Francia vincerà Le Pen? Il Quantitave Easing verrà ancora prorogato? Riuscirò a superare la prova costume?). Però, se dovessimo circoscrivere il titolo di questo articolo al mondo delle serie TV (ma non solo), magari con un pizzico di provocazione, beh, sì, i dubbi non sarebbero molti: Legion è la cosa più importante di questo 2017. Lo è non solo per il media a cui fa riferimento, ma anche per il contesto attorno al quale si muove, cioè quello dei cinecomic, che riesce a ribaltare, dandogli finalmente quella dignità che per ora era giunta dal solo Christopher Nolan con la trilogia del Cavaliere Oscuro. Non è snobismo: Noah Hawley, con questa sua prima stagione di Legion, è riuscito a ridefinire il concetto di cinecomic, riscrivendo l’intero perimetro del genere d’appartenenza.
Sulle pagine di Outcast, quasi due mesi fa, io stesso scrivevo di come fosse forte “l’impressione che FX voglia accontentare un po’ tutti: da un lato chi, nel bene o nel male, cerca quell’azione tipica dei film della Marvel, dall’altro chi, invece, vuole qualcosa che rompa realmente una tendenza che nemmeno le serie Marvel di Netflix sono riuscite ad invertire”. Bene, in parte mi sbagliavo. Cerco di spiegarmi meglio: Noah Hawley non si è nemmeno posto il problema di dare un colpo al cerchio ed uno alla botte, ma ha invece semplicemente portato avanti un progetto che riuscisse a coniugare sia le fasi action che quelle introspettive, di matrice decisamente più sperimentale, in una maniera totalmente totalmente personale, talmente tanto da riuscire a slegarsi dagli stilemi di base che impongono sia il media che il genere di riferimento. Hawley fa il cazzo che gli pare, insomma; non però alla Michael Bay, ovviamente. Parliamo, per dirne una, dallo scavo psicologico nella mente del protagonista della serie, David Haller, interpretato dall’ottimo Dan Stevens.
Un parallelo che si potrebbe fare, rimanendo nell’ambito dei telefilm, è quello con Elliot, protagonista di Mr. Robot, un altro schizofrenico; posto che ho adorato Mr. Robot, la sua interpretazione della schizofrenia è, per quanto perfettamente riuscita, nella resa un po’ prevedibile, con echi a Fight Club nemmeno troppo velati. Bene, in Legion tutto ciò accade in modo totalmente personale, come già detto. La schizofrenia, come appare in questa produzione di FX, non la si ritrova da nessun’altra parte; una patologia che si mimetizza di continuo con quello che sta dentro a David, una persona talmente tormentata che quasi nemmeno è consapevole di essere tale. E dunque si procede verso un flusso narrativo e visivo in cui si incrociano realtà, fantasia, ricordi, pensieri subconsci e quant’altro.
Si tratta di un aspetto fondante, in Legion, e sul quale Hawlay ha fatto intelligentemente leva per trasportarlo anche in altre componenti del suo lavoro. Come ad esempio il comparto visivo, meraviglioso: i deliri mentali sono da sempre la sponda perfetta per sperimentare, per far godere gli occhi, e in Legion non smettiamo mai di stropicciarci gli occhi a fronte della contorta bellezza che ci si para continuamente davanti; a fare da portabandiera di ciò, troviamo una sorprendente Aubrey Plaza (nota soprattutto per il suo ruolo, decisamente più comico, in Parks and Recreation). Ondeggiando senza sosta fra sensualità e senso di repulsione, la Plaza si fa veicolo principale non solo della maggior parte degli eventi riprodotti a schermo, ma anche principale interprete della riuscitissima componente visiva. Vedere per credere.
Paga un po' dazio la componente narrativa, che risulta parecchio frammentata. Non è assolutamente un male, anzi, ma il fatto che ci siano interi episodi in cui non si fa altro che disseminare indizi e nei quali, nei fatti concreti, non si verifica nessun twist realmente catalizzante, con un continuo andirivieni di prospettive che si ribaltano, potrebbe tenere lontano chi è abituato a produzioni più canoniche. Proprio per questo, vista la sua natura sperimentale, che comunque non lo fa esulare dal media di appartenenza (a cui è legato alla perfezione, sia nella forma che nei tempi), Legion potrebbe non piacere a tutti. È un lavoro estremamente ambizioso e, perché no, anche rivoluzionario. Una di quelle serie TV che richiedono attenzione ma riescono poi a premiarti, ricambiando con uno dei prodotti seriali più importanti degli ultimi tempi. Con ogni probabilità, andrà anche ad influire sul rapporto che i consumatori hanno con una delle macchine da soldi più proficue per l’industry di Hollywood, cioè quella dei cinecomic. È impossibile fare prevision sul futuro, ma non è improbabile che dopo questa prima stagione ci sia un pre ed un post-Legion, uno spartiacque che ha tutte le carte in regole per andare ad esondare anche nel campo cinematografico.
Ho visto Legion, nelle otto puntate di cui è composta questa prima stagione, a cadenza settimanale. In Italia la serie è stata trasmessa ogni lunedì, con qualche giorno di ritardo rispetto all’uscita americana, su FOX. Nel frattempo FX, network produttore della serie, ha confermato quella che a questo punto era ormai un’inevitabile seconda stagione, e che però non dovrebbe essere trasmessa prima della fine del 2018.