Racconti dall'ospizio #39: Sono trent'anni che Mario corre e salta. Io ho smesso in prima media
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
Scrivere articoli di questo tipo col sorriso sulle labbra ha un che di masochistico. Si parte con l'entusiasmo tipico di chi può affermare: "io c'ero" e poi ci si ritrova (come le star) davanti alla tastiera del PC, con un'aura nostalgica e trasognata. Cosa si può dire di Super Mario Bros. che non sia stato già scritto decine, centinaia, migliaia di volte? Certo, con quest'assunto, arrivati alla saturazione di un argomento, nessuno scriverebbe più nulla. Tuttavia, basta filtrare gli eventi storici attraverso le proprie esperienze, per dipingere un quadro unico e a suo modo, emozionante.
Super Mario Bros. esce in Europa nel 1987, due anni dopo rispetto al Giappone, pronto a trascinare l'intero settore videoludico fuori dalla palude fallimentare nel quale era sprofondato. In realtà, senza togliere meriti a nessuno, sarà il NES l'autentico cavallo di Troia che riporterà il videogioco in milioni di case. Mario è "solo" uno dei guerrieri che se ne stanno accucciati nel ventre della bestia, pronto a saltar fuori - ovviamente - alle prime schermaglie. Beh, forse non proprio un semplice guerriero, più probabile che si trattasse di Sinone, sotto la guida di un geniale e infaticabile Ulisse (Shigeru Miyamoto).
Ora, dopo aver snocciolato un po' di cultura spicciola solo per darmi un tono, vorrei parlarvi del mio Super Mario Bros. Il mio Super Mario Bros. dormiva beato con una console a Roma, zona Casal Bruciato. Esattamente, riposava in un negozio di giocattoli, un luogo che egli stesso avrebbe contribuito a decimare lustri dopo. Era venduto col NES in bundle, quando ancora nessuno conosceva il significato di questa parola. Io, da bravo bimbo creativo, mi ero già accostato al variopinto mondo dei videogiochi, prima con gli schiacciapensieri (mai chiamati Game & Watch), poi con i più canonici giochi da sala, senza dimenticare l'intramontabile - ironico definirlo così, a ripensarci ora - Atari 2600.
Eppure è stato il NES a folgorarmi, nonostante il fascino perverso di C64 e Master System, che negli anni a seguire mi avrebbero tentato come subdole Sirene, per rimanere in tema ellenico. Super Mario Bros. ha pure coinciso con la mia miopia (coinciso, non contribuito, badate bene). perciò, attendendo i miei nuovi occhiali, giocavo a meno di un metro dal televisore, tra le urla ciclopiche di mia madre.
A undici anni, chiaramente, non capisci nulla della vita e non solo in senso generale, ma anche riguardo lo specifico: in questo caso, level design, controlli sotto inerzia e piacere della scoperta. Tutto creato in maniera sublime, da un titolo più preciso di un orologio svizzero. È ridondante sottolineare come Super Mario Bros. abbia tracciato un segno indelebile nel mondo videoludico, come gioco, come platform e come icona. Tante brutte cose sarebbero venute fuori per sfruttarne la fama, alla stregua di sordidi funghi (!) su uno splendido albero: da un pessimo cartone animato a un aberrante film, senza contare alcuni spin-off apocrifi su cui è meglio sorvolare. Ma a noi - pensandoci bene - tutto questo non interessa.
Ciò che importa davvero in questa sede, voglio sperare, è l'oro trovato nel setaccio della mia esperienza. Quando ho scoperto Super Mario Bros., qui a Roma, zona Casal Bruciato, a meno di un metro dal televisore, aspettando un paio di occhiali, l'estro di Miyamoto mi ha forgiato in maniera indelebile. Capisci di trovarti davanti a una genialità assoluta quando un media impone certi limiti e tratteggia chiaramente delle regole; per poi infrangerle impunemente, lasciandoti basito. Anni prima che Kojima rompesse la "quarta parete" leggendoci la memory card, Mario Bros. rompeva la sua a testate, superando i limiti dello schermo a cavallo (di troia?) tra presunto bug e guizzo geniale.
Voglio dire, non fai in tempo a sorprenderti di poter entrare nei tubi - fatto che cambierà per sempre il concetto di passaggio segreto nei videogiochi - che i limiti imposti dallo stesso titolo si infrangono sotto i colpi dell'idraulico, lasciandoti trotterellare al di fuori della schermata di gioco. A quel punto pensi: ma allora tutto è possibile!
E lo è davvero, in un certo senso. Si tratta di un meccanismo psicologico, prima che ludico. Una conditio mentis indotta in maniera sopraffina, plasmata da una scintilla per renderci tutti piromani. Perché se un videogioco ti spinge a fare l'impossibile, vuol dire che, in qualche modo, l'ha reso possibile. È riuscito a insinuarlo tra le cose da poter fare, indipendentemente dalla loro reale fattibilità. Supererò la bandiera di fine livello? Capirò il meccanismo che genera i fuochi d'artificio? Troverò un'altra scorciatoia? E quel tubo nell'acqua? Domande quasi sempre senza risposta, ma che continuavi a raccogliere e mettere a posto, in un angolo della testa. Cosa dire, poi, di quel livello in loop? Io ci stavo davvero impazzendo, al punto che per un minuscolo, interminabile istante ho pensato: "Ma cos'è, rotto?"?
Chiaramente non lo era. Mario non era rotto, né allora, né oggi. Può aver rotto, ma quello dipende dall'aridità del vostro animo videoludico (non potevo esimermi dall'infilare un po' di fanboismo polemico). Trent'anni di Super Mario. Trent'anni e ancora siamo qui a parlare dei suoi schemi, delle sue regole e della meraviglia nel poterle infrangere. Lo stesso Super Mario che mi ha spinto negli antri più bui e reconditi dei giocattolai, nemmeno stessi comprando qualcosa di illecito. E se penso all'effettiva caccia alle streghe che il mondo videoludico avrebbe subito da lì a poco, non posso fare a meno di pensare a Mario anche come a un Nostradamus.
Precursore videoludico, nel bene e nel male, di un universo nato anche grazie ai suoi iconici salti. Un big bang di proporzioni immani, generato da un idraulico che rompe mattoni con la testa. Italiani, grandi pionieri.