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Post Mortem #32 - Nier: Automata: per Yoko Taro, la libertà è una gabbia

Post Mortem #32 - Nier: Automata: per Yoko Taro, la libertà è una gabbia

Una rubrica in cui vi raccontiamo i post mortem dei principali videogiochi, vale a dire le considerazioni a posteriori, da parte dei membri del team di sviluppo, su cosa abbia funzionato e cosa no durante il lungo processo che porta alla nascita di un videogioco.

C’è tanto di strano in un autore acclamato che nasconde la propria faccia sotto una maschera fatta di occhi a palla e ghigno malefico. Fortunatamente, per Yoko Taro le stranezze non finiscono certo qui. Qualche tempo fa ha dichiarato che indossa una maschera perché gli autori non dovrebbero mai mostrare la propria faccia. Non vorrete mica scoprire che il vostro autore di romanzi erotici preferiti è in realtà un omino di mezza ben poco attraente? La situazione si è quindi fatta ancora più inquietante quando, entrando nella sala che ospitava il suo talk alla GDC 2018, mi sono ritrovato un Yoko Taro fra il pubblico e un poco attraente signore di mezza età sul podio. Che sia un’altra delle sue provocazioni? E invece no, perché poco dopo il signore di mezza età inforca la caratteristica maschera a forma di palla e si trasforma nello strano individuo completamente fuori di testa che ha creato, fra le altre cose, la serie di NieR, di cui NieR: Automata rappresenta solo la più recente e frenetica incarnazione.

La prima parte del talk è in realtà lasciata nelle mani di Takahisa Taura, uno dei game designer di Platinum Games che hanno lavorato all’ultimo progetto del folle giapponese che si nasconde sotto quella testa a palla e un sorriso inquietante. La mezz’ora che segue è una lezione un po’ prolissa sull’essenziale eleganza del game design dei combattimenti di NieR: Automata. È un’ode tout court alla centralità del divertimento nei giochi action di Platinum, di come ogni singolo elemento, anche la bellezza di modelli e animazioni, debba sempre essere secondario alla croccantezza del gioco in sé; di come ogni fronzolo artistico abbia l’obbligo di piegarsi e inchinarsi di fronte a Sua Maestà il gameplay. Gli esempi di questa filosofia applicati a NieR: Automata sono vari: innanzitutto la reattività del gioco. Premere un pulsante e vedere che non succede niente non è affatto divertente. Per questo 2B, la protagonista di Nier: Automata, è in grado di schivare colpi e reagire in quasi ogni situazione. Mentre sui grandi schermi laterali della sala in cui ci troviamo scorre un filmato che mostra questa regola in azione, mi giro per scrutare la sala: il secondo Yoko Taro è sempre lì con la testa fra le mani. Alla mia sinistra c’è anche una 2B, che si è tolta la benda sugli occhi per poter seguire il talk. Il game designer nipponico prosegue evidenziando come abbiano fatto tutto il possibile per ridurre al minimo il tempo di risposta dei tasti, che nella maggior parte dei casi è ridotto a poco più di un decimo di secondo. Poi il tutto si fa più tecnico, descrivendo la precisione ossessiva per le animazioni del gioco, che si manifestava anche in uno strumento in grado definire, per ogni fotogramma, determinate flag per il personaggio. In questo modo era possibile cesellare lo stato in cui si trovavavano il personaggio e i nemici frame per frame, assegnando invulnerabilità, resistenza al respingimento e via dicendo. Il tutto viene mostrato in una lunga lista fatta di caratteri nipponici incomprensibili ai più, ma che Yoko Taro si affretta a definire “imperdibile”. “Dovreste fotografarla assolutamente!’ E infatti la trovate qui sotto:

Yoko Taro prende quindi la parola e dice che rimarrà seduto per il resto del talk, visto che è molto difficile parlare in piedi mentre si ha indosso quella maschera. “Mi dicono anche che ho poco tempo, quindi parlerò velocemente!” Attacca quindi a parlare in giapponese a una velocità assurda, come un nastro impazzito in un registratore rotto. L’effetto, combinato al buffo tono di voce dovuto alla maschera che indossa, è surreale e ridicolo e l’intera sala, traduttrice compresa, trattiene a stento le risate.

Comunque, Yoko Taro ci parla di libertà nei videogiochi e di come cerchi di restituire questa sensazione nei suoi giochi. Riguardo al senso di libertà, vengono sicuramente in mente i giochi open world, roba del calibro di GTA, Just Cause o The Witcher. Titoli caratterizzati soprattutto da grande budget, grandi mappe e tantissime cose da fare. Giochi di questo genere dovrebbero effettivamente fornire una grande libertà al giocatore, forti di una grande quantità di contenuti. Allora come mai spesso ci sentiamo annoiati in queste situazioni, in quella che molti definiscono la “open world fatigue”? Secondo Yoko Taro, la grande quantità di opzioni disponibili in un gioco non è collegata al senso di libertà che il gioco riesce a fornire. Anzi, più sono le opzioni disponibili e più ogni cosa risulta banale e mondana, come dover fare compiti a casa o faccende domestiche.

Come ogni buon artista, poi, anche il folle giapponese ammette candidamente di aver razziato, in maniera più o meno forte, altri titoli. La mappa di Nier: Automata sembra sia stata fortemente “ispirata” da quella di Ocarina of Time, ad esempio. Ma pare che il gioco che più lo ha influenzato nel suo desiderio di ricreare una sensazione di libertà nel giocatore sia proprio il buon Super Mario Bros., in particolare nel livello 1-2, quello in cui è possibile salire sopra la mappa di gioco, dove il giocatore non dovrebbe stare, per raggiungere la zona warp.

In foto: la libertà secondo Yoko Taro.

Ecco, il senso di libertà starebbe tutto lì: nel creare dei limiti, farli assorbire al giocatore e poi all’improvviso cambiarli ed espanderli sotto il suo naso. Far credere al giocatore che sta vivendo dentro a un cerchio di un certo diametro e poi allargarne improvvisamente gli orizzonti.

“Il senso di libertà è in un futuro che NON pensavi di avere nel passato.” Una frase particolarmente importante, specie considerando che viene da un buffo uomo di mezza età che indossa una maschera inquietante e parla a macchinetta in una lingua a me sconosciuta. Gli esempi di questa lezione, nei suoi giochi, sono da ricercare, ad esempio, nel sistema dei finali multipli. Nel primo NieR si completava il gioco normalmente e si giungeva al primo finale. Giocando nuovamente, era possibile capire la lingua parlata dai nemici, scoprendo che in realtà ci stavano raccontando la loro storia tragica. Ecco, quindi, che lo stesso mondo di gioco allarga i suoi orizzonti improvvisamente e inaspettatamente. Ovviamente, è necessario prevedere le aspettative del giocatore, e infatti in Nier: Automata tutti si sarebbero aspettati il secondo “giro” nel mondo di gioco. Quindi, per allargare nuovamente le prospettive, Taro ha pensato bene di aggiungerne anche un terzo, completamente slegato dal resto e tenuto segreto nelle fasi promozionali.

C’è un altro esempio, preso dal suo ultimo lavoro, che sembra stargli particolarmente a cuore. *Possibili SPOILER per NieR: Automata* Se si perde contro il boss finale del gioco, compare una schermata con una serie di messaggi di incoraggiamento, che sono stati scritti dagli altri giocatori che hanno già battuto il boss. Questa è una meccanica che non è mai comparsa nel gioco fino a quel momento, e quindi, secondo lui, contribuisce a stupire il giocatore, facendogli rendere conto che i confini del gioco sono un po’ più grandi di quel che credeva. “In realtà ho rubato anche questa idea!”, ammette fra le risate generali. Era una campagna della Coca-Cola del 2013: alcuni distributori automatici furono installati in India e Pakistan e le persone potevano scrivere messaggi di incoraggiamento per le persone dell’altro paese, in una situazione politica in cui fra le due nazioni non scorreva proprio buon sangue. “Mi è sembrato un bel messaggio di speranza e positività, alla fine di un gioco abbastanza deprimente e in un mondo fin troppo pieno d’odio”.

Forse, tutto questo è solo un’enorme manovra un po’ paracula per giustificare gli ovvi limiti di varietà del gioco, che costringe a giocare per tre volte di seguito sulla stessa mappa. Ma anche se non mi piace ammetterlo, da qualche parte, nelle parole di questo buffo giapponese, c’è della verità, specie quando afferma che non sia sempre un bene avere tante cose da fare. Mentre lascio la sala, guardo meglio la 2B che era seduta a qualche fila di distanza da me. In realtà è un ragazzo e assomiglia leggermente a Hideo Kojima. Forse era effettivamente Kojima in incognito alla GDC. O forse, anche questo non è che un surreale ed elaborato piano di Yoko Taro per espandere il nostro mondo oltre quello che ritenevamo possibile.

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