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Pacific Rim: La rivolta mi ha talmente ammosciato che non riesco a inventarmi un titolo

Pacific Rim: La rivolta mi ha talmente ammosciato che non riesco a inventarmi un titolo

Allora, mettiamo le cose in chiaro dalla prima riga: a me Pacific Rim piacque senza molti se o ma. Non è che non riconosca il senso (di almeno parte) delle critiche che gli vennero rivolte, è che le condividevo solo in parte e, soprattutto, trovavo troppo forte tutto quello che funzionava. Ne ho scritto in abbondanza a suo tempo e, fra l'altro, mi sono appena riletto quel vecchio post, ritrovandoci le sensazioni che ricordavo, ricordandomi di cose bellissime che mi ero dimenticato e confermando il problema che ho avuto con Pacific Rim: La rivolta. Ovvero che non è Pacific Rim. E alla fin fine sta tutto lì: del resto, mi pare che chi lo apprezza molto più di me lo faccia proprio per come in certe cose si distacca dal predecessore, pur ovviamente concordando sul fatto che in certi aspetti ci abbiamo perso. Solo che, per chi apprezza, quegli aspetti pesano, evidentemente, molto meno che per me. Insomma, Pacific Rim: La rivolta piace, se piace, perché non è Pacific Rim. Ci sta.

Di fondo, il film di Steven S. DeKnight è il seguito che avrebbe diretto Guillermo del Toro, solo che non l'ha diretto Guillermo del Toro ma Steven S. DeKnight. Oddio, ovviamente non lo sappiamo che film avrebbe diretto Guillermone se non fosse stato impegnato fare altro, a fare di meglio. Però, insomma, Pacific Rim: La rivolta si basa bene o male sulle idee che del Toro sventolava nelle interviste ai tempi, utilizzandone i punti cardine nella natura del cattivo e nel modo in cui si evolvono i kaiju sul finale. Quindi, quel poco o nulla che si sapeva di un ipotetico seguito curato dalla stessa gente è rimasto, in un certo senso. Il che, se lo chiedete a me, acuisce il rimpianto, perché ho l'impressione che proprio quelle due cose lì, se gestite da del Toro, sarebbero state clamorose, invece che "È esattamente quel che volevo vedere, peccato che me l'abbiate fatto vedere in maniera tanto moscia."

E alla fine, per quanto mi riguarda, il punto sta tutto lì. Sì, è vero, Pacific Rim: La rivolta ha un gran bel ritmo, scorre via in maniera piacevole e non fa pesare molto l'evidente decisione di fare un film per bambini pensato per gli adolescenti, invece di un film per bambini pensato per i quarantenni come era il primo. Non la fa pesare perché, pur nella sua esilità e nella sua pochezza di caratterizzazioni e svolte narrative, è scritto in una maniera che fila dritta senza guardarsi mai indietro. Fa il suo dovere. Il compitino. Non cerca il 10 in pagella ma non rovina clamorosamente verso il 4. E sì, è vero, finalmente abbiamo scene d'azione alla luce del sole, illuminate come si deve, che ti mostrano tutto il macello senza schivare, nonostante ci sia ancora la tendenza a scassinarti gli occhi facendo traballare la macchina da presa. E, sì, le scene d'azione sono strapiene dello stesso genere di tamarrate che tanto mi avevano fatto amare il primo film, con robot che si sparano le pose, mosse segrete a sorpresa, evoluzioni surreali dei kaiju e spacconate senza fine. Insomma, bene. Ma. C'è un ma.

Quell'amore passato che non torna più.

Il "ma" sta nel fatto che Steven S. DeKnight è a malapena un mestierante, che nella sua carriera televisiva ha messo le mani anche in cose belle, ma sta evidentemente qui nel ruolo di quello che non deve rompere i coglioni con le scelte autoriali ma limitarsi a tirar fuori un film che non sporchi il tappeto buono. Ha la stessa personalità espressa da Scott Eastwood (non è un complimento) e da tutto il resto del cast (non è un complimento) che non sia John Boyega (lui davvero ottimo figlio di Idris Elba) ma soprattutto da Scott Eastwood (non è un complimento). Non c'è una singola immagine di Pacific Rim: Uprising che mi sia rimasta in testa non dico fino a oggi, tre giorni dopo la visione, ma anche solo fino a tre ore dopo essere uscito dal cinema. Ci sono cinquantamila momenti che sulla carta dovrebbero farmi esplodere il cuore solo a pensarci e sullo schermo mi sono passati davanti come brodino riscaldato. Mi sono moderatamente divertito, perché il ritmo c'era, il macello pure e i palazzi esplodevano, ma avevo davvero l'impressione e l'espressione di chi guarda il nulla cosmico.

Il bel lavoro di world building, la clamorosa capacità di raccontare attraverso cenni e dettagli, la forza evocativa di ogni scorcio, la potenza iconica di certe immagini, l'uso di luci, suoni e colori, la faccia da culo nel fare quel che gli pare e infilarci di traverso tematiche, ossessioni, omaggi, lo sguardo di del Toro, ciò che lo rende grande anche quando dirige cazzatine, è qui assente giustificato ma fastidiosissimo. Poi, sì, certo, capisco che uno si possa gasare perché esplode tutto in maniera chiara, limpida, Recoaro, ed ero pronto a gasarmi pure io. Ma è veramente tutto troppo piatto, anche un po' patetico quando prova a ricalcare le orme del primo film con la grazia di un rinoceronte ubriaco e francamente fastidioso per la capacità di sprecare tutto quel potenziale estetico, spettacolare e, tutto sommato, anche narrativo, con idee che pure ci sarebbero ma definire sottosfruttate è riduttivo. Ci vuole del talento, tutto sommato. E ci vuole anche impegno, va detto: è chiaro che è stato fatto apposta, è chiaro che non è stato fatto per me.

E infatti, vai a sapere, magari sono così negativo solo perché mi ritrovo pesantemente fuori target, esattamente come, magari, fui tanto positivo col primo film perché mi trovavo proprio al centro del bersaglio. Di sicuro, ho l'impressione che questo stesso Pacific Rim: Uprising, scritto, diretto, curato da un regista (non per forza del Toro: un regista), sarebbe stato una roba clamorosa. E forse è anche che se vuoi spostarti nel campo di Transformers ma non sei in grado di essere altrettanto estremo (nel bene e nel male), diventi davvero uno qualunque. E allora che me ne faccio, di te? Maledetto Jaeger, mi hai sedotto e abbandonato. Magari non sei tu, sono io, ma rimane che mi hai lasciato per un quattordicenne scatarrabile.

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